Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7257 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. III, 30/03/2011, (ud. 21/02/2011, dep. 30/03/2011), n.7257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4760/2009 proposto da:

M.M. (OMISSIS), in proprio e quale erede del sig.

N.V., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA A.

MANCINI 4, presso lo studio dell’avvocato CECINELLI GUIDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato INGRILLI’ Enrico giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, in

persona del Ministro pro tempore, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici

dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato per

legge;

– controricorrente –

sul ricorso 5032/2009 proposto da:

MINISTERO LAVORO, della SALUTE POLITICHE SOCIALI (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrenti –

contro

M.M. (OMISSIS), in proprio e quale erede del Sig.

N.V., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA A.

MANCINI 4, presso lo studio dell’avvocato CECINELLI GUIDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato INGRILLI’ ENRICO, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3183/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Seconda Civile, emessa il 1 ottobre 2008, depositata il

26/11/2008; R.G.N. 3387/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/02/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento p.q.r. del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 5 marzo 2003, M.M., in proprio e quale erede del marito N.V., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano il Ministero della Salute, al fine di sentirlo condannare a risarcirle i danni subiti – dal suo dante causa e da lei medesima – in dipendenza di un’infezione cronica e irreversibile da HCV contratta dal marito a seguito di emotrasfusioni praticategli nel periodo compreso tra 23 aprile e l’8 luglio 1988, in vari ospedali della Lombardia, ove il N. era stato ricoverato dopo un incidente stradale. Precisò all’uopo che l’epatite cronica con evoluzione cirrotica aveva determinato il decesso del coniuge il giorno (OMISSIS).

Il Ministero della Salute, costituitosi in giudizio, contestò l’avversa pretesa, segnatamente eccependone la prescrizione e l’infondatezza nel merito.

Con sentenza del 29 aprile 2006 il giudice adito rigettò la domanda.

Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d’appello, in data 26 novembre 2008, in parziale riforma della decisione impugnata, ha condannato il Ministero della Salute al pagamento in favore di M.M., a titolo di risarcimento danni subiti iure proprio a seguito della morte del coniuge, della somma di Euro 120.000,00, oltre interessi.

Per quanto qui interessa, così ha motivato il giudicante il suo convincimento.

La M. aveva agito nei confronti del Ministero chiedendone la condanna al risarcimento di due distinti ordini di danni: da un lato, quelli derivati a lei e al marito N.V. (c.d. vittima primaria), finchè lo stesso era rimasto in vita, dalle lesioni cagionate dal contagio del virus HCV in occasione delle emotrasfusioni praticate nel 1988; dall’altro, il danno da lei medesima direttamente subito per effetto del decesso del coniuge, verificatosi a distanza di circa quattordici anni da tale fatto, ma ugualmente riconducibile all’epatite contratta in quell’occasione.

Il diritto al risarcimento dei pregiudizi conseguenti alle lesioni, nel duplice profilo di quelli patiti dal N. (per il cui ristoro l’attrice aveva agito iure hereditatis) e di quelli da lei stessa sofferti in dipendenza della malattia del marito, era stato correttamente ritenuto estinto per prescrizione dal giudice di prime cure. E ciò in quanto:

a) il termine applicabile era quello quinquennale, ex art. 2947 cod. civ., comma 1, avendo la giurisprudenza di legittimità, proprio con riferimento alla responsabilità per infezioni post-trasfusionali, escluso la configurabilità dei reati di epidemia colposa e di lesioni colpose plurime, con conseguente operatività della prescrizione quinquennale, per le vittime di lesioni colpose, e della prescrizione decennale, per i congiunti che iure proprio agiscano al fine di ottenere il ristoro del pregiudizio derivante dall’omicidio colposo del proprio congiunto (confr. Cass. civ. n. 581 del 2008);

b) del tutto impropria era la prospettazione di una responsabilità contrattuale del Ministero della Salute, non essendo configurabile alcun rapporto, neppure da contatto sociale, tra lo stesso e l’utente della struttura ospedaliera, in conformità a quanto stabilito dal Supremo Collegio (confr. Cass. civ. n. 581 del 2008);

c) il dies a quo del termine andava fissato nel momento in cui il soggetto leso aveva percepito, o avrebbe potuto percepire, usando l’ordinaria diligenza, l’insorgere della malattia quale danno ingiusto conseguente all’altrui condotta illecita dolosa o colposa (confr. Cass. civ. nn. 581 e 584 del 2008), momento che, nella fattispecie, andava individuato nel 28 gennaio 2004, data in cui si era perfezionata la notifica del verbale della Commissione medico- ospedaliera dell’Ospedale militare di (OMISSIS) che aveva reso edotto il N. del nesso eziologico tra l’epatite contratta e le trasfusioni praticategli nel 1988;

