Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7241 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. III, 30/03/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 30/03/2011), n.7241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29267/2006 proposto da:

B.G. (OMISSIS), considerato domiciliato “ex

lege” in ROMA, la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati D’ANGELO Innocenzo, ARCIPRETE

DANIELA giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.D., N.S., ASL/(OMISSIS) TREVISO (OMISSIS) in

persona del Direttore Generale legale rappresentante pro tempore

Dott. C.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato GIOIOSO RAFFAELE,

rappresentati e difesi dall’avvocato BIGOLIN Otello giusta delega in

calce al controricorso;

CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) (già LEVANTE NORDITALIA

ASSICURAZIONI S.P.A.), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 114-B, presso lo studio dell’avvocato MELUCCO GIORGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELILLIS MATTEO

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 652/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione Quarta Civile, emessa il 14/2/2006, depositata il 14/04/2006

R.G.N. 733/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato FEDERICA MELUCCO per delega dell’avvocato GIORGIO

MELUCCO;

udito l’Avvocato OTELLO BIGOLIN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per la inammissibilità o il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. Con sentenza del 14 aprile 2006 la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello principale proposto da B.G. avverso la sentenza del Tribunale di Treviso (subentrato al Pretore di quella città, per effetto della soppressione dell’ufficio pretorile), che aveva rigettato la domanda da lui proposta contro l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Treviso e due suoi dipendenti, svolgenti funzione di ispettori di igiene, N.S. e M. D., per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti per i deperimento subito da farine e prodotti alimentari, depositati nel suo magazzino annesso all’esercizio di panificazione, a seguito – a suo dire – del tardivo dissequestro da parte dell’A.S.L. rispetto alla mancanza di “convalida” sic del loro sequestro da parte del Pubblico Ministero nel procedimento originatosi con il loro sequestro da parte di ufficiali di polizia giudiziaria.

La Corte d’Appello, viceversa, ha accolto l’appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento delle spese giudiziali, proposto dalla Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., che era stata chiamata in garanzia dall’A.S.L..

p. 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, il secondo ed il terzo dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed il primo ed il quarto solo ai sensi di quest’ultimo.

Al ricorso hanno resistito con separati controricorsi l’A.S.L. n. (OMISSIS) di Treviso, il N. ed il M., da un lato, e la Carige Assicurazioni s.p.a., dall’altro. Quest’ultima ha genericamente assunto che la levante si sarebbe trasformata in essa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Il Collegio ritiene che i motivi di ricorso siano inammissibili e che conseguentemente il ricorso nella sua interezza sia inammissibile.

Queste le ragioni.

p. 1.1. Il primo motivo deduce – ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia ed in merito alla mancata considerazione di una prova vertente su un fatto decisivo”.

Esso presenta una duplice ragione di inammissibilità.

La prima risiede nella circostanza che la sua illustrazione, la quale nemmeno utilizza i concetti normativi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (fatto controverso e decisivo) non si conclude e nemmeno contiene il momento di sintesi espressivo della c.d. chiara indicazione necessaria per assolvere al requisito dell’art. 366 bis c.p.c., in tal modo contravvenendo al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte sul modo di assolvimento del requisito previsto da detta norma per il motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007: “In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”).

p. 1.2. Il motivo, inoltre, presenta una seconda causa di inammissibilità, dedotta anche dall’A.S.L., dal N. e dal M.: essa è rappresentata dall’inosservanza del requisito di ammissibilità della indicazione specifica dei documenti su cui si fonda. Infatti, nella illustrazione si fa riferimento a due documenti, dei quali non solo non si riproduce il contenuto per la parte che interessa e che fonda le argomentazioni del motivo, ma non si fornisce nè l’indicazione della sede di produzione nelle fasi di merito, nè si precisa se e dove sarebbero stati prodotti (anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) in questo giudizio di legittimità. Al riguardo, viene in rilievo la consolidata giurisprudenza della Corte che, sull’esegesi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (che costituisce il precipitato normativo del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione) ha così statuito: “In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta:

a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso” (Cass. sez. un. n. 7161 del 2010; in precedenza, fra molte, Cass. sez. un. n. 28547 del 2008).

p. 2. Il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia ed in merito alla mancata considerazione di una prova vertente su un fatto decisivo”, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 2059 c.c.”.

p. 2.1. Il motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è nuovamente inammissibile per l’inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c., nei sensi indicati riguardo al primo motivo.

