Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7254 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. I, 26/03/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 26/03/2010), n.7254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25377/2004 proposto da:

F.M.T. (c.f. (OMISSIS)), F.N.

(c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LUNIGIANA 6, presso l’avvocato D’AGOSTINO CARMELO, rappresentati e

difesi dall’avvocato INTILISANO Pietro, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI FRATTAMAGGIORE (c.f. (OMISSIS)), in persona dei

Commissari Straordinari pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA BALDUINA 120/5, presso l’avvocato AULETTA FERRUCCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DAMIANO Francesco, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 27656/2004 proposto da:

ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI NAPOLI – I.A.C.P.

(c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32,

presso l’avvocato GAVA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta

procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.M.T., F.N., COMUNE DI FRATTAMAGGIORE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2569/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/08/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato INTILISANO M., per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato F. DAMIANO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso incidentale e rigetto del ricorso

principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Napoli, con sentenza dell’1 dicembre 2000, condannò in solido il comune di Frattamaggiore e l’IACP della Provincia di Napoli al risarcimento del danno, liquidato nella misura di L. 206.700.000, in favore di N. e F.M.T. per la irreversibile trasformazione, in mancanza di decreto di esproprio, sopravvenuto soltanto con provvedimento del (OMISSIS), di un terreno di loro proprietà (in catasto all’art. 3310, fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS)) appreso con decreto di occupazione temporanea (OMISSIS) per la costruzione di alloggi di edilizia pubblica.

In accoglimento dell’appello degli enti convenutala Corte di appello di Napoli, con sentenza del 27 agosto 2003 ha respinto la richiesta risarcitoria dei F., osservando: a) che nella specie i terreni ricadevano nell’ambito di un piano di edilizia popolare in relazione al quale la giurisprudenza ha avvertito che non è necessaria la previsione di ulteriori termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori, gli uni e gli altri coincidendo con quelli di durata del piano ex L. n. 167 del 1962; e quanto a quelli iniziali, con il termine triennale di cui alla L. n. 1 del 1978; b) che d’altra parte le impugnazioni dei ricorrenti dirette a far valere l’illegittimità della successiva Delib. n. 865 del 1983 e Delib. n. 301 del 1984 del comune che localizzavano l’intervento costruttivo nell’ambito di una variante erano state già rigettate dal giudice amministrativo;per cui, l’occupazione temporanea,prorogata dalle leggi del 1985 e del 1988, ed assistita da valida dichiarazione di p.u. non era ancora scaduta alla data di adozione del decreto di esproprio.

Per la cassazione della sentenza i F. hanno proposto ricorso affidato ad un motivo; cui resistono con controricorso sia il comune di Frattamaggiore, che l’IACP della provincia di Napoli il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale condizionato per un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.

Con quello principale, N. e F.M.T., deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 13; della L. n. 1150 del 1942, art. 16 e L. n. 247 del 1974, art. 3, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto non necessaria la fissazione dei termini per l’esecuzione dei lavori e delle espropriazioni senza considerare tutta la giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, espressamente richiamata, che ne postulava tale necessità, altrimenti dichiarando radicalmente nulla e priva di effetti la dichiarazione di p.u..

Ricordano che detti termini non possono essere sostituiti da quello previsto dalla L. n. 1 del 1978, art. 1, peraltro per l’inizio dell’opera, che non trova applicazione con riguardo ai piani di zona;

che anche la Corte Costituzionale ha confermato più volte la -, funzione essenziale e la finalità dei termini in questione; e che nel caso la loro apposizione non era avvenuta non solo nel provvedimento che approvava il piano di zona, ma neppure in quelli successivi fino alla Delib. Giunta n. 6 del 1986, addirittura posteriore al decreto di occupazione dei terreni che li aveva stabiliti in violazione della regola che dovevano essere fissati nello stesso atto recante la dichiarazione di p.u.: perciò rendendo inefficaci e disapplicabili dal giudice ordinario tutti gli atti ablativi emessi senza il supporto di una valida dichiarazione di p.u..

