Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7264 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 04/03/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 04/03/2022), n.7264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25194-2018 proposto da:

T.V.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO LIVIELLO;

– ricorrente –

contro

M.G., Q.S., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO MANGIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 329/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/05/2018 R.G.N. 331/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2022 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI

ROBERTO visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

1. Con sentenza 2 maggio 2018, la Corte d’appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello di M.G. e Q.S. avverso la sentenza di primo grado (che li aveva condannati al pagamento, in favore di T.V.A., della somma di Euro 8.903,00 oltre accessori), ne rigettava le domande di: accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole il 20 ottobre 2012, senza giusta causa né giustificato motivo, dai primi, alle cui dipendenze deduceva di aver lavorato presso la loro abitazione in Lecce come assistente notturna del figlio disabile P. ininterrottamente dal 29 gennaio al 25 agosto 2009 e ancora dal 10 settembre 2011 al 20 ottobre 2012; reintegrazione nel posto di lavoro e comunque di condanna al pagamento della somma di Euro 27.564,98 oltre accessori, per lavoro straordinario e notturno, ferie non godute, tredicesima mensilità, T.f.r. e indennità di mancato preavviso); confermando nel resto la sentenza del Tribunale, di rigetto della domanda riconvenzionale dei coniugi di condanna della lavoratrice al pagamento dell’indennità di mancato preavviso, di almeno sette giorni, per abbandono, sia nel 2009 sia nel 2012, del posto di lavoro senza preavviso, in violazione del CCNL per collaboratori familiari 24 gennaio 2007, art. 38.

2. In via preliminare, essa reputava ammissibile l’appello, pure articolato senza individuazione formale dei motivi né delle parti della sentenza impugnate, per la sufficiente definizione delle conclusioni, delle norme denunciate di violazione e della ricostruzione del fatto.

3. In esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, nel merito la Corte territoriale riteneva: a) congruo il compenso mensile di Euro 800,00 percepito dalla lavoratrice, sprovvista del titolo professionale di infermiera nel corso del rapporto, in relazione ai minimi retributivi previsti dal profilo B super del CCNL di categoria suindicato, corrispondente alle mansioni di assistenza di fatto svolte, non rientranti in quelle del superiore livello C super rivendicato, in difetto di prova della prestazione di assistenza e cura personale continuative in favore del giovane disabile per tutto il periodo; b) non dimostrato lo svolgimento di attività lavorativa in orario straordinario, né in giorni festivi, né il mancato godimento di ferie.

4. Essa escludeva parimenti la prova, a carico dei datori, delle dimissioni senza preavviso della lavoratrice, con la conferma della relativa loro domanda riconvenzionale.

5. Con atto notificato il 6 settembre 2018, ella ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui M.G. e Q.S. resistevano con controricorso.

5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8bis, inserito da L. conv. n. 176 del 2020, nel senso della fondatezza del quarto motivo di ricorso e rigetto degli altri.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., denunciando l’erroneo rigetto, da parte della Corte territoriale, dell’eccezione di inammissibilità dell’appello in difetto dei requisiti minimi per esso previsti di chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e con essi delle relative doglianze.

3. Esso è infondato.

4. In via di premessa, il motivo deve essere ritenuto ammissibile, in quanto specifico e quindi conforme alla prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, rispettandola con la debita trascrizione degli atti processuali, in particolare della sentenza di primo grado e dell’atto di appello, così da consentire la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c. e, in particolare, la specificità delle censure articolate (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 4 febbraio 2019, n. 3194), che devono essere tali da contrapporsi, in virtù di compiute argomentazioni, alla motivazione della sentenza impugnata, mirando ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. s.u. 9 novembre 2011, n. 23999; Cass. 22 settembre 2015, n. 18704; Cass. 15 giugno 2016, n. 12280).

4.1. E’ noto che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vadano interpretati nel senso che l’impugnazione debba contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. s.u. 16 novembre 2017, n. 27199; Cass. 30 maggio 2018, n. 13535; Cass. 17 dicembre 2021, n. 40560).

4.2. Nel caso di specie, al di là di una trascrizione della sentenza di primo grado non del tutto idonea, sotto il profilo di specificità della censura a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per la sua concisa illustrazione (tenuto conto dell’accoglimento di una domanda della lavoratrice di condanna al pagamento dei datori di lavoro della complessiva somma di Euro 27.564,98 oltre accessori in misura, ben più ridotta, di Euro 8.903,00 oltre accessori) nella parte espositiva del ricorso (dal primo all’ultimo capoverso di pg. 6), dalla sua comparazione (dal secondo capoverso di pg. 11 al primo di pg. 12 del ricorso) con l’atto di appello, esso sì adeguatamente trascritto nell’esposizione dei vari motivi, si trae la specificità del gravame, per conformazione al paradigma legale come interpretato dalla giurisprudenza sopra citata: tanto in riferimento al primo, in quanto in chiara contrapposizione argomentativa (agli ultimi due capoversi di pg. 12 del ricorso) alla motivazione della sentenza con esso impugnata (in particolare sviluppata al secondo capoverso di pg. 5 della sentenza d’appello); tanto agli altri tre (dall’ultimo capoverso di pg. 13 al penultimo di pg. 14 del ricorso), per l’evidente censura critica della prova assunta in giudizio e della sentenza, pertanto finalizzata ad incrinarne il fondamento logico-giuridico.

5. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione a quella degli artt. 342,434 e 346 c.p.c., per vizio di ultrapetizione della sentenza della Corte d’appello nel rigetto della propria domanda di condanna dei datori di lavoro al pagamento di tredicesima mensilità, indennità sostitutiva di ferie non godute, maggiorazione per lavoro straordinario notturno, T.f.r. (in assenza di conclusioni in tale senso dei predetti), a causa della difficoltosa individuazione specifica delle parti della sentenza del Tribunale censurate e di comprensione delle ragioni di dissenso rispetto al ragionamento argomentativo del primo giudice.

6. Esso è inammissibile.

7. Il mezzo difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in mancanza di adeguata trascrizione, necessaria anche nella deduzione di error in procedendo (Cass. 7 marzo 2006, n. 4840; Cass. 4 giugno 2010, n. 13567; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 13 marzo 2018, n. 6014), della parte della sentenza di primo grado che avrebbe condannato i datori di lavoro al pagamento delle suindicate voci retributive (oggetto di una domanda della lavoratrice di pagamento, comprensivo anche di tali voci, della somma complessiva di Euro 27.564,98 oltre accessori, con i conseguenti riflessi sul T.f.r.) soltanto in misura di Euro 8.903,00 oltre accessori: nella palese insufficienza del (solo) generico riferimento al passaggio argomentativo del provvedimento, relativo ad una stima di equo riconoscimento “tenuto conto delle ore di lavoro eccedenti l’orario settimanale (40 ore), oltre che della maggiore penosità del lavoro prestato in orario notturno” di “una retribuzione mensile di Euro 1.000,00 al netto delle ritenute” (così succintamente al primo periodo di pg. 12 del ricorso)

7.1. A questo proposito giova chiarire come detto vizio di specificità (in riferimento al profilo di cd. “autosufficienza” o, altrimenti detto, del “principio di autonomia” del ricorso per cassazione), debba essere declinato secondo le indicazioni della recente sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia.

7.1.1. Essa, anche richiamando (al p.to 23 in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense (il quale, nel dichiarato obiettivo di “arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”, ha chiarito che il suo rispetto “non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento”, essendo sufficiente all’osservanza del principio di specificità imposto dal codice di rito, modulato nei criteri di sinteticità e chiarezza, la trascrizione essenziale di atti e documenti, per la parte d’interesse) e il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza (il “PNRR”) adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al p.to 24 in motivazione), ha affermato in sintesi:

a) il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, in quanto destinato a semplificare l’attività del giudice di legittimità e allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ai p.ti 74 e 75 in motivazione);

b) la necessità tuttavia, nell’applicazione concreta, della rispondenza di tale principio ad un criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo, non potendosi giustificare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi, al punto da trasformarsi in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al p.to 81 in motivazione);

c) una tendenza da parte della Corte di cassazione, nell’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso (almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012), a concentrarsi su aspetti formali esorbitanti rispetto alla legittimità dello scopo, in particolare “per quanto riguarda l’obbligo di trascrivere integralmente i documenti inclusi nei motivi di ricorso e il requisito della prevedibilità della restrizione dell’accesso alla Corte” (al p.to 82 in motivazione).

7.2. Nel caso di specie, è fuor di dubbio che non si tratti di un rilievo meramente formale esorbitante rispetto alla legittimità dello scopo, posto che il riscontrato difetto di specificità preclude a questa Corte, in mancanza di trascrizione della parte della sentenza di primo grado di condanna dei datori di lavoro in relazione all’oggetto della domanda della lavoratrice chiaramente individuato, la possibilità di apprezzare il vizio di ultrapetizione denunciato: esso, infatti, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso e ricorrendo quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8148).

8. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e dell’art. 2909 c.c., per non avere la Corte d’appello considerato il giudicato interno formatosi sui capi della sentenza di primo grado, relativi alla condanna dei datori al pagamento della maggiorazione per lavoro straordinario notturno, ferie non godute, tredicesima mensilità, T.f.r.

7. Esso è inammissibile.

8. E’ infatti evidente come la denunciata violazione del giudicato interno, asseritamente formatosi sui medesimi capi della sentenza del Tribunale oggetto della censura di supposta ultrapetizione della sentenza della Corte d’appello, appena disattesa, ne sia il riflesso conseguente, in difetto di prova (e prima ancora di debita trascrizione) delle parti della (prima) sentenza di statuizione di condanna che non sarebbero state impugnate con l’atto di appello.

