Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 726 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 15/01/2020), n.726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 29898/2015 proposto da:

Z.D., D.P.G., C.D., gli ultimi due quali

eredi di Z.P., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Cosseria 5, presso lo studio dell’avvocato Paolo Migliaccio che li

rappresenta e difende, congiuntamene e disgiuntamente, con

l’avvocato Danilo Biancospino per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Provincia di Reggio Emilia, in persona del Presidente p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito 23, presso lo studio

dell’avvocato Claudio Macioci che la rappresenta e difende,

congiuntamente e disgiuntamente, con l’avvocato Francesca Preite per

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 2201/2015 della Corte di appello di Bologna,

pubblicata il 27/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione dei motivi 1 e 2 del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Danilo Biancospino che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bologna, con l’ordinanza in epigrafe indicata, in accoglimento del ricorso proposto ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., dalla Provincia di Reggio Emilia avverso la determinazione dell’indennità di esproprio dovuta a Z.D., D.P.G. e C.D., quantificata dalla terna arbitrale di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, nell’apprezzata vocazione edificatoria dei terreni ablati, nella misura di Euro 1.810.896,63, ha accertato l’ammontare dovuto, ritenuta la natura agricola delle aree espropriate, nella minore somma di Euro 668.725,00.

2. Il compendio immobiliare espropriato, di proprietà di Z.D. e P., contrassegnato al catasto terreni del Comune di Reggio Emilia al foglio (OMISSIS), mapp.li nn. (OMISSIS) e pari ad un lotto di mq. 26.149, ricompreso in un più ampio intervento di mq. 43.249, era finalizzato, nelle determinazioni della Provincia, alla realizzazione di un polo scolastico per un progetto di “Riorganizzazione scuole superiori di Reggio Emilia”, recepito nel Piano Regolatore Generale (P.R.G.) dal Comune di Reggio Emilia con Delib. Consiliare 22 settembre 2008, di approvazione di variante urbanistica, all’interno di un’area sino ad allora avente destinazione urbanistica in parte a zona agricola a valenza paesaggistica, in parte ad infrastrutture per la viabilità ed in parte a verde di ambientazione stradale e ferroviaria.

In seguito all’approvazione in data 15.11.2011 del progetto definitivo dell’opera con espressa dichiarazione di pubblica utilità, la Provincia di Reggio Emilia, quale ente espropriante, offriva ai proprietari una indennità provvisoria non accettata; in data 8.4.2013 veniva emesso il decreto di esproprio.

3. Sull’indicato ante fatto, la Corte di merito, apprezzata la natura lenticolare del vincolo espropriativo ed esclusane l’incidenza ai fini indennitari, riteneva che la ricomprensione delle aree ablate nel “perimetro urbanizzato” del Comune di Reggio Emilia – come individuato dal Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) e dal Piano Operativo Comunale (P.O.C.) -, giusta la previsione di cui alla L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, art. 20, comma 1, non avrebbe consentito, per ciò solo, di attribuire ai terreni espropriati vocazione edificatoria.

La legge regionale avrebbe dovuto intendersi, del resto, nell’esegesi operatane dalla Corte territoriale, non quale strumento di attribuzione dell’edificabilità legale, ma, piuttosto, di delimitazione de “l’ambito territoriale all’interno del quale, unicamente, le singole amministrazioni possono, in sede di programmazione urbanistica generale, riconoscere la possibilità di edificare”.

Accertata invece la natura agricola dei terreni, i giudici di appello ragguagliavano l’indennità di esproprio al corrispondente valore di mercato.

4. Z.D., D.P.G. e C.D., gli ultimi due quali eredi di Z.P., nelle more del giudizio deceduto, ricorrono per la cassazione dell’indicata ordinanza, con tre motivi.

Resiste con controricorso la Provincia di Reggio Emilia.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

In seguito alla Camera di consiglio è stata deliberata l’ordinanza che segue.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In ricorso vengono articolati tre motivi.