Il ricorso è infondato pur se va corretta ex art. 384 cod. proc. civ., la motivazione con cui la sentenza impugnata ha respinto l’impugnazione degli espropriati.

La sentenza impugnata ha accertato ed i ricorrenti più volte confermato che “l’intervento espropriativo ricade all’interno di un piano di zona adottato con Delib. Consiliare 29 settembre 1979, n. 39, in variante ad un piano di zona (PEEP) approvato con d.p.g.reg.

Campania 2 novembre 1976, n. 3955” (pag. 5); e che il comune di Frattamaggiore lo aveva localizzato all’interno di detto comprensorio con successiva Delib. Giunta n. 865 del 1983, approvata con Delib. n. 300 del 1984 del Consiglio comunale.

Al lume di queste premesse la questione da affrontare nel caso concreto non era quella prospettata dagli espropriati di stabilire se il provvedimento recante la dichiarazione di p.u. debba contenere anche e contestualmente i termini per il compimento dei lavori e delle espropriazioni di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, in quanto al quesito è stata data costantemente e da decenni risposta affermativa sia dalla Corte costituzionale che dalla giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, le quali hanno affermato: a) che la proprietà privata in base al precetto contenuto nell’art. 42 Cost., può essere espropriata soltanto “per motivi di interesse generale”,da esplicitare – perciò richiedendola necessariamente – nella dichiarazione di p.u. la quale rappresenta,quindi, “la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e nel contempo la ragione giustificatrice del suo sacrificio nel bilanciamento degli interessi del proprietario alla restituzione dell’immobile ed in quello pubblico al mantenimento dell’opera pubblica per la funzione sociale della proprietà” (Corte Costit. 90/1966, – Cass. sez. un. 4423/1977; 118/1978); b) che fin dal primo atto della procedura espropriativa debbono risultare definiti non soltanto l’oggetto, ma anche le finalità, i mezzi e i tempi di essa:come si ricava dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13, il quale onde evitare che si protragga indefinitamente l’incertezza sulla sorte dei beni espropriandi, e nel contempo, che si eseguano opere non più rispondenti, per il decorso del tempo all’interesse generale, ha attribuito ai proprietari una garanzia fondamentale ulteriore, in omaggio al principio di legalità e tipicità del procedimento ablativo:disponendo nel comma 1 che nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera devono essere fissati quattro termini (e cioè quelli di inizio e di compimento della espropriazione e dei lavori); e stabilendo, nel comma 3, che “trascorsi i termini,la dichiarazione di pubblica utilità diventa inefficace”; c) che l’omessa fissazione dei termini di cui al menzionato art. 13 comporta la giuridica inesistenza della dichiarazione di p.u.: perciò non più idonea a far sorgere il potere espropriativo e, dunque, ad affievolire il diritto soggettivo di proprietà sui beni espropriandi; e determina una situazione di carenza di potere che incide (negativamente) sia sull’adozione dei decreti ablatori sia sull’irreversibile trasformazione dell’immobile che si verifichi successivamente.

Il problema era invece quello (Cass. sez. un. 13027/1996), una volta ritenuta incontestabile la vigenza della L. n. 2359 del 1865, art. 13, laddove impone all’amministrazione di determinare i termini in questione, di stabilire se la loro indicazione e predisposizione possa essere eseguita addirittura a monte dal legislatore, ed una volta per tutte, dopo avere individuato quale atto nello specifico settore disciplinato debba avere la valenza di dichiarazione di p.u.

ovvero questa debba contenere.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte e quella dei giudici amministrativi dopo perplessità iniziali e comunque assai lontane nel tempo, hanno sistematicamente risposto in modo affermativo, osservando come anche detta apposizione preventiva persegue (a maggior ragione) la funzione inderogabile di sottrarre alla P.A. il potere discrezionale di mantenere in stato di soggezione i beni espropriabili per un tempo indeterminato, onde non lasciare il proprietario indefinitamente esposto alla vicenda ablatoria. Ed è nel contempo salvaguardato l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per il perseguimento dell’interesse collettivo: anzi entrambi detti interessi sono tutelati in modo più rigoroso perchè l’ampiezza dei termini in questione non è rimessa alla facoltà discrezionale dell’amministrazione espropriante, cui è peraltro inibito di modificarli o prorogarli,e la loro inutile scadenza comporta sempre e comunque la decadenza della dichiarazione di p.u. stabilita dall’art. 13.

