Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7250 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. I, 26/03/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 26/03/2010), n.7250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.N.C. OFFICINE NOCENTI & C. DI NOCENTI CLAUDIO E C, in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

via Germanico 96, presso l’avv. Taverniti Bruno, rappresentata e

difesa dall’avv. Valettini Roberto, del Foro di Massa, per procura in

atti;

– ricorrente –

contro

B.M., R.E., P.R. e B.

E., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza, di Spagna 35,

presso l’avv. Paoletti Luigi, rappresentati e difesi dall’avv.

Napoleoni Nicola, del Foro di Livorno, per procura in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 456 in data

8 marzo 2006. Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio in data 9 dicembre 2009 dal relatore, cons. SCHIRO’

Stefano;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso riportandosi alla relazione in atti.

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c, la seguente relazione, comunicata al

Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. la s.n.c. Officine Nocenti di Nocenti Claudio e C. ricorre per cassazione, sulla base di sette motivi, nei confronti di P. R., R.E., B.M. ed B.E. avverso la sentenza in data 8 marzo 2006, con la quale la Corte di appello di Firenze ha respinto l’appello dalla medesima società proposto contro la sentenza in data 8 settembre 2003, con la quale il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Piombino, si era pronunciato sul recesso da detta società esercitato dai menzionati soci e sulla liquidazione delle rispettive quote;

1.1. gli intimati resistono con controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

2. la ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo che:

a. le domande riconvenzionali dei soci dovevano essere ritenute inammissibili (primo motivo);

b. nella comparsa conclusionale di primo grado i convenuti avevano inammissibilmente modificato la causa petendi dello scioglimento del vincolo societario (secondo motivo);

c. la Corte di appello ha errato nel ritenere che l’art. 2252 c.c. consenta il consensuale scioglimento del rapporto sociale con riferimento ad alcuni dei soci (terzo motivo);

d. la Corte di appello, nell’interpretare il contratto sociale, non ha tenuto conto del comportamento delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto (quarto motivo);

e. non è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B.E., litisconsorte necessario sulla domanda di scioglimento del rapporto sociale, che è intervenuto nel giudizio, ma non quale litisconsorte necessario pretermesso (quinto motivo);

f. la sentenza di appello, con vizio di motivazione, non ha tenuto conto delle censure formulate alla consulenza tecnica d’ufficio (sesto motivo);

g. l’incarico peritale è stato conferito con violazione del diritto di difesa e la relativa censura è stata immotivatamente disattesa dalla Corte di appello (settimo motivo);

3. il ricorso appare inammissibile; la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 8 marzo 2006; di conseguenza il giudizio di cassazione cade sotto il regime processuale introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2,;

trova in particolare applicazione il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., in forza del quale, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione;

4. nel caso di specie, la ricorrente non ha illustrato i dedotti vizi di violazione di legge e di nullità del procedimento con la formulazione di quesiti di diritto contenenti la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso della ricorrente stessa, si sarebbe dovuta applicare (Cass. S.U. 2008/2658; Cass. 2008/19769; 208/24339), non potendosi comunque desumere il quesito di diritto dal contenuto del motivo, non idoneo ad integrare il rispetto del requisito formale specificamente richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. (Cass. 2007/16002; 2007/23153; 2008/16941; 2008/20409);

4.1. la ricorrente ha inoltre dedotto vizi di motivazione, senza illustrare la censura con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati ai punti 3, 4. e 4.1., si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione, non inficiate dalle argomentazioni difensive svolte nella sopraindicata memoria; infatti, per quanto riguarda il vizio di motivazione dedotto con il sesto motivo, non si rinviene all’interno della complessiva censura il momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, come sostanzialmente ammesso nella propria memoria dallo stesso ricorrente, il quale – nell’affermare che il motivo si articola “…in termini piuttosto sintetici, occupando soltanto due delle pagine dell’intero ricorso…” e costituisce già “…un momento di sintesi della denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione…” – ha implicitamente riconosciuto che all’individuazione del fatto controverso o delle ragioni di insufficienza della motivazione è possibile pervenire solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione dell’insieme delle argomentazioni addotte a sostegno della censura;

B1) ritenuto che, con riferimento alla rilevata inammissibilità degli altri motivi di ricorso per l’omessa formulazione dei quesiti di diritto previsti dall’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, sollevata dalla ricorrente in relazione agli artt. 3, 27 e 111 Cost., nella parte in cui viene stabilito che l’abrogazione di detto art. 366 bis, prevista dal precedente L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), si applica soltanto alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato è stato pubblicato o, nei casi in cui la pubblicazione non sia prevista, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della legge stessa; considerato che non è pertinente con le ragioni addotte a sostegno della sollevata questione di legittimità costituzionale il richiamo all’art. 27 Cost., che riguarda la responsabilità penale dell’imputato, potendosi ragionevolmente ritenere che la ricorrente abbia invece inteso far riferimento all’art. 24 della Carta costituzionale e alla violazione della tutela giurisdizionale del diritto invocato;

osservato che il legislatore ha abrogato, con la L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), l’art. 366 bis c.p.c. e quindi anche la previsione, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, di un quesito di diritto che, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), e 4) illustri ciascun motivo di censura, in quanto ha contemporaneamente dettato, con l’art. 360 bis c.p.c., introdotto dall’art. 47 cit., al comma 1, lett. a), una nuova disciplina dei casi di inammissibilità del ricorso per cassazione, ritenuta più idonea a consentire la realizzazione della funzione di nomifilachia propria della corte di legittimità, considerando di conseguenza incompatibile con tale nuova disciplina il mantenimento dell’ipotesi di inammissibilità conseguente alla mancata formulazione del quesito di diritto (ed anche, con riferimento al vizio di motivazione, alla omessa indicazione del fatto controverso su cui la motivazione sarebbe mancante o contraddittoria o delle ragioni per le quali la motivazione che si assume insufficiente sia inidonea a giustificare la decisione); rilevato, a tale riguardo, che il giudice delle leggi ha più volte riconosciuto (v. Corte cost. 13 gennaio 2006 n. 9) che “in materia di successione di leggi, il legislatore ha ampia discrezionalità di modulare nel tempo la disciplina introdotta, con l’unico limite della ragionevolezza”, limite che non è superato – come neppure è violato il diritto di difesa – se una nuova regolamentazione dei casi di inammissibilità del ricorso per cassazione viene stabilita soltanto per il futuro in coerenza con il fondamentale principio “tempus regit actum”, restando di conseguenza la disciplina processuale e gli effetti degli atti compiuti anteriormente regolati dalla norma sotto la cui vigenza sono stati posti in essere (v. Cass. S.U. 2007/5394; Cass. 2008/28428);

osservato altresì che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la disciplina del quesito di diritto, come prevista dall’art. 366 bis c.p.c., non comporta la limitazione del diritto di accesso al giudice e una violazione dei principi informatori del giusto processo, tenuto conto che la formulazione del quesito stesso costituisce un mezzo di esercizio di detto diritto, nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimità della decisione, sicchè la formulazione del quesito è comunque collegata con la funzione nomofilattica del giudizio di legittimità, in ragione della quale è stato imposto come onere a carico della parte (v. Cass. 2008/2652);

ritenuto che le considerazioni che precedono conducono alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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