d) in mancanza di atti interruttivi, il diritto al risarcimento del danno da malattia, sia in quanto azionato iure proprio, sia in quanto azionato iure hereditatis, era prescritto;

e) in ordine ai danni patiti dalla M. iure proprio a seguito della morte del marito, il diritto al loro ristoro non poteva ritenersi escluso dall’attribuzione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, trattandosi di una provvidenza di carattere assistenziale, elargita in ragione del generale dovere di solidarietà, provvidenza che non escludeva affatto l’operatività delle comuni regole in materia di responsabilità aquiliana (confr.

Cass. civ. n. 11609 del 2005); peraltro, come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 584 del 2008), il sussidio eventualmente già corrisposto al danneggiato andava scomputato dalle somme allo stesso spettanti a titolo di risarcimento;

f) il diritto alla reintegrazione dei danni patiti iure proprio dalla M. in conseguenza della morte del marito non poteva ritenersi prescritto. La sua decorrenza andava invero fissata al momento della morte della vittima c.d. primaria, costituendo questa non già un semplice sviluppo peggiorativo o un aggravamento della malattia epatica, contratta in seguito alla trasfusione, ma un evento nuovo e autonomo, oltre che finale, alla stessa casualmente collegabile (confr. Cass. n. 580 del 2008);

g) doveva affermarsi la responsabilità del Ministero per mancato espletamento dei necessari controlli, essendo verosimile che questi avrebbero impedito l’insorgere della malattia: e tanto in considerazione dell’epoca in cui ebbero luogo le emotrasfusioni – le quali furono effettuate nel 1988 – e in conformità alla giurisprudenza del Supremo Collegio secondo cui il virus dell’epatite B era stato individuato già nel 1978, mentre gli altri due virus, quello della HIV e della HCV (epatite C), costituivano manifestazioni patogene dello stesso fatto lesivo. In tale contesto la colpa dell’amministrazione era in re ipsa, posto che, avendo il Ministero l’obbligo di sorvegliare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus, l’omissione di tale condotta doverosa, integrava la colpa.

Avverso detta pronuncia hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione M.M. e il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, rispettivamente affidati a tre e a otto motivi ai quali l’uno e l’altro intimato hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da M.M. e dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali avverso la stessa sentenza.

2 Il ricorso della M..

2.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta operatività del termine di prescrizione quinquennale relativamente al risarcimento dei danni derivati dal contagio.

Ricorda che nelle sentenze nn. 581 e 583 del 2008 le sezioni unite della cassazione hanno statuito che, in caso di danno da contagio, il termine di prescrizione è di norma quinquennale, a meno che non sia intervenuta la morte del trasfuso, nel qual caso esso è decennale, con decorrenza dal momento in cui il danneggiato abbia avuto consapevolezza della riconducibilità del suo stato morboso alla trasfusione subita. Conseguentemente la domanda di risarcimento danni iure hereditatis non poteva considerarsi prescritta.

Aggiunge che nella sentenza n. 581 del 2008 le sezioni unite hanno specificato che la prescrizione decennale, in caso di configurabilità di omicidio colposo, opera solo con riferimento a quegli attori che abbiano agito iure proprio per il risarcimento del danno causato dal decesso conseguente alla emotrasfusione di sangue infetto. Evidenzia quindi che ella aveva chiesto il risarcimento del danno derivato dal decesso del marito, con conseguente applicabilità del termine di prescrizione decennale.

2.2 Col secondo mezzo la ricorrente lamenta vizi motivazionali con riferimento al disposto dell’art. 2947 cod. civ., comma 3.

Ricorda che, secondo la giurisprudenza del Supremo Collegio, nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, la eventuale, più lunga prescrizione prevista per la fattispecie criminosa, si applica, con decorrenza dalla data del fatto, anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti incidenter tantum la ricorrenza di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi.

3.3 Col terzo motivo l’impugnante deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 cod. civ.. Sostiene che erroneamente il giudice di merito non aveva ravvisato nella fattispecie un’ipotesi di responsabilità contrattuale da contatto sociale, con conseguente durata decennale del termine di prescrizione.