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti, che reclamano il riconoscimento della indennità di esproprio nei valori stimati dalla commissione tecnica di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, o, almeno, in quelli fatti propri dal consulente tecnico di ufficio nominato nel giudizio di merito, deducono la violazione e falsa applicazione della L.R. Emilia Romagna 19 dicembre 2002, n. 37, art. 20, comma 1, rubricata “Disposizioni regionali in materia di espropri”, che, nel disciplinare la materia della indennità di esproprio, stabilisce che, in ambito regionale, l’edificabilità legale “è presente nelle aree ricadenti all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC (Piano Strutturale Comunale) ai sensi della L.R. n. 20 del 2000, art. 28, comma 2, lett. d) e nelle aree cui è riconosciuta dalle previsioni del POC (Piano Operativo Comunale)”.

L’oggetto del giudizio, relativo alla stima dell’indennità di esproprio da conseguirsi dai proprietari di un terreno adibito alla realizzazione di polo scolastico, sarebbe rientrato, per la materia relativa al “Governo del territorio” e per quella della “Istruzione”, tra le attribuzioni proprie della potestà legislativa regionale concorrente da esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal legislatore statale (art. 117 Cost., comma 3).

Prospettiva che, affermativa del carattere cedevole della legislazione statale nel rapporto con quella regionale, sarebbe stata rimarcata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 5, comma 1, contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” là dove è stabilito che “Le Regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale nonchè dei principi generali dell’ordinamento giuridico desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico”.

La norma regionale (art. 20 Legge cit.) sarebbe valsa, nel suo complesso, a fissare le qualità essenziali, ai fini indennitari e non soltanto urbanistici, dell’edificabilità legale, con lo stabilirne la sussistenza in ragione della ricomprensione delle aree ablate nel “territorio urbanizzato” del Comune, secondo le previsioni del P.R.G. (Piano Regolatore Generale) e del P.S.C. (Piano Strutturale Comunale) al momento dell’apposizione del vincolo attraverso l’adozione della variante urbanistica e, successivamente, alla data del decreto di esproprio.

Ricostruiti in siffatti termini i contenuti della norma regionale, l’ordinanza impugnata ne avrebbe offerto una interpretazione errata, attribuendo al P.S.C. natura di solo strumento di delimitazione dell’ambito territoriale all’interno del quale le amministrazioni locali possono riconoscere, a mezzo degli strumenti di pianificazione urbanistica generale, la possibilità di edificare.

La L.R. Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 20, art. 28, comma 1, rubricata “Disciplina generale sulla tutela ed uso del territorio”, farebbe del P.S.C. uno strumento di pianificazione urbanistica generale, senza la capacità di conferire potenzialità edificatoria al territorio comunale mediante classificazione in urbanizzato, urbanizzabile e rurale; la medesima norma provvederebbe ad attribuire invece al P.O.C. (art. 28, comma 3 lett. e), Legge cit.) il compito di disciplinare l’assetto urbanistico di quel territorio, le destinazioni d’uso e gli indici edilizi.

La L. n. 37 del 2002, art. 20, per i segnati contenuti, non avrebbe avuto quindi attinenza con la disciplina urbanistica del territorio e sarebbe valso ad integrare, diversamente da quanto ritenuto dai giudici territoriali, quell’edificabilità legale destinata a conformare il criterio di liquidazione delle indennità in favore dei proprietari espropriati.

1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.P.R. n. 327 n. 2001, art. 32, comma 1 e art. 37, comma 3.

In ragione degli strumenti urbanistici in applicazione al momento dell’adozione del decreto di esproprio – ai quali, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 32, comma 1 e secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, doveva aversi riguardo per individuare la strumentazione urbanistica determinativa della destinazione dei terreni – le aree ablate sarebbero rientrate in una zona residenziale di espansione in cui l’attività edificatoria, finalizzata alla realizzazione di attrezzature scolastiche, inserendosi in un contesto urbanizzato sarebbe stata consentita, anche, all’iniziativa privata.

1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, comma 12 e art. 54.

La Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione ove avesse correttamente inteso la L.R. n. 37 cit., là dove, all’art. 25, comma 2, lett. b), essa definiva quale “arbitraggio” la stima dei periti di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21.

2. La Provincia di Reggio Emilia resiste con controricorso in cui deduce l’erroneità della interpretazione della legge regionale di cui si farebbero portatori gli articolati motivi.

La cit. L.R. n. 37, art. 20, non avrebbe chiarito quale valore attribuire ai terreni che, benchè ricompresi nel perimetro urbanizzato, non abbiano poi alcuna possibilità legale di edificazione per la presenza di vincoli derivanti da destinazioni urbanistiche o per difetto di strumenti di attuazione del P.S.C..

