Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7262 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. I, 26/03/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.E. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 79, presso l’avvocato CIOCIOLA

ROBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GENOVESI SERGIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.R. (c.f. (OMISSIS)) elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BISSOLATI 76 presso l’avvocato GARGANI

BENEDETTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALLORO MAURIZIO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVAGO Salvatore;

lette le conclusioni scritte del Cons. Deleg. SALVAGO:

ricorrendo una delle ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., n. 5, il

ricorso debba essere deciso in Camera di consiglio.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Brescia con sentenza del 14 febbraio 2007 ha confermato la sentenza del Tribunale di Mantova del 25 maggio 2004 che aveva dichiarato C.E. padre naturale di A. R., nato a (OMISSIS), osservando che la prova della paternita’ si ricavava:

a) dalle deposizione della madre A.V., ritenuta attendibile anche perche’ non era stata indotta da alcun interesse ad affermare siffatta circostanza (la donna non aveva mai reclamato denaro o altro al riguardo dal C.);

b) dalla deposizione del teste D.A. che aveva raccolto un’ammissione al riguardo dello stesso C.;

c) dal comportamento di quest’ultimo che per ben due volte aveva rifiutato di sottoporsi agli accertamenti genetici disposti in corso di causa.

Per la cassazione della sentenza il C. ha proposto ricorso per due motivi, cui resiste l’ A.R. con controricorso. E’ stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso, il C., deducendo violazione degli artt. 132 e 246 c.p.c., nonche’ reiterati difetti di motivazione, si duole che la sentenza impugnata non abbia considerato che A.V. con ricorso del 18 novembre 2004 aveva chiesto un sequestro conservativo sui suoi beni per un importo di Euro 250.000,00 per il rimborso degli alimenti corrisposti al figlio (il conseguente giudizio era tuttora pendente), percio’ smentendo il suo disinteresse per la vicenda; e che detta testimonianza era stata ritenuta decisiva per la risoluzione della controversia, con la conseguenza che dimostratane l’inattendibilita’ perdeva consistenza pure l’altra testimonianza giudicata mero indizio a conferma di questa.

Le censure sono manifestamente infondate.

Come infatti si legge in detta relazione, che il Collegio condivide, anzitutto nessuna delle censure sembra avere colto l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello ha fondato la statuizione di conferma della decisione di primo grado sulla valutazione congiunta ex art. 116 c.p.c., nonche’ sulla corrispondenza, degli elementi suddetti percio’ considerati nel loro complesso; in particolare privilegiando nel loro ambito non certamente la deposizione dell’ A., bensi’ il reiterato rifiuto del C. di sottoporsi a prelievi ematici: in relazione al quale ha specificamente affermato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, espressamente menzionata, tale rifiuto soprattutto se posto in correlazione con le dichiarazioni della madre, era da solo sufficiente a fornire la prova della paternita’ contestata (pag. 11).

Per cui tale parte della motivazione, non posta in discussione dal ricorrente ne’ con riguardo all’interpretazione del comportamento da lui tenuto, ne’ in relazione alla valenza probatoria attribuitagli dalla giurisprudenza di legittimita’ e’ da sola sufficiente a legittimare la decisione impugnata a prescindere dalle censure dallo stesso rivolte alla valutazione delle altre risultanze istruttorie.

Si deve aggiungere che neppure quelle dirette nei confronti della testimonianza dell’ A. colgono nel segno: perche’ da un lato la deposizione e’ stata utilizzata dalla Corte territoriale in conformita’ all’indirizzo di questa Corte secondo il quale “l’inidoneita’, sancita dall’art. 269 c.c., u.c., della sola dichiarazione della madre e della sola esistenza di rapporti tra questa ed il preteso padre all’epoca del concepimento a costituire prova della paternita’ stessa, non e’ assimilabile al divieto assoluto di utilizzazione di simili dichiarazioni, non potendosi escludere, coerentemente con il disposto dell’art. 116 c.p.c., comma 2 che il giudice possa utilizzarle, come argomento di prova, al pari di tutti gli altri comportamenti tenuti dalle parti medesime in corso di giudizio, coniugandone il contenuto con altri simili argomenti, cosi’ da fondare, sul risultato complessivamente ottenuto in tal guisa, il proprio legittimo convincimento (Cass. 18224/2006;

9307/1997). E dall’altro perche’ l’attendibilita’ della teste e’ stata fondata dai giudici di merito (tra l’altro) sulla circostanza del tutto incontestata che costei fino all’eta’ di 80 anni (in cui aveva reso la testimonianza) e, quindi, per oltre 60 anni non aveva mai chiesto al C. per se’ denaro o altri aiuti economici in seguito alla nascita del figlio: percio’ dimostrando di non essere indotta da ragioni utilitaristiche a rendere quella testimonianza peraltro su di una vicenda che si era verificata nell’anno 1940;per cui non e’ idonea a dimostrare l’illogicita’ di detto giudizio la doglianza del C. che non ne contesta i presupposti di fatto,ma vi contrappone altra circostanza sopravvenuta nel 2004, quale l’intendimento dell’ A., maturato peraltro soltanto dopo la sentenza dei primi giudici che ha dichiarato la paternita’ nei confronti di A.R., di recuperare giudizialmente quella parte degli alimenti che essa aveva corrisposto al figlio anticipandoli per conto del ricorrente; dato che costui, pur essendo tenuto ex lege al loro pagamento, non li aveva mai versati.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso per manifesta infondatezza e condanna C. E. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell’ A. in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorario di difesa, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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