Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7265 del 22/03/2017
Cassazione civile, sez. trib., 22/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.22/03/2017), n. 7265
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura rel. Consiglie – –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11675/1012 proposto da:
KIMAL SRL in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA RUGGERO FAURO 62, presso lo
studio dell’avvocato CRISTIANO BONANNI, rappresentato e difeso
dall’avvocato FRANCO LIBORI, giusta delega in calce;
– ricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –
avverso la sentenza n. 97/2011 della COMM. TRIB. REG. dell’UMBRIA,
depositata il 03/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/01/2017 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LIBORI che si riporta agli atti e
deposita nota spese;
udito per il resistente l’Avvocato CAMASSA che si riporta agli atti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine
rigetto del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria con la sentenza in epigafe indicata, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha riformato la prima decisione che aveva accolto l’impugnazione proposta dalla società KUMAL SRL avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, mediante applicazione degli studi di settore all’esito del contraddittorio, era stato rettificato il reddito di impresa, accertando maggiori ricavi e maggiore volume d’affari e minori componenti negativi di reddito, ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno di imposta 2004.
2. Secondo la Commissione, per quanto interessa il presente giudizio, l’accertamento di maggiori ricavi e maggior volume di affari andava confermato in quanto l’Ufficio aveva rispettato tutte le condizioni e le procedure per l’applicazione degli studi di settore, instaurando il contraddittorio e tenendo conto delle istanze della parte, sulla scorta delle quali i ricavi, inizialmente accertati, erano stati ridotti, e ciò aveva comportato l’inversione dell’onere della prova a carico della contribuente: tanto premesso la Commissione affermava che le critiche volte all’inadeguatezza dell’istruttoria dell’Ufficio su alcune circostanza (il personale in esubero, la presenza di materiale di magazzino obsoleto, le dimensione elevate della struttura non sfruttate) erano irrilevanti perchè concernevano, aspetti gestionali e strategie aziendali non oculate da parte della stessa società.
3. La società ricorre per cassazione su due motivi. L’Agenzia ha partecipato alla pubblica udienza.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
2.1. Primo motivo – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, riferito all’art. 111 Cost. ed all’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e, comunque, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
2.2. Secondo motivo – Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, art. 2700 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e, comunque omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
2.3. I motivi sono entrambi inammissibili per difetto di autosufficienza in quanto non riproducono l’avviso di accertamento, della cui motivazione si dolgono, non riproducono le specifiche contestazioni mosse dalla società nella fase di merito e non ne illustrano la decisività, atteso che, comunque, la CTR ha valutato la circostanza che l’Amministrazione, all’esito del contraddittorio, ridimensionò la pretesa ed applicò uno studio di settore diverso, più aderente alle caratteristiche dell’impresa. Va altresì considerato che anche le doglianze per violazione di legge, sostanzialmente involgono questioni di fatto.
2.4. Inoltre la società ricorrente, nel prospettare le doglianze, si è discostata dai principi affermati da questa Corte in tema, secondo i quali “I parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quanto eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.” (Cass. n.14288/2016), ai quali la CTR ha dato corretta applicazione.
3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
PQM
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 4.700,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017