La destinazione ad edilizia scolastica e universitaria con vincolo preordinato all’esproprio – avviata, su istanza della Provincia, unico soggetto legittimato all’attuazione dell’ampliamento del polo scolastico a cui l’intervento era diretto, e realizzata con Delib. Consiglio Comunale 22 settembre 2008, n. 206, di approvazione della variante al P.R.G. – sarebbe stata attribuita ad un’area che aveva, in precedenza, una destinazione agricola.

Le ulteriori censure sarebbero state inammissibili in quanto di squisito merito.

3. Con successive memorie le parti insistono nelle rispettive posizioni, deducendo, la Provincia, l’inedificabilità assoluta dell’area ablata, nella sussistenza di vincoli paesaggistici ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004 e i ricorrenti, in ulteriore replica, la non deducibilità ex novo della questione.

4. Nella disamina del proposto ricorso per cassazione riveste evidente carattere pregiudiziale la questione oggetto del terzo motivo.

Si deduce dai ricorrenti l’erronea interpretazione che la Corte bolognese avrebbe riservato alla L.R. n. 37 del 2002, art. 25, comma 2, lett. b), il quale, attribuendo espressamente alla stima arbitrale di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, la natura di “arbitraggio”, avrebbe dovuto condurre, ove correttamente inteso, a dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione proposta dalla provincia cit. D.P.R. n. 327, ex art. 54.

La questione, incidentalmente delibata, appare tuttavia inidonea a definire il giudizio.

Il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, nella versione novellata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 37, ratione temporis applicabile, prevede per il proprietario espropriato, il promotore dell’espropriazione e il terzo che ne abbia interesse, la facoltà di impugnare dinanzi all’autorità giudiziaria la stima fatta dai tecnici, ai sensi dell’art. 21 D.P.R. cit., e, comunque, di ottenere la determinazione giudiziale della indennità senza limitazioni concernenti la cognizione che l’autorità stessa può esercitare e il suo ambito.

La qualificazione in termini di “arbitraggio”, che la L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, attribuisce con l’art. 25, comma 2, lett. b) alla stima rimessa alla terna arbitrale, non è idonea ad incidere su tale assetto, rispondente ad un principio fondamentale posto dalla legislazione statale.

L’accesso pieno all’accertamento giurisdizionale del diritto all’indennità, inteso anche come diritto alla giusta indennità, è un valora cardine espresso dall’ordinamento, come si ricava dalla stabile interpretazione offerta della giurisprudenza di legittimità (ex multis: Cass. 30/08/2007 n. 18314; Cass. 21/10/2011 n. 21886; Cass. 04/02/2016 n. 2193) e risponde a precise direttive di ordine costituzionale (art. 24 Cost., comma 1 e art. 113 Cost., commi 1 e 2).

5. Lo scrutinio del primo motivo, logicamente consequenziale, induce questa Corte a dubitare della legittimità costituzionale della L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, art. 20, recante “Disposizioni regionali in materia di espropri”, e in particolare del suo comma 1.

L’art. 20, titolato “Edificabilità legale”, prevede che:

“1. Ai fini della determinazione dell’entità dell’indennità di esproprio, la possibilità legale di edificare è presente nelle aree ricadenti all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC ai sensi della L.R. n. 20 del 2000, art. 28, comma 2, lett. d) e nelle aree cui è riconosciuta dalle previsioni del POC.

2. Per i Comuni dotati di Piano regolatore generale (PRG), approvato ai sensi della L.R. 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del territorio), l’edificabilità legale è riconosciuta:

a) alle aree inserite all’interno del perimetro del territorio urbanizzato;

b) alle aree ricadenti nei perimetri degli strumenti urbanistico-attuativi vigenti;

c) alle aree interessate dalle previsioni del programma pluriennale di attuazione, per i Comuni dotati di tale strumento”.

6. La Corte di appello di Bologna erra là dove assegna alle disposizioni di “edificabilità legale”, sopra dettate, una funzione di mera programmazione del territorio, espressiva del potere conformativo esercitato dall’Amministrazione regionale attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica generale.