E’ inammissibile per quanto attiene al motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè l’illustrazione è conclusa da un quesito di diritto del tutto astratto e che, quindi, è inidoneo ad assolvere al requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Il quesito proposto è, infatti, il seguente: “Ai sensi dell’art. 2059 c.c., una volta accertata l’esistenza di un reato consegue automaticamente il diritto al risarcimento del danno morale a favore della parte offesa ed a carico del soggetto che ha commesso l’illecito penale?”. Siffatto quesito è per un verso privo di un pur sommario riferimento alla vicenda oggetto di lite ed alla sentenza impugnata.

L’art. 366 bis c.p.c. (ora abrogato, ma senza effetto stante la irretroattività dell’abrogazione, sui ricorsi proposti anteriormente all’abrogazione, disposta a far tempo dal 4 luglio 2009, dalla L. n. 69 del 2009), infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presentava questo contenuto era ed è, pertanto, un non – quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

p. 2.2. Il motivo, comunque, nella sua illustrazione – se non fosse stata inammissibile per le ragioni indicate – si sarebbe presentato del tutto apodittico, perchè, nel prospettare il mancato riconoscimento di un “danno morale” assume che esso sarebbe derivato dall’avere i dipendenti dell’A.S.L. commesso un’omissione di atti di ufficio. Senonchè, ciò viene prospettato riportando l’assunto in tal senso della conclusionale (non è dato sapere di quale grado) senza, peraltro, alcun riferimento a dove e come l’esistenza di detto reato sarebbe risultata.

p. 3. Il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia ed in merito alla mancata considerazione di una prova vertente su un fatto decisivo”, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 1226 c.c.”.

Il motivo presenta una duplice causa di inammissibilità.

La prima è la mancanza del ed. momento di sintesi per la censura ai sensi dell’art. 360, n. 5 e l’assoluta astrattezza nei sensi indicati a proposito del motivo precedente del quesito di diritto per la censura ai sensi del n. 3 di detta norma (posto che il quesito proposto è questo: “Ai sensi dell’art. 1226 c.c., la mancata disponibilità di un bene di proprietà a seguito di illecito, costituisce di per sè un danno da risarcire in via equitativa secondo il prudente apprezzamento del giudice a prescindere da ulteriori danni di natura patrimoniale documentati?”.

La seconda ragione è l’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, posto che la censura rivolta alla Corte territoriale per non avere applicato l’art. 1226 c.c., è basata, del tutto genericamente, “su quanto risulta dagli atti circa il fatto che il magazzino era inaccessibile a causa dei sigilli che il B. non poteva evidentemente violare”: della sede da cui sarebbero emerse tali risultanze in fase di merito e di quella nella quale dovrebbero risultare in questo giudizio emergerebbero non si fornisce alcuna indicazione.

p. 4. Il quarto motivo prospetta “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia ed in merito alla mancata considerazione di una prova vertente su un fatto decisivo” ed anch’esso è inammissibile sia per l’omessa formulazione del momento di sintesi, sia perchè fa riferimento ad una prova per testi di cui non riferisce il tenore e l’udienza di assunzione e ad un documento (verbale di sequestro) de quale parimenti non fornisce l’indicazione specifica, di modo che nuovamente sono violati l’art. 366 bis c.p.c. e art. 366 c.p.c., n. 6.

p. 5. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

p. 6. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo a favore dell’una e dell’altra parte resistente.

E’ da rilevare che sulla legittimazione della Carige non sono stata sollevate contestazioni da parte del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle due parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuna in euro milleduecento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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