Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7239 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 13/03/2020), n.7239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36497-2018 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

DANIELA VIGLIOTTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1096/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 25/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Brescia, pubblicata il 25 giugno 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da K.P. nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Brescia dell’11 novembre 2016. Con quest’ultima pronuncia era stato negato che al ricorrente, nato in Nigeria, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; era stato altresì escluso che lo stesso K. potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. La censura investe la decisione assunta dal giudice del gravame con riguardo al denegato riconoscimento della protezione sussidiaria; l’istante richiama la situazione di generale insicurezza del paese di provenienza; assume che alla luce delle indicazioni tratte dalle fonti pertinenti la regione di origine di esso richiedente potesse ritenersi interessata a violenza indiscriminata.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha dato puntualmente atto, di come, sulla base dei dati di riscontro acquisiti (report dell’UNHCR e di Amnesty International), la presenza di violenze generalizzate e di scontri armati in Nigeria dovesse ritenersi circoscritta a tre Stati nord-orientali di Yobe, Borio e Adatnawa, mentre nulla in tal senso fosse invece rilevato con riferimento alla città di Abuja, da cui proveniva il ricorrente. Contrariamente a quanto pare credere la parte istante, dunque, il giudice del gravame si è preoccupato di acquisire le necessarie informazioni sul paese di origine del richiedente (come imposto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3).

All’indagine compiuta dal giudice del merito l’istante contrappone indicazioni che, a suo dire, avrebbero dovuto orientare il giudizio della Corte di merito in altra direzione. Si osserva, tuttavia, che l’accertamento della Corte di appello circa la sussistenza della speciale situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Nel caso in esame, il ricorrente non ha nemmeno articolato censure nei sensi appena indicati.

2. – Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. La doglianza si dirige verso la ritenuta insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria; assume l’istante che, sulla base della informazioni relative alla sua area di provenienza, doveva credersi che il rimpatrio lo avrebbe esposto al rischio di grave compromissione dei suoi diritti fondamentali.

Anche tale motivo è inammissibile.

La decisione della Corte bresciana fonda il rigetto della domanda avente ad oggetto la protezione umanitaria sul rilievo per cui il ricorrente non aveva fatto valere alcuna particolare situazione di vulnerabilità, tale da giustificare lo speciale permesso di soggiorno di cui all’art. 5, comma 6, cit.. La pronuncia impugnata pone dunque l’accento su di un deficit in punto di allegazione: e lo fa conformandosi al principio per cui proposizione del ricorso nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336). L’istante non si misura con l’indicato contenuto della pronuncia e si limita a svolgere considerazioni del tutto generiche quanto alla spettanza della forma di protezione invocata, senza indicare specifici profili di vulnerabilità che siano stati oggetto di una precorsa allegazione (profili – è da aggiungere – che avrebbero dovuto necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6: Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione).

3. – Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

4. Non è luogo a pronuncia sulle spese.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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