Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7256 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2022, (ud. 24/02/2022, dep. 04/03/2022), n.7256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17579/2015 R.G. proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona

del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof.

GIUSEPPE MARINO, e dall’Avv. ROSAMARIA NICASTRO, in virtù di

procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato

presso lo studio “Di Tanno e Associati Studio Legale Tributario”,

Via Crescenzio, 14;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 3183/18/15, depositata in data 3 aprile 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 febbraio

2022 dal consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, con il quale si accertava la natura elusiva di una serie di operazioni, consistenti nell’interposizione di società estere quali costruzioni di puro artificio, volte ad occultare il versamento di ritenute alla fonte su dividendi. I dividendi, formalmente erogati a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27-bis, a società controllante estera rientrante nelle forme previste dalla Dir. n. 90/435/CEE, pro tempore, erano pervenuti di fatto, secondo l’Ufficio, a soci persone fisiche residenti in Italia che, in quanto detentori di partecipazioni non qualificate, avrebbero dovuto scontare la tassazione degli stessi a termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, vigente nel suddetto periodo di imposta.

2. L’avviso impugnato traeva origine da un PVC – come analiticamente illustrato nella sentenza impugnata – nel quale si accertava che le quote della (all’epoca) neocostituita società contribuente – conferitaria di un ramo di azienda di undici navi della conferente Deiulemar Compagnia di Navigazione SPA a termini del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 176 (TUIR) – erano state cedute dalla conferente alla società estera Poseidon International SA in regime PEX (participation exemption), società a sua volta posseduta, attraverso società controllanti di secondo livello (sub-holding), da trust esteri riferibili a membri di seconda generazione (juniores) della famiglia dei soci della conferente, società sostanzialmente a conduzione familiare. Si accertava, inoltre, che alla menzionata operazione straordinaria di conferimento di azienda aveva fatto seguito la cessione delle partecipazioni della società controllante della conferente il ramo di azienda (Deiulemar Holding SA) – controllata a sua volta da società riconducibili ai soci di prima generazione (seniores) – ad altra società non residente (Lamain SA) riconducibile alle medesime persone fisiche. Tali quote venivano acquistate dalle menzionate società sub-holding riferibili ai soci di seconda generazione, con pagamento regolato attraverso l’erogazione di un finanziamento in conto capitale. Questo finanziamento in conto capitale perveniva, tramite alcune società, a una neocostituita società finanziaria (Poseidon Finance SA), società di collegamento tra le società dei due gruppi di soci di prima e seconda generazione. Tale ultima società, a sua volta, sottoscriveva una opzione di acquisto con la società controllante della società Lamain SA (Taggia Lda), società anch’essa non residente, avente ad oggetto le quote di quest’ultima. La provvista veniva, infine, girata alla medesima Lamain SA a titolo di finanziamento, in pagamento del prezzo di acquisto delle quote della controllante della società conferente Deiulemar Holding SA.

3. Si accertava, inoltre, che l’importo di questa opzione di acquisto, pari ad Euro 150.000.000,00, aveva comportato un flusso finanziario dei dividendi della società contribuente in favore dei soci della conferente (soci di prima generazione), in quanto pervenuti alla società che aveva acquistato il diritto di opzione della Deiulemar Holding, mentre la parte eccedentaria dei dividendi distribuiti, pari a circa Euro 66.000.000,00, era andata a beneficio dei soci di seconda generazione. Lo strumento della opzione di acquisto (call option) avrebbe consentito, pertanto, di mascherare la destinazione di parte del flusso finanziario dei dividendi della società contribuente dalla società controllante non residente in favore dei soci di prima generazione, senza l’applicazione delle ritenute, operando la società controllante della società contribuente in regime di neutralità fiscale, il tutto attraverso operazioni ritenute dall’Ufficio prive di rilievo economico e costituenti condotte abusive. L’avviso accertava, pertanto, che le operazioni straordinarie e la interposizione delle menzionate società veicolo costituivano un mero artificio, utilizzato dalle persone fisiche di riferimento delle stesse (i soci di prima e seconda generazione, i primi storicamente controllanti la società conferente il ramo di azienda conferito alla società contribuente, poi dichiarata fallita), anche per monetizzare la cessione del ramo di azienda attraverso l’erogazione di dividendi della conferitaria in esenzione di imposta. Si deduceva, pertanto, che le operazioni di cui era risultata partecipe la società contribuente erano state poste in essere al solo fine di occultare la distribuzione dei dividendi agli effettivi beneficiari finali nel loro complesso, distribuzione soggetta a tassazione in quanto i destinatari erano contribuenti residenti in Italia. Le operazioni venivano ritenute, quindi, elusive in quanto aventi l’unico scopo di ottenere un indebito risparmio delle imposte che sarebbero andate a gravare sui dividendi, con recupero delle relative imposte; al recupero delle imposte faceva anche seguito l’irrogazione di sanzioni.