I contenuti letterali della L. n. 37 del 2002, art. 20, dove in esordio si afferma che “Ai fini della determinazione dell’entità dell’indennità di esproprio…”, e la sua sistematica, per inserimento nel Titolo V, dettato sulla “Edificabilità legale e di fatto e commissioni provinciali per la determinazione del valore agricolo medio”, ricompreso, a sua volta, nel Capo I della legge, relativo alla “Edificabilità legale e di fatto”, indicano invece che le disposizioni assolvono la diversa finalità di diretta individuazione del criterio di quantificazione della indennità di esproprio.

Categorie proprie della disciplina urbanistica sono impiegate dal legislatore regionale per ottenere l’effetto, autonomo e traslato, di incidere sulla determinazione finale di tale indennità.

Quest’ultima, per tutte le aree interessate da strumenti di pianificazione urbanistica generale, è stabilita con riferimento a parametri non effettivi ma convenzionali.

In particolare, per quel che più direttamente interessa la presente causa, l’indennità è sempre commisurata ai valori propri dei terreni edificabili, ove l’area, ricomprendente il fondo espropriato, sia inserita all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal P.S.C..

7. La L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, art. 20, comma 1, che tanto dispone, è, in questa parte, norma di diretta determinazione del diritto all’indennità di esproprio; nonchè norma diretta a conformarla, ragguagliandone comunque il contenuto solo che ricorra la condizione dell’intervenuta definizione del citato strumento di programmazione generale e l’intervento ablativo cada all’interno del perimetro urbanizzato – ai valori previsti per le aree a vocazione edificatoria, indipendentemente dalla effettiva edificabilità del suolo secondo la pianificazione urbanistica concretamente operante.

Tale disciplina sembra incompatibile, sotto più profili, con il vigente assetto costituzionale.

8. Il dubbio di legittimità costituzionale nasce anzitutto a cospetto dell’art. 117 Cost., comma 3.

9. Questa Corte ha di recente rilevato che l’espropriazione costituisce istituto “trasversale”, servente e strumentale ad ogni interesse pubblico cui risulti funzionale l’acquisizione di un bene, come tale oggetto di disciplina dello Stato e delle Regioni nelle materie in cui tali enti hanno potestà legislativa (Cass. 12/05/2017 n. 11921).

L’espropriazione individua orizzontalmente una funzione che può esplicarsi in varie materie regionali, tra cui principalmente rileva quella dell’urbanistica e del governo del territorio, la quale ricade tra le materie di legislazione concorrente ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3.

In linea con tale impostazione appare il D.P.R. n. 327 del 2001, vigente art. 5, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, secondo il quale le Regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale nonchè dei principi generali dell’ordinamento giuridico, desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico medesimo.

L’art. 42 Cost., comma 3, nel consentire l’espropriazione della proprietà privata per motivi di interesse generale nei casi previsti dalla legge, garantisce il diritto all’indennità al proprietario espropriato. La disposizione trova eco nell’art. 834 c.c., che al comma 1, stabilisce che nessuno possa essere privato della proprietà dei beni se non per una causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata e dietro il pagamento di una “giusta indennità”.

10. Secondo la giurisprudenza costituzionale nel tempo consolidatasi (Corte Cost., nn. 348 e 349 del 2007, 181 del 2011, 187 del 2014, 90 del 2016), la determinazione dell’indennità espropriativa non può prescindere dal valore reale del bene espropriato; il legislatore, pur non avendo l’obbligo di commisurare integralmente l’indennità al valore di mercato, non può trascurare tale parametro, che costituisce importante termine di riferimento ai fini dell’individuazione dell’indennità congrua, in modo da garantire il “giusto equilibrio” tra l’interesse generale e gli imperativi dettati dalla salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.

Tali principi sono opportunamente declinati nel capo VI del titolo II del D.P.R. n. 327 del 2001.

Se l’area è edificabile, l’indennità si determina in misura pari al valore venale del bene, salva la riduzione del venticinque per cento quando l’intervento ablativo sia finalizzato ad attuare interventi di riforma economico-sociale (art. 37, comma 1).

Se l’area non è edificabile, l’indennità si determina in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola (art. 40, comma 1).