Per cui il Collegio deve dare continuità alla propria giurisprudenza recentemente ribadita a sezioni unite (Cass. 15379/2009; nonchè 4027/2009; 13493/2002; 3835/2001), secondo la quale: 1) questa apposizione preventiva dei termini in questione è ravvisabile proprio nelle disposizioni legislative concernenti l’approvazione dei piani di zona (L. n. 167 del 1962; L. n. 865 del 1971; L. n. 247 del 1974), aventi efficacia di provvedimento dichiarativo della pubblica utilità ove il termine legale di validità del piano rappresenta nel contempo il termine ultimo entro il quale devono essere compiute le espropriazioni ed ultimati i lavori; le quali hanno sostituito alle indicazioni separate di ciascun termine richieste dall’art. 13, la prefissione di un termine unico, indicato dalla stessa legge e decorrente dalla data di approvazione del piano di zona, entro il quale ogni attività deve essere compiuta;e la garanzia del diritto del proprietario viene tutelata comunque dalla limitazione temporale imposta ex lege, all’atto di programmazione urbanistica, cui necessariamente si commisura l’estensione temporale dell’efficacia della conseguente procedura ablatoria iniziata in concreto (normalmente) con il provvedimento di approvazione del progetto; 2) il piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP) è valido, infatti, ai fini della espropriazione delle aree in esso comprese, per 18 anni a partire dalla data del decreto di approvazione: in quanto il termine originario di cui alla L. n. 167 del 1962, art. 9, era di 10 anni; è stato elevato a 15 dalla L. n. 274 del 1974, art. 1, ed ulteriormente prorogato di 3 anni dalla L. n. 865 del 1971, art. 51; esso ha valore di piano particolareggiato di esecuzione ai sensi della L. n. 1150 del 1942, e la sua approvazione equivale a dichiarazione di p.u. delle opere in esso previste; 3) siffatta disciplina non è neppure unica nel nostro i sistema, come dimostra la L. n. 641 del 1967, art. 14, che, con riguardo alla procedura espropriativa in attuazione di un programma di edilizia scolastica, stabilisce che la dichiarazione di pubblica utilità è implicita nel decreto di vincolo dell’area ritenuta idonea allo scopo, ed è efficace per la durata di due anni: perciò costituente il termine richiesto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13 per il compimento dei lavori e della procedura espropriativa. Ed è divenuta la regola nel nuovo T.U. per le espropriazioni di p.u. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, il cui art. 13 ha unificato i due termini finali fissandone la durata massima in 5 anni,prorogabili dall’autorità che l’ha dichiarata per un periodo non superiore ad altri due,ove ricorrano le condizioni stabilite nel quinto comma della norma.

Non giova allora, come hanno fatto i ricorrenti, invocare la decisione 141/1992 della Corte Costituzionale che, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale del prolungamento dell’efficacia dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare, previsto dall’art. 1 bis, introdotto dalla L. n. 42 del 1985, di conversione del D.L. n. 901 del 1984, che dispone l’attuazione dei piani in scadenza fino al 31.12.1987, la ritenne infondata per il fatto che la norma dispone che entro sei mesi dalla scadenza devono comunque essere adottati gli atti o iniziati i procedimenti espropriativi: interpretandola nel senso che in questo termine l’amministrazione deve indicare la data di compimento dei lavori e della procedura espropriativa, così delimitando con certezza la durata della vicenda ablatoria.