4 Il ricorso del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.

4.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ.. Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito secondo cui, costituendo la morte del N. non già uno sviluppo peggiorativo o un aggravamento della malattia, ma un evento nuovo ed autonomo, il termine di prescrizione doveva dallo stesso decorrere. Non aveva il decidente considerato che, una volta qualificata la morte fatto nuovo, rispetto al contagio HCV, era necessario provare in maniera rigorosa il nesso eziologico tra la stessa e le trasfusioni.

4.2 Col secondo mezzo il Ministero deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.. Sostiene che l’attrice, nel corso di tutto il giudizio di merito, non solo non aveva mai neppure chiesto di provare che la morte del marito costituiva evento autonomo rispetto al contagio epatico, ma aveva dato per scontato che ne rappresentava una evoluzione.

4.3 Col terzo motivo lamenta difetto di motivazione con riferimento all’affermazione secondo cui il decesso del N. costituì un evento nuovo, piuttosto che un aggravamento della pregressa malattia.

4.4 Col quarto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 cod. civ.. Le critiche si appuntano contro l’assunto secondo cui il termine di prescrizione delle richieste risarcitorie avanzate iure proprio dalla M., per il decesso del marito, decorreva dalla morte della vittima c.d. primaria dell’illecito.

Evidenzia l’esponente l’assoluta illogicità dell’affermata estinzione per prescrizione dei danni subiti iure successionis dalla M., e dell’affermata vitalità, invece, di quelli sofferti iure proprio, dovendosi per contro fissare la decorrenza del termine quinquennale per tutti i danni dal momento in cui l’attore aveva avuto contezza del collegamento causale della patologia con le trasfusioni infette.

4.5 Col quinto motivo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 cod. civ., con riferimento alla ritenuta applicabilità del termine di prescrizione decennale. Secondo l’esponente il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno della giurisprudenza del Supremo Collegio che aveva sì precisato che, in caso di morte del danneggiato, la prescrizione deve essere decennale, ma con affermazione da intendersi limitata all’ipotesi che in cui l’evento lesivo abbia tout court provocato la morte del danneggiato, non già quando esso sia costituito dalla contrazione di un contagio.

4.6 Col sesto mezzo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2033 cod. civ., perchè la Corte d’appello, dopo avere affermato che l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato doveva essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento, aveva condannato il Ministero a pagare Euro 120.000,00, senza precisare se da tale somma andasse o meno detratta la provvidenza.

4.7 Col settimo motivo lamenta difetto di motivazione con riferimento alla medesima questione, essendosi il giudice di merito limitato a quantificare la somma in via equitativa, lasciando intendere che non si dovesse operare alcuna detrazione.

4.8 Con l’ottavo mezzo, richiamati i principi enunciati dalle sezioni unite del Supremo Collegio nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, ricorda il ricorrente, in via cautelativa, che i danni liquidabili in caso di affermazione di responsabilità extracontrattuale, sono distinti in due sole categorie – danni patrimoniali e danni non patrimoniale – senza che siano possibili ulteriori sottoclassificazioni.

5 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, ponendo questioni intrinsecamente connesse e, in un certo senso, tra loro speculari, i primi due motivi del ricorso della M. e i motivi da uno a cinque del ricorso del Ministero della Salute.

Pur con qualche confusione espositiva, le censure formulate dalla M. ruotano intorno a un’unica questione: intervenuta la morte della vittima c.d. primaria, i danni derivati dal contagio del virus HCV non potrebbero più ritenersi soggetti al termine di prescrizione quinquennale, operando anche con riferimento ad essi il termine decennale, pacificamente applicabile quando il fatto illecito integri gli estremi della figura criminosa dell’omicidio colposo.

Sul versante opposto, la convenuta Amministrazione contesta l’assunto secondo cui la morte del N. costituì non già uno sviluppo peggiorativo o un aggravamento della malattia epatica contratta a seguito delle trasfusioni, ma piuttosto un evento nuovo ed autonomo, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni patiti iure proprio dalla M., per effetto della morte del coniuge, dal momento del decesso di questi e durata decennale della prescrizione stessa. Secondo il Ministero, invece, la dipendenza causale del decesso dal contagio renderebbe applicabile all’evento morte la prescrizione delle lesioni.

6 Le critiche hinc et inde formulate sono infondate per le ragioni che seguono.

La scissione del danno da contagio, rispetto a quello da morte, sul quale è fondata la scelta decisoria del giudice a quo, sia in punto di durata che di decorrenza del termine di prescrizione, è ontologicamente e giuridicamente corretta.