La giustapposizione tra le due norme già evidenzia la ineludibile differenziazione di disciplina tra le due fattispecie, là dove poi il citato D.P.R. n. 327, art. 37, comma 3, dichiara che, agli specifici fini della determinazione dell’indennità di esproprio, debbano considerarsi “le possibilità legali ed effettive di edificazione”, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione.

11. Ai fini suindicati, il legislatore nazionale ha dunque prescelto, quale criterio di principio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato cui commisurare l’indennità, quello dell’edificabilità legale, per il quale, nell’assetto segnatone dalla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, un’area va ritenuta edificabile quando essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, restando ciò escluso tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente; nè rileva, in tali ultime ipotesi, che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici, atteso che l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione preso in considerazione dalla menzionata normativa agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello “ius aedificandi” connesso al diritto di proprietà (Cass. 23/05/2014 n. 11503; Cass. 21/06/2016 n. 12818; Cass. 24/06/2016 n. 13172).

Lungo l’indicato percorso interpretativo si inserisce ancora l’affermazione per la quale, il richiamo al carattere della concretezza fa sì che venga in rilievo la classificazione operata dallo strumento di programmazione al momento di adozione del decreto di esproprio, e non ogni qualificazione, in astratto nel primo compresa, che prescinda dalla natura effettiva dell’intervento ablativo sul territorio.

Il criterio della edificabilità legale riveste, dunque, posizione di primazia, imponendo esso di considerare l’attitudine allo sfruttamento edilizio alla stregua della disciplina urbanistica vigente senza che ciò escluda che l’edificabilità di fatto possa costituire criterio integrativo necessario alla verifica della concreta realizzazione di costruzioni e alla quantificazione delle potenzialità di utilizzo del suolo al momento in cui si compie la vicenda ablativa (da ultimo, Cass. 26/06/2019 n. 17115).

Con l’effetto che nel combinarsi dei due criteri, nell’indicato loro rapporto di complementarietà, va esclusa l’edificabilità di un suolo quando le dimensioni dell’area sono insufficienti per edificare, per l’esaurimento degli indici di fabbricabilità della zona, per la distanza dalle opere pubbliche o per i vincoli legislativi urbanistici (Cass. 27/03/2014 n. 7251; Cass. 29/02/2016, n. 3952; Cass. 11/04/2016, n. 7075; Cass. 24/06/2016, n. 13172; Cass. 12/07/2016 nn. 14185 e 14186; Cass. 07/10/2016 n. 20241).

12. I principi fondamentali, desumibili dalla legislazione statale in materia, con il limitare l’esercizio della potestà legislativa regionale concorrente, muovendo dal concetto di edificabilità legale, inteso come possibilità di edificazione effettiva, alla stregua degli strumenti urbanistici vigenti e applicabili, si fanno sostenitori di una tendenziale commisurazione dell’indennità di espropriazione al valore commerciale e di mercato del bene espropriato.

Commisurazione che resta derogabile, ma in peius, e tanto nell’ottica del giusto contemperamento tra il diritto individuale e l’interesse generale, nella necessità di rapportare l’indennità dovuta all’effettivo pregiudizio patito dal privato espropriato, in funzione del principio dell’adeguato ristoro, ma anche dell’esigenza di non consentire un’indebita locupletazione, come sarebbe se non si tenesse anche conto della potenzialità edificatoria di fatto posseduta dal bene legalmente edificabile.

Con tali principi sembra a questa Corte di legittimità contrastare una disciplina regionale che, ai soli fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, estende la nozione di edificabilità legale oltre l’ambito semantico a tale definizione logicamente attribuibile, assegnando valore edificatorio fittizio a immobili sui quali i vigenti strumenti urbanistici non consentono realmente al privato di costruire, e per il solo fatto che l’area di pertinenza del fondo ricada all’interno del perimetro di territorio urbanizzato, quale individuato dallo strumento di programmazione generale (P.S.C.).

13. Prima di ogni altro rilievo, non sfugge a questa Collegio che la L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, abbia in altra occasione impegnato la Corte costituzionale con la sentenza n. 73 del 2004, più puntualmente adottata sull’art. 22 relativo alla edificabilità di fatto.

In siffatto giudizio nelle conclusioni del Giudice delle leggi per i parametri costituzionali ivi in scrutinio non venivano in rilievo prestazioni concernenti diritti civili, e neppure la capacità della norma e del criterio ivi disciplinato, di incidere sull’esigenza di assicurare uniformità nella determinazione dell’indennità di esproprio.