4. Il fallimento contribuente ha sostenuto che l’operazione era assistita da valide ragioni economiche, consistenti in una operazione di acquisizione a debito, finalizzata a consentire il cambio generazionale nella conduzione della società conferente a conduzione familiare (c.d. family buy-out); l’operazione avrebbe consentito ai soci di seconda generazione della compagine familiare, che già controllava anche la società conferente, l’acquisizione delle quote di controllo della medesima, al fine di assicurare il passaggio generazionale del controllo della società che aveva conferito il ramo di azienda. Il fallimento evidenziava, sotto questo profilo, il ricorso a cospicui finanziamenti bancari e alla prestazione di garanzie, atti a dimostrare l’effettività della descritta operazione.

5. La CTP di Napoli ha rigettato il ricorso, ritenendo che la condotta della società contribuente integrasse abuso del diritto, avendo le operazioni precluso l’applicazione delle ritenute fiscali sui dividendi senza che fosse dimostrato quale fosse il comportamento alternativo lecito.

6. La CTR della Campania, con sentenza in data 3 aprile 2015, ha rigettato l’appello della società contribuente, confermando la sentenza di primo grado. Ha ritenuto il giudice di appello sussistente una costruzione di puro artificio, finalizzata alla sottrazione all’imposizione fiscale dei dividendi erogati ai beneficiari finali, in quanto la complessità della struttura del gruppo non sarebbe stata giustificata da ragioni effettive, se non quella di rendere difficile la ricostruzione dei flussi finanziari. Ciò sarebbe desumibile, ad avviso del giudice di appello, dal fatto che l’attività di impresa fosse radicata sul territorio nazionale, nonché dal fatto che le società estere fossero meramente apparenti sia in termini di struttura amministrativa e di controllo (le cui cariche societarie erano attribuite a soggetti non retribuiti e già oggetto di scandali finanziari), sia in quanto prive di capitalizzazione e non operative. Il giudice di appello ha, poi, escluso l’esistenza di una ragione effettiva sottostante alle operazioni di cessione delle partecipazioni, asseritamente riconducibile all’operazione di c.d. family buy-out, ritenendo, in particolare, non provato il dedotto ricorso al finanziamento bancario, non “specificamente” destinato all’operazione di acquisizione. Il giudice di appello ha, inoltre, escluso che l’operazione di family buy-out si fosse svolta nelle forme della costituzione di una società veicolo e della conseguente fusione con la società obiettivo e ha ritenuto che, al fine dell’irrogazione delle sanzioni, vi fosse piena consapevolezza della condotta da parte della società contribuente.

7. Propone ricorso per cassazione il fallimento contribuente, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anche in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere ritenuto con motivazione illogica la natura abusiva delle operazioni, facendo riferimento ad argomenti diversi da quelli dell’abuso del diritto. Osserva il fallimento ricorrente che la natura abusiva delle operazioni contestate sarebbe stata desunta dalla sussistenza di carenze probatorie di parte contribuente, nonché dal riferimento alla disciplina di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 167 (TUIR), relativa alla disciplina delle società controllate residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. controlled foreign companies – CFC), circostanza non oggetto di contestazione. Ritiene, inoltre, apparente la motivazione resa dal giudice di appello in relazione all’accertamento della natura fittizia delle società estere coinvolte.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anche in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per apparenza della motivazione in relazione alla legittimità delle sanzioni irrogate. Osserva il ricorrente che la motivazione relativa all’applicazione delle sanzioni si sarebbe risolta nella constatazione della natura abusiva delle operazioni, motivazione inidonea a rivelare la ratio decidendi.

Ne’ vi sarebbe, secondo parte ricorrente, l’illustrazione delle ragioni per le quali vi sarebbe consapevolezza della pretesa costruzione artificiosa da parte della società contribuente.

