Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7243 del 22/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.22/03/2017),  n. 7243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO MAURO – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3433-2016 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 51, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO ZOPPIS, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati VITTORIO BASSINO,

RICCARDO PRANDI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E., C.D. elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA

VALENSISE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

LUIGI MARZI, UGO BERTELLO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 15005/2015 della CORTE D’APPELLO DI TORINO,

depositata il 04/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCLIOLO;

Lette le memorie di parte controricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con testamento pubblico del 15 marzo 2002 C.T. nominava erede T.D., lasciando al coniuge T.F., poi deceduto prima dell’apertura della successione, la sola quota di legittima.

Deceduta la testatrice in data 24 febbraio 2003, i fratelli C.E. e D. convenivano in giudizio la T. affinchè fosse dichiarata la nullità del testamento ai sensi degli artt. 603 e 606 c.c. ovvero che fosse annullato per difetto della capacità di intendere e di volere ai sensi dell’art. 591 c.c., con la condanna della convenuta a restituire in favore egli eredi legittimi quanto caduto in successione. Evidenziavano che la testatrice era da tempo affetta da gravi problemi di salute, che ne avevano menomato le capacità psichiche, e che in ogni caso il testamento era affetto da vizi di forma, in quanto una delle persone indicate come testimoni nell’atto pubblico, aveva rivelato che in realtà aveva apposto la propria firma allorquando era già tutto terminato, senza che quindi fossero state rispettate le formalità prescritte dalla legge per la redazione del testamento pubblico.

Nel corso del giudizio, e nella resistenza della convenuta, gli attori proponevano altresì querela di falso avverso il testamento impugnato, ed il Tribunale di Mondovì con sentenza n. 331/2009 rigettava la querela Ai falso, ordinando la restituzione dell’originale del testamento al notaio G., previa annotazione sull’atto della sentenza, e con separata ordinanza rimetteva le parti in istruttoria per il prosieguo del giudizio.

Quindi con sentenza n.559/2012 del 21/11/2012 il Tribunale rigettava anche le altre domande degli attori,.

Avverso entrambe le sentenze hanno proposto appello i germani C. e la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1505/2015 del 4/8/2015, in parziale accoglimento del gravame accoglieva la querela di falso, dichiarando la nullità del testamento pubblico della de cuius, dichiarava la nullità della sentenza definitiva del 2012, e previo assorbimento della domanda di nullità ex art. 603 c.c., rigettava la domanda di annullamento ex art. 591 c.c., n. 3, rimettendo la causa in istruttoria, per la decisione sulle domande restitutorie proposte dagli attori.

Rilevava la Corte distrettuale, che difformemente da quanto opinato dal Tribunale, e relativamente all’impugnazione della sentenza che aveva deciso sulla querela di falso, non poteva ravvisarsi l’inattendibilità della deposizione della teste P., dovendosi escludere l’esistenza di un suo interesse alla decisione della causa in senso favorevole agli attori.

Nemmeno sussisteva il contrasto tra le deposizioni rese in sede giudiziale e quelle rese in sede penale, nonchè con il contenuto della dichiarazione sottoscritta del 27/3/2003, emergendo dal complesso che in realtà, dopo che la testatrice aveva inizialmente interrotto la stipula del testamento, in quanto non riteneva che il testo letto dal notaio corrispondesse alle proprie volontà, si era avuto un conciliabolo tra il professionista e la de cuius, all’esito del quale il notaio si era limitato a leggere il testamento già scritto, senza che la testatrice muovesse altre obiezioni.

Era quindi mancata, ad avviso della Corte, la manifestazione delle volontà della testatrice ad opera della stessa ed alla presenza dei testimoni, non potendo tale fase necessaria essere surrogata dall’assenza di obiezioni da parte della de cuius.

Per l’effetto ha dichiarato la falsità del testamento pubblico.

Passando poi ad esaminare l’appello proposto avverso la seconda sentenza del Tribunale, la Corte piemontese ne ha rilevato in primis la nullità in quanto emessa da un GOT, quale giudice monocratico, dovendo invece essere adottata dal Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c.

Tuttavia, alla nullità non conseguiva la rimessione della causa al giudice di primo grado, ma si imponeva una decisione nel merito.

Al riguardo la sentenza impugnata ha ritenuto assorbita la domanda di nullità del testamento per vizi di forma, attesa la già intervenuta declaratoria di nullità dell’atto, mentre ha rigettato nel merito la domanda di annullamento per incapacità della de cuius, posto che le prove raccolte deponevano per l’assenza di una condizione di incapacità naturale al momento) della stipula del testamento.

T.D. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di due motivi.

C.E. e C.D. hanno resistito con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al combinato disposto degli artt. 225, 327 e 340 c.p.c.

Si sostiene infatti che la sentenza n. 31/2009 del Tribunale di Mondovì, con la quale era stata rigettata la querela di falso, e nei cui confronti gli attori avevano formulato riserva di appello ex art. 340 c.p.c., ad onta della formale qualificazione, doveva ritenersi avere carattere definitivo, attesa la peculiare natura del giudizio di falso, ancorchè proposto in via incidentale.

Si rileva che secondo la giurisprudenza di legittimità, la sentenza che decide sulla querela è una sentenza che rappresenta comunque l’epilogo di un procedimento che conserva una sua autonomia, e che quindi la relativa decisione non può mai assumere la natura di sentenza non definitiva.

Ne consegue che la riserva di impugnazione deve ritenersi tamquam non esser, e che l’appello proposto nei suoi confronti, unitamente all’appello avverso la sentenza del 2012, deve ritenersi inammissibile, in quanto tardivo.