L’art. 22 della Legge Regionale impugnata stabilisce, rilevava la Consulta, quando un terreno presenta i caratteri dell’edificabilità di fatto, senza nulla affermare però sul ruolo da riconoscere a tale elemento ai fini della determinazione dell’indennizzo, se non che il medesimo non può prescindere dalla sussistenza dell’edificabilità legale.

L’edificabilità legale restava come tale concetto non investigato e tanto nell’ulteriore rilievo che la disposizione censurata non avrebbe individuato “modalità o criteri di calcolo dell’indennizzo” nè “quantifica-to l’entità dello stesso”, nell’inciso, sul punto, che, proprio a siffatto proposito “semmai, potrebbe porsi un’esigenza di definizione uniforme” (punto 8 del “Considerato in diritto”).

La pronuncia lascia aperto pertanto, per i segnati passaggi, ogni ulteriore dialogo tra Corti sviluppato nei termini che seguono.

14. La determinazione dell’indennità di esproprio deve in principio riflettere, occorre qui ribadire, l’effettiva destinazione urbanistica del fondo espropriato, fondata sulla classificazione risultante dagli strumenti urbanistici vigenti all’epoca della vicenda ablativa, dovendo l’edificabilità di fatto, avente riguardo alle caratteristiche obiettive della zona ed alle concrete possibilità di sfruttamento del fondo espropriato, valere come un criterio meramente sussidiario e complementare, utilizzabile in mancanza di strumenti urbanistici oppure ai fini della concreta determinazione del valore venale di un immobile del quale sia stata già previamente accertata l’edificabilità legale (Cass. 14/02/2012, n. 2062; Cass. 22/08/2011, n. 17442; Cass. 27/03/2014, n. 7251).

Rispetto a tale regola-guida, questa Corte ha invero già preso atto di recenti indirizzi della legislazione regionale in materia urbanistica, che, pur senza pervenire ad un integrale superamento del sistema della zonizzazione, affermatosi nella legislazione statale fin dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150 e prevalso soprattutto a seguito del D.M. 2 aprile 1968, si è orientata in senso favorevole all’adozione di principi perequativi, volti a distribuire equamente tra tutti i proprietari delle aree interessate ai programmi di trasformazione urbana i vantaggi e gli oneri determinati dalle scelte di pianificazione, in modo da evitare il sacrificio, ad esempio, delle zone individuate come sedi di attrezzature e servizi pubblici a vantaggio di quelle residenziali (Cass. 07/09/2018, n. 21914).

Ma tanto posto, è tuttavia da escludere che l’adozione di tali tecniche possa risolversi nell’attribuzione generalizzata del carattere di edificabilità alle aree ricadenti nel perimetro urbano, che non realizza alcuna traslazione di volumi edificatori, nè attua alcuna redistribuzione, equitativa e compensativa, dei carichi urbanistici, funzionale ad esaltare la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost., comma 2), ma si risolve in un indiscriminato arricchimento dei privati proprietari, facendo sì che il valore di mercato del fondo, da assumere come riferimento ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione, possa essere determinato – anche indipendentemente dall’adozione di misure di riequilibrio a carico delle proprietà finitime, o dalla stipula di accordi di cessione che consentano economie di gestione della procedura, e quindi con ricadute che finiscono per gravare unilateralmente la finanza pubblica – secondo modalità che totalmente prescindano dalla valutazione delle concrete possibilità di sfruttamento del suolo a fini edilizi.

15. La L.R. Emilia Romagna n. 37 del 2002, art. 20, comma 1, sembra contrastare, in parte qua, anche con l’art. 3 Cost., comma 1.

16. L’indiscriminata attribuzione di “edificabilità legale”, in funzione della sola quantificazione dell’indennità di espropriazione, ai terreni espropriati ricadenti nel perimetro urbanizzato secondo le previsioni del P.S.C., determina una irragionevole quantificazione “al rialzo” della indennità medesima all’interno dei confini della Regione Emilia Romagna rispetto al restante territorio nazionale, ogni qualvolta i terreni medesimi siano privi di effettiva vocazione edificatoria.

