Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7239 del 22/03/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2018, (ud. 13/02/2018, dep.22/03/2018),  n. 7239

Fatto

Rilevato che:

F.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 142 del 2016, depositata il 16 febbraio 2016, con la quale è stata accolta la domanda, avanzata dal controricorrente, allora appellante signor D.Q.D., di rigetto della domanda di pagamento della quota di TFR dalla odierna ricorrente proposta L. n. 898 del 1970, ex art. 12 bis; il signor D.Q.D. ha replicato con controricorso;

Considerato che:

con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente escluso il diritto a percepire la quota di TFR richiesta, dovendosi individuare, quale elemento temporale di riferimento a tal fine, quello in cui il TFR entra definitivamente nella disponibilità del coniuge e non quello in cui sorge il relativo diritto;

con il secondo motivo di ricorso – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5) – la ricorrente si duole della circostanza che la Corte salentina abbia omesso di dar conto, con adeguata e corretta motivazione, delle ragioni ostative alla valutazione dell’istanza di rinnovo, formulata nei precedenti gradi di giudizio, di acquisizione delle informative rivolte al datore di lavoro dell’appellante, nonchè all’Istituto nazionale di previdenza sociale, volte alla cognizione della data di erogazione del TFR e del relativo quantum;

Ritenuto che:

l’espressione, contenuta nella L. 10 dicembre 1970, n. 898, art. 12 bis, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza” implichi che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato; infatti, poichè la “ratio” della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all’assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne derivi che, indipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno è riconnessa l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. (Cass., 06/06/2011, n. 12175; Cass., 20/06/2014, n. 14129);

siffatta interpretazione sia, per vero, coerente con la natura costitutiva della sentenza di divorzio e con la possibilità, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio a far data dalla domanda (Cass., 17/12/2003, n. 19309);

Rilevato che:

nel caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente applicato la norma, l’art. 12 bis, oggetto di censura, avendo individuato nella data di cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di licenziamento, quella nella quale è sorto il diritto del D.Q. al TFR ed avendo negato, conformemente all’orientamento di codesta Corte sopra richiamato, il diritto per l’odierna ricorrente a riceverne una quota, quale ex coniuge, essendo stato proposto il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in un arco cronologico successivo alla maturazione del diritto dl TRF in capo al marito;

In conseguenza di quanto suesposto, risulta del tutto corretta la decisione del giudice di appello di negare qualsivoglia rilevanza, ai fini della definizione della controversia, all’istanza ex art. 210 c.p.c., di acquisizione di notizie sulla data di erogazione del TFR e del relativo ammontare;

Ritenuto che:

peraltro, l’omesso esame di istanze istruttorie non valga ad integrare il vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054);

alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso debba essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2018

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