1.3. Con il terzo motivo si deduce in via gradata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice di appello ritenuto non assolto l’onere probatorio da parte del fallimento contribuente, laddove il carattere abusivo dell’operazione si sarebbe dovuto provare dall’ente impositore. Deduce il fallimento ricorrente che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a rilevare carenze probatorie del contribuente, senza indagare quali sarebbero stati i fatti costitutivi rilevanti ai fini della natura abusiva delle operazioni complessive, dovendo l’abuso del diritto risultare da una serie di elementi obiettivi che non sarebbero stati indicati nella sentenza impugnata. Deduce, inoltre, violazione delle regole di distribuzione dell’onere probatorio nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non assolto l’onere probatorio finalizzato alla prova dell’esistenza di valide ragioni economiche sottostanti l’operazione; ciò sarebbe – in particolare dimostrato dalla natura operativa della società che aveva esercitato il diritto di opzione per l’acquisto delle quote della società contribuente, dalla sussistenza di una reale ed effettiva struttura amministrativa della stessa e dal ruolo di garante del finanziamento bancario assunto dalla stessa, finalizzato all’acquisto delle partecipazioni in oggetto, nonché dall’essere la stessa l’effettiva beneficiaria della distribuzione dei dividendi.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia in relazione ad alcune questioni dedotte nel giudizio di merito, relative alla illegittimità dell’atto impositivo per violazione del divieto di doppia presunzione, nonché alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per omessa valutazione delle argomentazioni fornite in fase istruttoria dalla società all’epoca in bonis e sulla disapplicazione delle sanzioni irrigate. Quanto al primo profilo (divieto di doppia presunzione), il ricorrente deduce di avere dedotto che gli elementi addotti nel PVC sarebbero stati ricavati da ulteriori elementi indiziari emersi nel corso del procedimento penale incardinato nei confronti dei soci della contribuente e della società conferente il ramo di azienda, in violazione del principio di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1. Quanto al terzo profilo, osserva il ricorrente come non vi sarebbe stato esame dell’eccezione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, per obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma tributaria.

2. Va preliminarmente rigettata la richiesta di riunione del presente giudizio ad altri giudizi attinenti a diversi periodi di imposta, uno dei quali non ancora oggetto di fissazione, sia in forza del principio dell’autonomia dei periodi di imposta, sia in quanto una delle parti è una procedura concorsuale, in relazione alla quale si impone la definizione del giudizio in tempi ragionevoli (Cass., Sez. II, 29 settembre 2020, n. 20508; Cass., Sez. VI, 28 maggio 2012, n. 8468; Corte di Giustizia UE, 23 novembre 2017, Di Maura, C-246/16).

3. Il primo motivo – in disparte dall’inammissibilità del riferimento alla disciplina delle società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (CFC), estraneo alla ratio decidendi della sentenza impugnata – è infondato. Il principio per cui il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, nei casi di pronunce che non lascino trasparire il percorso motivazionale (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598) è integralmente rispettato nel caso di specie. La sentenza – i cui contenuti sono stati illustrati in narrativa – ha analiticamente ricostruito i fatti costitutivi della pretesa tributaria, illustrando ciascuna operazione societaria e finanziaria ed evidenziandone i passaggi che hanno permesso di individuare nei soci residenti in Italia (soci di riferimento e della società conferente il ramo di azienda, e della società conferitaria, odierna ricorrente dichiarata fallita) i beneficiari effettivi e finali dei dividendi della società contribuente dichiarata fallita, in elusione della disciplina di assoggettamento a tassazione, in quanto detentori di partecipazioni non qualificate e residenti in Italia. La sentenza ha, poi, espressamente preso in esame la natura fittizia del castello di società alla quale ha preso parte anche la società contribuente, accertando in particolare che i soggetti che hanno ricoperto cariche sociali delle stesse sono “teste di paglia” (“soggetti non retribuiti e già oggetto di scandali finanziari”). La sentenza impugnata ha accertato, inoltre, l’assenza di prova contraria relativa all’assenza di valide ragioni economiche, sterilizzando la finalità del c.d. family buy-out in quanto, in disparte dalla atipicità della modalità operativa seguita (“non vi è prova della costituzione ad hoc di una newco e della sua fusione con la società target”), tale finalità è del tutto indifferente rispetto a quella di evitare la tassazione dei dividendi, il cui pagamento costituisce sin anche la modalità di attuazione dell’evocata acquisizione a debito finalizzata al cambio generazionale, ma concretamente eseguita in elusione della disciplina impositiva dei dividendi erogati.

4. Il secondo motivo è infondato. Il giudice di appello ha espressamente ascritto la responsabilità della società contribuente ai fini della corretta irrogazione delle sanzioni all’avere la stessa partecipato a un complesso intreccio di operazioni societarie e finanziarie, rendendosi sin anche evidente dalla motivazione della sentenza impugnata che tali operazioni, richiamate per relationem ai fini del trattamento sanzionatorio, denotano piena consapevolezza della natura elusiva delle operazioni (“tale carattere abusivo, non solo comporta l’obbligo di ritenuta alla fonte, ma dimostra la piena consapevolezza della condotta e, quindi, giustifica l’irrogazione delle sanzioni”: sent. imp.).

