Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7254 del 14/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/03/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 14/03/2019), n.7254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28871/2014 R.G. proposto da:

P.P.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Corrado

Magnani e Francesco D’Ayala Valva, elettivamente domiciliata in Roma

presso quest’ultimo al viale Parioli, n. 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 524 della Commissione Tributaria Regionale

della Liguria, sezione n. 8, emessa il 19 novembre 2013, depositata

il 14 aprile 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/2/2019 dal

Consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per l’Agenzia delle

Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.P.A. ricorre con due motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 524 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sezione n. 8, emessa il 19 novembre 2013, depositata il 14 aprile 2014 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa degli avvisi di accertamento del maggior reddito determinato sulla base degli studi di settore per gli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, ha rigettato l’appello della contribuente.

2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. della Liguria (di seguito C.T.R.) riteneva che gli avvisi di accertamento fossero stati preceduti da un regolare invito al contraddittorio, anche se inviato alla contribuente ad altri fini; rilevava, inoltre, che il contraddittorio era stato comunque di fatto consentito, come emergeva dai verbali degli incontri svolti con i funzionari dell’Ufficio, dai quali risultava che l’Ufficio aveva comunicato che, sulla base della documentazione prodotta, i ricavi dichiarati dalla ricorrente sarebbero stati rideterminati. Secondo la C.T.R. il contraddittorio non si era svolto per la mancata partecipazione della contribuente all’incontro all’uopo fissato dall’Ufficio, nel quale avrebbe potuto far valere le proprie ragioni, “ivi compresa la possibilità di contestare l’applicazione alle proprie condizioni reddituali dello studio di settore”.

3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3 bis e D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente gli avvisi di accertamento, basati sugli studi di settore, sarebbero nulli perchè non sono stati preceduti da un rituale invito al contraddittorio.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, commi 1 e 3 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, allorchè la C.T.R. ha ritenuto sufficiente ad escludere l’invalidità degli avvisi la circostanza che l’accertamento si sia svolto in contraddittorio con il contribuente, senza che lo stesso fosse funzionale specificamente alla determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore.

1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati.

1.3. Invero, costituisce principio consolidato quello secondo cui “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (Cass. n. 17646/14; n. 10047/16; n. 27617/18).

E’ stato ulteriormente chiarito che “i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39,comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541 – 01).

In tema di Iva, tale orientamento trova conferma nella sentenza del 21/11/2018 della La Corte di Giustizia nella causa C-648/16, secondo cui l’art. 273 della direttiva IVA non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che, al fine di garantire l’esatta percezione dell’IVA e di prevenire l’evasione fiscale, determini l’importo dell’IVA dovuta da un soggetto passivo sulla base del volume d’affari complessivo, accertato induttivamente sulla scorta di studi settoriali approvati con decreto ministeriale, purchè siano rispettati i principi di neutralità fiscale dell’Iva e di proporzionalità e sia garantito il diritto di difesa del contribuente venga garantito durante il procedimento di rettifica fiscale.

Perchè l’accertamento basato sull’applicazione dello studio di settore sia legittimo occorre, dunque, che sia preceduto dall’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, ai fini di consentire a quest’ultimo di contestare specificamente l’applicazione dei valori risultanti dallo studio di settore al caso concreto.

Pertanto, ove il contribuente non sia stato posto nella condizione di contestare l’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, basato sull’applicazione dello studio di settore, non può considerarsi legittimo l’operato dell’Ufficio.

Nel caso di specie, la C.T.R. ha ritenuto che fosse idoneo ad escludere la nullità degli avvisi di accertamento basati sugli studi di settore il contraddittorio, instaurato dall’Ufficio ad altro fine, con l’invito alla contribuente a produrre documenti in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per l’acquisizione di elementi valutativi in sede di controllo della dichiarazione dei redditi per gli anni in contestazione.

Invero, sebbene nell’invito l’Ufficio non avesse fatto alcuno specifico riferimento alla determinazione induttiva del reddito mediante l’applicazione degli studi suddetti, il contraddittorio sul punto si era comunque svolto negli incontri avvenuti con il rappresentate della contribuente ed era stato ulteriormente rinviato ad un successivo incontro, cui nessuno aveva preso parte per conto della sig. P..

I giudici di merito di primo e secondo grado hanno ritenuto che la prova di tali circostanze risultasse dai verbali degli incontri con i funzionari dell’Ufficio, dai quali emergeva che il rappresentante della contribuente aveva prodotto copia degli studi di settore, rielaborati sulla base delle scritture contabili già in possesso dell’Ufficio, e che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate avevano manifestato l’intenzione di procedere alla rideterminazione del reddito sulla base della documentazione prodotta, fissando un incontro cui la contribuente non aveva preso parte.

Ritiene, quindi, il Collegio che sia sufficiente, ai fini della legittima determinazione del reddito con l’applicazione degli studi di settore, che il contribuente abbia effettivamente avuto la possibilità del contraddittorio endoprocedimentale con l’Ufficio sullo specifico punto riguardante l’applicazione al caso concreto dei valori risultanti dagli studi di settore, anche se esso si è svolto a seguito di un iniziale invito a produrre documenti in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per l’acquisizione di elementi valutativi in sede di controllo della dichiarazione dei redditi.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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