Essa poggia su un dato fenomenico inoppugnabile: la malattia, ancorchè via via più grave e invasiva, appartiene alla vita; della vita la morte rappresenta invece la negazione.

Tale elementare constatazione rende del tutto condivisibile la configurazione della morte quale evento a sè, inidoneo al ripescaggio delle lesioni che l’hanno preceduta e determinata, non meno che insuscettibile di appiattimento sulle stesse, ai fini della omologazione della disciplina dei relativi effetti.

Sotto il primo profilo non può sfuggire l’invincibile artificiosità della prospettazione delle lesioni, allorchè ad esse sia seguita la morte, quale pezzo di un unico evento, quello finale, che ad esso le assimilerebbe nel regime giuridico. Nè è inutile ricordare che questa Corte, pur a fronte di malattia in costante evoluzione peggiorativa, esclude la possibilità di configurare come mobile il termine di prescrizione, nel senso che lo stesso continuerebbe a spostarsi in avanti ad ogni peggioramento, a meno che non si producano conseguenze dannose nuove ed autonome, rispetto alle lesioni già insorte, ovvero si abbia a che fare con un illecito permanente, in cui il comportamento pregiudizievole si rinnova di momento in momento (confr. Cass. civ. 11 gennaio 2008, n. 580; Cass. civ. 7 novembre 2005 n. 21500).

Sotto il secondo aspetto, l’inaccettabilità della tesi del Ministero emerge a sol considerare che, per tal via, il diritto al risarcimento del danno derivato dalla morte potrebbe ben nascere già prescritto, il che si verificherebbe tutte le volte in cui la malattia abbia a protrarsi per oltre cinque anni dal momento in cui essa è stata percepita o poteva essere percepita, usando l’ordinaria diligenza, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo (confr. Cass. civ. 11 gennaio 2008 n. 576).

Nè giova al ricorrente l’artificio dialettico di contestare la dipendenza causale del decesso dalle trasfusioni, a suo avviso non più sostenibile, una volta qualificata la morte evento autonomo rispetto alla malattia epatica. L’invincibile disomogeneità qualitativa dell’uno e dell’altro evento resiste alle suggestioni indotte dal carattere di fatto interposto del contagio e della indiscutibile efficienza eziologica, mai negata dal giudice di merito che esso ha avuto nella determinazione della dipartita del N..

7 Il terzo e ultimo motivo di ricorso della M. è inammissibile, per mancata formulazione del quesito di diritto. E invero il ricorso, attesa la data di pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina dell’art. 366 bis, introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 (e successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1). In forza di tale norma, nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, quesito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, sì da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (cofr. Cass. sez. un. 30 ottobre 2008, n. 26020).

Nella fattispecie, come esplicitato innanzi, il quesito manca del tutto.

8 Quanto poi al sesto e al settimo motivo di ricorso del Ministero, entrambi incentrati sul problema della deducibilità dalle somme liquidate alla M. dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, è sufficiente evidenziare che il problema del rapporto tra azione volta all’accertamento della responsabilità per le somministrazioni di sangue infetto, a fini risarcitori, e attribuzione ai soggetti emotrasfusi che abbiano contratto l’epatite della provvidenza prevista dalla L. n. 210 del 1992, è stato affrontato dal giudice di merito per contestare l’assunto del Ministero secondo cui l’introduzione di siffatto beneficio avrebbe reso inoperanti le norme ordinarie in tema di illecito aquiliano. E’ peraltro addirittura ovvio, in ragione del carattere indiscutibilmente personale dell’indennizzo, che lo stesso pertiene al danneggiato e va correttamente scomputato, al fine di evitare ingiustificati arricchimenti, dalle somme al danneggiato liquidabili a titolo di risarcimento.

Considerato allora che alla M. è stato riconosciuto il solo danno non patrimoniale patito a causa della morte del marito, e cioè il danno spettante iure proprio al coniuge sopravvissuto, nessuna detrazione può essere effettuata, avendo la stessa acquisito l’indennizzo – o quel che ne residuava al momento del decesso del N. – iure successionis.

9 Inammissibile è infine l’ultimo motivo di ricorso del Ministero.

Con esso l’impugnante chiede alla Corte di riaffermare i principi enunciati dalle sezioni unite di questa Corte nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, senza alcun nesso con le argomentate ragioni della decisione e quindi senza formulazione di censura.

10 Entrambi i ricorsi devono, in definitiva, essere integralmente rigettati.

L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensarne integralmente le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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