5. Il terzo motivo è infondato. In disparte dalla non corretta individuazione (anche sotto tale profilo) della ratio decidendi relativa ai fatti costitutivi della pretesa tributaria (affatto avulsa dall’analisi degli elementi di prova contraria addotti dal fallimento contribuente in relazione alle valide ragioni economiche delle operazioni, in luogo della finalità elusiva delle stesse), il fatto costitutivo oggetto di prova e di analisi da parte del giudice di appello riposa sulla minuziosa e analitica ricostruzione di tutte le operazioni (tratteggiate in narrativa), che hanno dimostrato nella loro concatenazione come la finalità effettiva delle operazioni poste in essere era quella di schermare i destinatari finali della distribuzione dei dividendi, costituiti dai soci di riferimento delle società conferente e conferitaria, detentori di partecipazioni non qualificate e residenti in Italia, che così hanno beneficiato dell’esenzione dell’imposizione in quanto dividendi formalmente erogati al socio non residente in regime di madre-figlia. Analogamente, il giudice di appello ha accertato la natura artificiosa anche in relazione all’accertamento della natura non operativa delle società che si sono interfacciate nell’affare e, in particolare, della società finanziaria che ha fatto da tramite tra i due gruppi di soci di riferimento, i cui finanziamenti non erano diretti a consentire l’acquisizione del pacchetto di controllo della società controllante della conferente il ramo di azienda.

6. Inammissibile e’, invece, il motivo quanto alla dedotta assenza di prova contraria, in quanto il ricorrente, pur deducendo apparentemente una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito attraverso l’apprezzamento delle prove (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758; Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315), salvo l’esame in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054).

7. Il quarto motivo è infondato. Inammissibile e’, anzitutto, la questione della violazione del divieto di doppia presunzione, avendo il giudice di appello fatto uso di elementi indiziari, addotti dall’Ufficio, nel suo libero potere-dovere di apprezzamento delle prove, consistenti negli elementi indicati nel PVC e provenienti, quanto alla loro fonte, da un procedimento penale.

8. Inammissibile e’, poi, sotto il profilo della specificità la doglianza relativa all’omessa valutazione delle argomentazioni fornite in fase istruttoria dalla società all’epoca in bonis, posto che non sono state indicate, né trascritte quali sarebbero state queste argomentazioni e in che termini le stesse sarebbero state disattese dall’Ufficio.

9. Infondata e’, infine, la questione del mancato esame dell’eccezione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, relativa alle obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma tributaria, essendo tale questione assorbita dall’avere ritenuto la CTR che la contribuente fosse pienamente consapevole del comportamento elusivo, il che comporta implicitamente il venir meno del dubbio sull’incertezza della portata della norma impositiva.

10. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Il ricorrente evidenzia, tuttavia, in memoria lo ius superveniens del mutamento della disciplina sanzionatoria a termini del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (disciplina sopravvenuta rispetto alla proposizione del ricorso), applicabile retroattivamente per il principio del favor rei quanto al trattamento sanzionatorio applicato (Cass., Sez. V, 30 marzo 2021, n. 8716; Cass., Sez. VI, 27 giugno 2017, n. 15978). Pronunciandosi sul ricorso, la sentenza va, pertanto, cassata, rimettendosi la causa alla CTR per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio a termini del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non essendo il giudizio ancora definito.

11. Non spetta il raddoppio del contributo unificato. Tale misura si applica (come disposto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, comma introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) nel caso in cui “l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile”. Il pagamento del raddoppio del contributo unificato costituisce misura sanzionatoria, la quale si rende applicabile solo laddove il procedimento di impugnazione si concluda con integrale conferma della statuizione impugnata, ovvero a seguito della ordinaria dichiarazione di inammissibilità o infondatezza del ricorso, non diversamente dalle ipotesi in cui l’impugnazione venga dichiarata inammissibile per fatti sopravvenuti, come nel caso del sopravvenuto difetto di interesse (Cass., Sez. III, 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass., Sez. III, 20 luglio 2021, n. 20697). Non e’, pertanto, la formale reiezione dello strumento impugnatorio a comportare l’applicazione della misura in oggetto, bensì la proposizione dello stesso che si riveli inidonea alla riforma della sentenza, riforma che, nella specie, consegue all’applicazione della disciplina sopravvenuta, veicolata dalla proposizione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sul ricorso, rigetta i motivi e, in accoglimento dell’istanza di applicazione dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni; rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, per la loro rideterminazione in ragione dello ius superveniens, nonché per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

 

 

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