Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7255 del 14/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/03/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 14/03/2019), n.7255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29199/2014 R.G. proposto da:

Diamant s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Orlando, elettivamente

domiciliata presso il suo studio, in Milano, Via Fabio Filzi n. 33,

giusta delega al margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 1697/2014 depositata l’1-4-2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio 2019

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibbilità del ricorso e, in subordine,

l’infondatezza;

Nessuno è comparso per la società.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Diamant s.r.l. proponeva ricorso avverso la cartella emessa dalla Concessionaria, a seguito di controllo automatico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in quanto aveva per errore indicato ai fini Ires, per l’anno 2008, corrispettivi pari ad Euro 177.530,00, per adeguarsi agli studi di settore, nel valore minimale, ma avendo indicato invece una somma maggiore rispetto al minimo.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale evidenziava che il contribuente avrebbe dovuto presentare dichiarazione integrativa entro il termine previsto per la dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis.

3.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente.

4. L’intimata non ha provveduto a svolgere attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico complesso motivo di impugnazione la società deduce “per i seguenti motivi ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto “le commissioni non hanno tenuto in considerazione l’atteggiamento della società in sede di versamento delle imposte, la quale si è comportata come se avesse presentato una dichiarazione corretta ai fini dell’adeguamento agli studi di settore”. Pertanto, aggiunge la ricorrente “ci si chiede…che senso avrebbe avuto scegliere l’adeguamento agli studi di settore, scelta facoltativa e non un preciso obbligo tributario, per poi non pagare quanto risultava dall’adeguamento. Tanto valeva non adeguarsi”. La società, dunque, aveva scelto di “adeguarsi agli studi di settore al ricavo minimale”, ma, in sede di dichiarazione il programma “prendeva” per la congruità ai fini degli studi di settore, il giusto valore ai fini Iva, ma non ai fini Ires. Pertanto, al momento del versamento la società, non accortasi dell’errore, “versava per l’Iva l’importo dovuto sull’adeguamento al valore minimale e per l’Ires l’importo dovuto sul valore puntuale”. L’errore “formale” ben poteva essere emendato nel corso del giudizio, per opporsi ad una maggiore somma richiesta dall’amministrazione e non solo con la dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8. Pertanto, secondo la società “la commissione non ha ampiamente valutato alcuni elementi di fatto decisivi per il giudizio”.

1.1. Tale motivo è inammissibile.

1.2. Invero, poichè la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata pubblicata l’1-4-2016, la censura sulla motivazione doveva essere articolata secondo la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze depositate a partire dall’11-9-2012. Infatti, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369, comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez.Un., 8053/2014).

Nella specie, la società asserisce di aver commesso un errore, per adeguarsi ai dati degli studi di settore, consistente nell’avere indicato nella dichiarazione ai fini Ires (errore non commesso per l’Iva dichiarata ai minimi degli studi di settore), per l’anno 2008, corrispettivi per Euro 177.530,00, somma che sarebbe superiore a quella “minima” prevista appunto per l’adeguamento agli studi di settore.

Nel ricorso, però, non vengono trascritti i dati relativi agli studi di settore, nè il valore “minimo” ivi riportato, nè si indica lo studio di settore di riferimento, anche per poter comprendere quale sia stato l’errore dedotto dalla società. Non è possibile comprendere, dunque, se vi sia stato un effettivo scostamento dagli stessi e, quindi, un pagamento di importo superiore a quello minimo, necessario per adeguarsi agli studi.

Nel ricorso ci si limita ad affermare che la società “ai fini Ires versava all’erario a titolo di adeguamento agli studi di settore la maggiore imposta del 3 % sul valore puntuale”, senza alcuna altra indicazione specifica della somma che, invece, avrebbe dovuto effettivamente versare in caso di adeguamento all’importo minimo degli studi.

1.3. In questo caso, tra l’altro, vi è l’ulteriore limite della “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., in quanto l’appello è stato spedito per la notifica nel 2013. Infatti, la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (Cass., 2018/11439).

Sia la sentenza di primo grado che quella di appello, poi, hanno rigettato le richieste del contribuente sulla base delle medesime ragioni, inerenti alle questioni di fatto, come emerge proprio dal ricorso per cassazione.

2. In assenza di attività difensiva da parte della intimata Agenzia delle entrate, non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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