Ciò pare rappresentare un vulnus al principio di uguaglianza formale, in quanto è pregiudicata l’esigenza di garantire, sul territorio nazionale medesimo, parità di trattamento nella strutturazione di un istituto squisitamente privatistico qual è il diritto di proprietà.

Il trattamento differenziato, sancito dalla legislazione regionale dell’Emilia Romagna in punto di quantificazione della indennità di esproprio attraverso la torsione del criterio della “edificabilità legale”, sortisce l’effetto di mettere in crisi lo statuto unitario della proprietà, definito dalla legislazione civile, in un aspetto rilevante quale quello attinente la nozione di “giusta indennità” ex art. 834 c.c.; nozione predicativa della imprescindibilità di una siffatta posta in favore del proprietario espropriato, ma anche della ragionevole uniformità territoriale della sua regolamentazione.

Sotto questo profilo, la violazione dell’art. 3 Cost., si ricollega idealmente a quella dell’art. 117 Cost., comma 3.

Per costante giurisprudenza costituzionale, consolidatasi ante riforma del Titolo V, il limite del diritto privato in quanto a tutela dell’uniformità di disciplina dei relativi rapporti opera, infatti, anche rispetto alle materie di legislazione concorrente (Corte Cost., nn. 35 del 1992, 441 del 1994, 352 del 2001).

Tale limite, in quanto di principio e come tale destinato ad attraversare la materia del governo del territorio per scelte di gestione dell’Ente territoriale operate con lo strumento della pianificazione generale, non dovrebbe consentire, nella specie, al legislatore regionale – ad espropriazione ormai decretata, allorchè entra in gioco la definizione di un rapporto civilistico di obbligazione – di incidere sugli assetti dominicali interessati dall’intervento autoritativo, differenziandone i valori a parità di effettivo presupposto urbanistico.

Definito il procedimento amministrativo di esproprio per norme di azione in cui a venire in rilievo è la gestione del territorio nel rapporto tra privato e pubblica Amministrazione, vive poi come limite al potere amministrativo che al primo momento si lega, il diritto privato, in quanto limite di “principio”, diretto a dare contenuto allo statuto proprietario anche per gli effetti di ristoro derivanti dalla sua lesione.

17. Il principio di uguaglianza formale pare violato anche sotto il profilo della ingiustificata equiparazione di situazione giuridiche diverse.

Il medesimo ristoro economico è assicurato ai proprietari di immobili aventi diversa destinazione urbanistica, e con essa all’evidenza diverso valore di mercato, solo perchè accomunati dal fatto di essere ricompresi nel perimetro urbanizzato definito dal menzionato strumento di programmazione generale.

Tale assimilazione di disciplina di realtà dominicali profondamente diverse risulta in sè irrazionale, in quanto si pone in contrasto con il citato principio di uguaglianza nella sua declinazione “in negativo” (obbligo di trattare situazioni diverse in modo ragionevolmente diverso).

18. I dubbi di legittimità costituzionale, così sollevati, sono rilevanti nel presente giudizio, che non può essere definito indipendentemente dalla loro soluzione.

Solo la caducazione della normativa regionale censurata consentirebbe di tenere ferma, pur con diversa motivazione, e salvo lo scrutinio ulteriore del secondo motivo, l’ordinanza impugnata.

La reiezione della questione di legittimità costituzionale si tradurrebbe in una pronuncia di accoglimento del presente ricorso.

19. Previa declaratoria di rilevanza e non manifesta infondatezza, gli atti debbono essere pertanto trasmessi alla Corte costituzionale.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 23.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, visti l’art. 134 Cost. e L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23:

– dichiara rilevante e non manifestamente infondata – per contrasto con il art. 3 Cost., comma 1 e art. 117 Cost., comma 3 – la questione di legittimità costituzionale della L.R. Emilia Romagna 19 dicembre 2002, n. 37, art. 20, comma 1, nella parte in cui stabilisce che, ai fini della determinazione dell’entità dell’indennità di esproprio, la possibilità legale di edificare è presente nelle aree ricadenti all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC ai sensi della L.R. n. 20 del 2000, art. 28, comma 2, lett. d) e dispone la sospensione del presente giudizio;

– ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte ed al Presidente della Giunta regionale;

– ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere al Presidente del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna;

– dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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