Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7245 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. II, 15/03/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 15/03/2021), n.7245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26281/2019 proposto da:

T.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato FILIPPO CARELLA,

presso il cui studio a Binasco, via Martiri d’Ungheria 5,

elettivamente domicilia per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici a Roma, via dei Portoghesi

12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 255/2019 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,

depositata l’11/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 3/11/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello che T.O., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

T.O., con ricorso notificato il 6/9/2019, poi illustrato da memoria, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo articolato, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 122 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, rigettando la censura con la quale l’appellante aveva dedotto che l’ordinanza del tribunale era stata, in sostanza, redatta facendo uso soltanto della lingua inglese, ne ha ritenuto l’infondatezza sul rilievo che i motivi sui quali l’ordinanza impugnata era stata fondata erano stati ben compresi dal richiedente, tanto che lo stesso aveva potuto enunciare specifici motivi di gravame, e che la materia della protezione internazionale comporta il ricorso a fonti informatiche, spesso in lingua inglese, tanto che spesso le produzioni delle parti sono redatte in tale lingua.

1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello non ha considerato che il principio per cui l’obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso stretto, tra cui i provvedimenti del giudice, e non anche ai documenti esibiti dalle parti, e che l’art. 122 c.p.c., ha per scopo quello di consentire a chiunque ed, in particolare, alle parti in causa, di comprendere le decisioni dei giudici, senza limitarne la comprensione ai soli operatori del diritto.

2. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, non riprodotto, in ricorso, le parti dell’ordinanza appellata asseritamente redatte in lingua diversa da quella italiana, per cui, sul punto, la censura svolta è del tutto priva della necessaria specificità. Il ricorrente, del resto, ha censurato la sentenza impugnata esclusivamente nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la materia della protezione internazionale comporta il ricorso a fonti informatiche, spesso in lingua inglese, tanto che spesso le produzioni delle parti sono redatte in tale lingua: ma non anche lì dove, con statuizione di per sè idonea a sorreggerne la decisione, la stessa sentenza ha ritenuto che i motivi sui quali l’ordinanza impugnata era stata fondata erano stati ben compresi dal richiedente, tanto che lo stesso aveva potuto enunciare specifici motivi di gravame. In ogni caso, non viola il principio dell’obbligatorietà dell’uso della lingua italiana negli atti processuali il provvedimento del giudice che rechi, in motivazione, citazioni di fonti di conoscenza in lingua inglese (che, com’è rimasto incontestato nel caso in esame, siano) di facile comprensibilità e tali, quindi, da non recare pregiudizio al diritto di difesa delle parti (Cass. n. 22979 del 2019, con riguardo proprio al decreto di diniego di riconoscimento della protezione internazionale a rifugiato).

3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

4. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, per compenso, oltre accessori e spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

 

 

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