8.1. Inoltre, giova ribadire che in tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, per l’esercizio dalla Corte di Cassazione del potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, occorra necessariamente che il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma, per il già illustrato “principio di autonomia” del ricorso per cassazione (nella declinazione coerente con la recente “sentenza Succi” della Corte EDU), indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso scopo, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio. Sicché, senza l’assoluzione di un tale onere della parte deducente ogni esame della stessa è precluso (Cass. 15 marzo 2019, n. 7499; Cass. 15 settembre 2021, n. 25012): come appunto nel caso di specie. 9. Con il quarto, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti con la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., degli artt. 2099, 2107 e 2108 c.c., e del CCNL per collaboratori familiari 24 gennaio 2007, artt. 10, 11, 15, 16, 18, 37 e 39; in particolare, ella denuncia l’obiettiva incomprensibilità delle ragioni per le quali la Corte d’appello avrebbe ritenuto congrua, per sufficienza e proporzionalità ai sensi dell’art. 36 Cost., la retribuzione (di Euro 800,00 mensili) corrisposta alla lavoratrice, senza neppure spiegare il fondamento decisorio del rigetto della domanda di condanna datoriale al pagamento di tredicesima mensilità, lavoro straordinario notturno (nonostante le risultanze istruttorie di una prestazione lavorativa di dodici ore notturne, di cui la stessa Corte dà atto), ferie non godute, T.f.r..

10. Esso è infondato.

10.1. Non si configura alcuna omissione di esame di un fatto storico, peraltro soltanto enunciata nella rubrica, per la declinazione, nel contenuto del mezzo, di un vizio di omessa motivazione, ricorrente qualora la motivazione manchi del tutto, nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione, ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, riconoscendola come giustificazione del decisum (Cass. 18 settembre 2009, n. 20112); sicché, la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. 14 febbraio 2020, n. 3819): certamente insussistente nel caso di specie.

10.2. Ed infatti, la Corte territoriale ha adeguatamente e congruamente argomentato il proprio ragionamento decisorio, per le ragioni esposte (ai primi quattro alinea e al terzo capoverso di pg. 7 della sentenza), in modo coerente con le conclusioni tratte dal critico esame delle risultanze istruttorie in merito al corretto inquadramento delle mansioni della lavoratrice, in relazione all’orario lavorativo accertato come provato: in applicazione dei principi di diritto regolanti la materia di una sufficiente retribuzione, ai sensi dell’art. 36 Cost., dei rapporti di lavoro non regolarizzati in virtù dell’utilizzazione, con assunzione corretta in via parametrica del minimo contributivo del CCNL del settore corrispondente a quello dell’attività del datore di lavoro per la determinazione di una giusta retribuzione, ai sensi dell’art. 36 Cost. (Cass. 15 ottobre 2010, n. 21274), con esclusione delle voci retributive legate all’autonomia contrattuale, come ad esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità e la quattordicesima mensilità (Cass. 20 gennaio 2021, n. 944). E una tale operazione, in ordine alla ravvisata congruità in concreto, si risolve in un apprezzamento in fatto spettante al giudice di merito, insindacabile, ove congruamente argomentato, in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 1998, n. 3218; Cass. 29 marzo 2010, n. 7528).

10.3. In buona sostanza, non ricorre una corretta deduzione della violazione denunciata di norme di diritto e di CCNL, integrata da un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; posto che, nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non ricorrente per le ragioni dette.

11. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce infine nullità della sentenza per violazione degli artt. 416,437 e 115 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale abbia pronunciato su “nuove contestazioni” in ordine ai fatti allegati dalla lavoratrice a fondamento della sua domanda, con particolare riguardo al difetto di prova di mancata fruizione delle ferie.

12. Esso è inammissibile.

13. Anche qui, richiamate le ragioni illustrate ai capi 7.1. e 7.1., il mezzo difetta di specificità, ancora una volta in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per la mancata trascrizione essenziale degli atti (comparsa di costituzione in primo grado dei datori e appello: entrambi in parte qua) dai quali questa Corte possa ricavare la novità della contestazione denunciata: effettivamente rientrante nel divieto di nova in appello, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., per l’imposizione dall’art. 416 c.p.c. di un onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, sia per l’alterazione della parità delle parti, oltre che per la modificazione dei temi di indagine, con la trasformazione del giudizio di appello da revisio prioris instantiae in iudicium novum, di nuove contestazioni in secondo grado: Cass. 28 febbraio 2014, n. 4854; Cass. 10 febbraio 2018, n. 2529); per giunta risultando la contestazione dei datori di lavoro, nella costituzione in giudizio di primo grado, di una discontinuità del lavoro della ricorrente (come illustrato al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza).

14. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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