Una diversa lettura della norma di proroga avrebbe comportato, infatti, la soggezione del bene privato per effetto della proroga ad una procedura espropriativa soggetta non più al termine di validità del piano, ma di durata indeterminata, o comunque rimessa, con inammissibile inversione di tendenza, alla discrezionalità dell’ente espropriante. Ragion per cui, anche questa Corte ha affermato che in conseguenza del nuovo prolungamento (questa volta senza termine finale) risorge l’esigenza di delimitare nel tempo l’esercizio della potestà di espropriazione attraverso la fissazione dei termini per l’inizio e l’ultimazione delle espropriazioni e dei lavori, connaturale ad ogni procedimento espropriativo secondo la regola fondamentale, sancita dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13; e l’unica interpretazione costituzionale della norma esige che nel termine di sei mesi si profili con certezza la durata della vicenda ablatoria, nel senso che in questo termine concesso dal legislatore l’amministrazione deve indicare la data di compimento dei lavori e della procedura espropriativa (Cass. 4428/2008; 4177/1990).

Così come la medesima esigenza impone nell’ipotesi di localizzazione di un programma costruttivo a sensi della L. n. 865 del 1971, art. 51, che presuppone l’assenza del piano di edilizia economica e popolare,e tuttavia comporta pur essa la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere, che nel relativo provvedimento o,al più tardi in quello di assegnazione delle aree siano fissati i menzionati termini di cui all’avi art. 13.

Ma tale indicazione non trova alcuna giustificazione logico- giuridica in presenza di uno strumento urbanistico esecutivo, quale è il piano di zona, la cui approvazione ha, per un verso, effetto legale di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità e di urgenza delle opere da realizzare; e, per altro verso, fissa anche la durata del piano stesso (Cass. sez. un. 11433/1997 e success.), delimitando temporalmente il potere espropriativo dell’amministrazione ed in essa assorbendo e contenendo i termini in questione; che vengono perciò a coincidere, e pur essi a scadere con quello di validità del piano medesimo.

Risulta da quanto si è detto evidente che le menzionate disposizioni sui piani di zona stabiliscono esclusivamente un termine massimo, sicchè nulla preclude all’autorità che li ha emanati o a quelle incaricate della loro attuazione di indicare immediatamente ovvero nei successivi provvedimenti di localizzazione e di esecuzione delle singole opere termini meno ampi e più appropriati alle espropriazioni ed ai lavori da realizzare nel caso concreto; con la conseguenza che in tal caso l’amministrazione espropriante resta soggetta a tale più riduttiva predeterminazione e che alla loro scadenza più non le è consentito invocare il più elevato termine massimo indicato.

Il che nel caso concreto è puntualmente avvenuto con la Delib.

Giunta 3 gennaio 1986, n. 6, indicata da entrambe le parti, che riduceva a 5 anni decorrenti dalla deliberazione commissariale dello IACP 18 gennaio 1984, n. 51, i termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori: perciò fissandone la scadenza per la data del 18 gennaio 1989.

Ma entrambi i giudici di merito hanno accertato, senza contestazione alcuna dei ricorrenti in questa fase di legittimità, che fino a tale data era vigente il decreto di occupazione temporanea del loro fondo (anche per le proroghe disposte dalla L. n. 42 del 1985, nonchè dal D.L. n. 54 del 1987), e che il decreto di espropriazione è stato tempestivamente adottato con provvedimento del 18 maggio 1988, impedendo anche il verificarsi della ed, occupazione espropriativa.

La statuizione impugnata che ha respinto la domanda di risarcimento del danno dei proprietari, perchè destinatari di un’espropriazione rituale, conforme a diritto,va pertanto confermata: con assorbimento del ricorso incidentale dello IACP, subordinato all’accoglimento non verificatosi, del ricorso principale.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta il principale ed assorbito l’incidentale, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in favore di ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 4.000,00 di cui Euro 3.800,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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