Poichè quindi la sentenza di rigetto della querela di falso è passata in cosa giudicata, e tale giudicato è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, si chiede pronunziarsi la cassazione della sentenza della Corte distrettuale senza rinvio.

Il motivo ad avviso del Collegio è da ritenersi comunque infondato, dovendosi in parte dissentire rispetto alla proposta del relatore.

Ed infatti, così come ribadito nelle deduzioni della parte ricorrente, la giurisprudenza della Corte nelle occasioni in cui ha avuto modo di occuparsi della natura della sentenza che definisce la querela di falso, ancorchè proposta in via incidentale, ha costantemente ribadito la specificità del giudizio de quo, pervenendo alla conclusione che la sentenza de qua abbia sempre natura definitiva, sebbene il giudizio, nel quale l’accertamento di falso si innesta, sia destinato a proseguire.

In tal senso si veda Cass. n. 2988/1976, la quale ha affermato che esaurendosi la rilevanza del carattere incidentale della querela di falso nella fase della sua ammissibilità, ed assumendo, quindi, il relativo procedimento natura formalmente autonoma ed indipendente rispetto al giudizio principale, anche sotto il profilo della competenza, è da escludere che la sentenza emanata nel procedimento incidentale di falso, costituisca pronunzia non definitiva emessa nel giudizio principale.

In senso analogo si veda anche Cass. n. 12399/2007 per la quale la sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva), ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se attivato in via incidentale – è comunque autonomo ed ha per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata, nonchè in motivazione Cass. n. 15601/2015.

La peculiare natura del giudizio in oggetto imporrebbe quindi di dover attribuire alla sentenza che abbia deciso sulla querela sempre natura definitiva, tuttavia la peculiarità della fattispecie consiste nel fatto che la il Tribunale nel pronunziare la sentenza che ha a suo tempo accolto la querela di falso, ha espressamente ritenuto di qualificare la stessa come non definitiva, rimettendo anche la decisione in merito alle spese dall’esito del giudizio di merito.

A tal fine deve darsi continuità a quanto affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, con la sentenza n. 9441/2011, con la quale, ribadendosi quanto già affermato sempre dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 711/1999, si è precisato che in tema di impugnazioni, nella ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerare non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5), e senza provvedere sulle spese in ordine alla domande (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all’ulteriore corso del giudizio. Tale criterio formale di identificazione è applicabile anche per le pronunce declinatorie della giurisdizione, poichè vale a fondare l’affidamento della parte nella possibilità che, ricorrendo tali condizioni, la sentenza sia suscettibile di riserva di impugnazione differita.

A fronte di una pronuncia che secondo gli indici formali, da ritenere prevalenti, secondo la citata giurisprudenza, rispetto a quelli di carattere sostanziale, la parte doveva nutrire affidamento sulla qualificazione formale, così che era legittimata anche la riserva di impugnazione e la successiva impugnazione della sentenza unitamente a quella definitiva.

A conforto di tale soluzione valga altresì il richiamo al principio dell’apparenza che questa Corte ha reiteratamente applicato, e proprio in materia di corretta individuazione del rimedio impugnatorio.

In tal senso si veda, da ultimo, Cass. n. 12872/2016, a mente della quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va operata con riferimento esclusivo alla qualificazione giuridica dell’azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, a prescindere dalla sua esattezza o dalle indicazioni della parte (conf. ex multis Cass. n. 21520/2015; Cass. n. 3712/2011).

Il principio appare poi pianamente desumibile anche dalle considerazioni espresse dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 390/2011, la quale ritiene di dover attribuire rilevanza alla forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento, e ciò in ossequio al principio dell’apparenza.

Ed invero se quest’ultima è destinata ad orientare in maniera risolutiva le scelte della parte in merito al rimedio impugnatorio esperibile, lo stesso deve affermarsi quanto alla opzione tra l’impugnazione immediata ovvero differita, occorrendo dare prevalenza al dato formale della qualificazione della pronuncia data dallo stesso giudice unitamente alla mancata liquidazione delle spese di lite.

Ne consegue che correttamente la parte ha impugnato la sentenza che aveva deciso sulla querela di falso unitamente a quella definitiva, derivando) da tale considerazione il rigetto del motivo in esame.

Con il secondo motivo si denunzia la nullità della sentenza impugnata per la violazione degli artt. 70, 71, 158, 161, 350 e 352 c.p.c. per non avere posto il pubblico ministero nelle condizioni di poter intervenire in sede di appello, sebbene questo vertesse anche sulla querela di falso. Il motivo è fondato.

Non risulta infatti che il PM sia stato reso partecipe del giudizio di appello, sebbene il gravame vertesse anche sulla querela di falso.

A tal fine deve farsi richiamo a quanto stabilito da questa Corte (cfr. Cass. n. 15504/2002) secondo cui, sebbene nel giudizio di appello sulla querela di falso, la notificazione dell’impugnazione all’ufficio del Pubblico Ministero presso il giudice “a quo” non è necessaria, non avendo il Pubblico Ministero qualità di parte nel giudizio di falso e non potendo, dunque, impugnare la sentenza di primo grado, nè tale notificazione può sostituire l’avviso all’ufficio del Pubblico Ministero presso il giudice del gravame (procura generale presso la corte di appello), invece necessario – a pena di nullità del procedimento di appello – in considerazione dell’obbligatorietà dell’intervento dello stesso ai sensi dell’art. 221 c.p.c. (conf. Cass. N. 10971/2004). Gli stessi controricorrenti concordano sulla mancata partecipazione al giudizio del P.M. sebbene ai fini sopra indicarti, con la conseguenza che il motivo deve essere accolto, stante la nullità del giudizio di appello.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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