Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7257 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. II, 15/03/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 15/03/2021), n.7257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23175/2019 R.G. proposto da:

T.N., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

al viale Giuseppe Mazzini, n. 6, presso lo studio dell’avvocato

Manuela Agnitelli, che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3238/2019 del Tribunale di Brescia;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 3 novembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. T.N., cittadino della (OMISSIS), originario del Delta State, di religione cristiana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che suo zio paterno aveva assassinato suo padre per impossessarsi dell’eredità al padre spettante; che successivamente per la stessa ragione suo zio aveva iniziato a minacciarlo ed aveva dato fuoco al locale ove egli ricorrente svolgeva la sua attività commerciale; che, temendo per la sua incolumità, aveva trovato rifugio presso l’abitazione di un amico e poi, il (OMISSIS), aveva abbandonato la Nigeria e raggiunto, l’1.4.2017, l’Italia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 3238/2019 il Tribunale di Brescia respingeva il ricorso con cui T.N., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento della protezione internazionale.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente erano a vario titolo contraddittorie ed inattendibili.

Evidenziava quindi che l’inattendibilità delle dichiarazioni induceva a denegare il riconoscimento sia dello status di rifugiato sia della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b).

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14, ex lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso T.N.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11; il vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere lo status di rifugiato.

Deduce che ha errato il tribunale a reputar inattendibili le sue dichiarazioni.

Deduce che viceversa ha reso dichiarazioni circostanziate e precise; che del resto il tribunale avrebbe dovuto intendere le sue dichiarazioni in rapporto al contesto nigeriano, contesto nel quale lo Stato non è in grado di garantire adeguata protezione; che d’altra parte ben avrebbe potuto il tribunale avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi ed acquisire informazioni aggiornate sulla situazione attuale del suo paese d’origine.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, artt. 2,3,5,8 e 9 C.E.D.U..

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b); che ha errato il tribunale a negare che, qualora rimpatriato, possa essere sottoposto a pena ovvero a trattamento inumano o degradante.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e b) e art. 14 e degli artt. 3 e 7 C.E.D.U..

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c); che il tribunale non ha valutato la situazione attualmente esistente in Nigeria, viepiù che ben avrebbe potuto avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

Deduce che d’altronde le indicazioni rilevabili dal sito ufficiale della Farnesina, valide al 17.7.2019, danno ragione della precaria situazione esistente, in termini di sicurezza, in Nigeria.

8. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4; il vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria.

Deduce che, qualora rimpatriato, si ritroverebbe in condizioni di particolare vulnerabilità, impossibilitato a far valere i suoi fondamentali diritti; che il tribunale non ha fatto alcun riferimento alla situazione del suo paese d’origine.

9. La sostanziale identità delle argomentazioni e dei rilievi che la delibazione del primo e del secondo motivo di ricorso postula e sollecita, ne giustifica la disamina contestuale.

Entrambi i motivi di impugnazione comunque sono da respingere.

10. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

11. Su tale scorta, nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed, evidentemente, nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il Tribunale di Brescia ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

D’altro canto, il ricorrente indubbiamente sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni (il ricorrente “dal suo racconto (…) fa emergere con precisione e coerenza la composizione della sua famiglia, il contesto spazio – temporale dei fatti, ed i motivi della sua fuga”: così ricorso, pag. 5).

12. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte del tribunale, dei poteri istruttori officiosi.

13. D’altra parte – in rapporto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) – è vero senza dubbio che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

14. E nondimeno la surriferita puntualizzazione è destinata a non esplicar valenza nel caso di specie.

Invero il tribunale ha reputato inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente ed ha specificato che era del tutto inverosimile che, dopo la confessione del delitto da parte dello zio, il ricorrente non avesse sporto denuncia siccome non vi era nel suo villaggio una stazione di polizia (cfr. decreto impugnato, pag. 4).

Il ricorrente quindi ben avrebbe potuto – ha soggiunto il tribunale – rivolgersi alla polizia del suo paese onde ottenere la debita protezione.

15. Il terzo motivo di ricorso del pari è respingere.

16. Si premette che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

17. Su tale scorta si osserva (parimenti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte) quanto segue.

Per un verso, analogamente, non si ravvisano pur in parte qua “anomalie motivazionali” di sorta in relazione alle motivazioni alla stregua delle quali il Tribunale di Brescia ha disconosciuto la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo. In particolare ha posto in risalto che il ricorrente in alcun modo aveva riferito di situazioni di violenza indiscriminata nella regione nigeriana, il Delta State, di sua provenienza; ed, al contempo, che il rapporto “E.A.S.O.” relativo all’anno 2018 non dava conto di episodi di violenza contro la popolazione civile nei mesi da gennaio 2018 a giugno 2018 (cfr. decreto impugnato, pag. 5).

Per altro verso, il tribunale ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa.

Per altro verso ancora, le indicazioni provenienti dal sito della “Farnesina” menzionate dal ricorrente (cfr. ricorso, pagg. 14 – 15), con specifico riferimento al Delta State, danno conto essenzialmente di una elevata attività criminale e dell’esistenza di faide locali, non già di vere e proprie forme di violenza generalizzata derivante da conflitti armati interni o internazionali (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

18. Il quarto motivo di ricorso parimenti è respingere.

19. Le doglianze che il mezzo in disamina veicola, recano, evidentemente, censura del giudizio “di fatto” cui, senza dubbio, anche in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

Ebbene, in quest’ottica è, similmente, da escludere qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” (il tribunale ha puntualizzato – cfr. decreto impugnato, pag. 7 – che, in ipotesi di rimpatrio, T.N. non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità, siccome, per un verso, perduravano i suoi legami familiari nel paese d’origine, siccome, per altro verso, era da escludere che in Nigeria esistesse una situazione di emergenza umanitaria, siccome, per altro verso ancora, l’ottenuta assunzione lavorativa non era di per sè indice sufficiente di integrazione nel tessuto socioeconomico italiano).

20. Del resto il ricorrente sollecita questo Giudice al riesame delle risultanze di causa (“in Italia è accolto da una Comunità, e ha frequentato un corso di formazione lavorativa come saldatore e svolge un’attività lavorativa (…)”: così ricorso, pag. 16).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

21. Si tenga conto infine che il tribunale ha reputato inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente. Il che esplica valenza anche ai fini della protezione umanitaria.

22. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese va pertanto assunta.

23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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