Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7237 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 27/01/2017, dep.22/03/2017),  n. 7237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1997/2016 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MARGINA 29,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINO ROSARIO BARLETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PAOLO LONGO NINNOLO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.C., MA.LO., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ALFREDO CASELLA 43, presso lo studio dell’avvocato

NICOLETTA MERCATI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato EMMA COTTICELLI, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

SERIT SICILIA, BNL;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1725/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 16/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania che aveva rigettato la domanda riconvenzionale di simulazione proposta dal ricorrente al fine di far accertare che due acquisti immobiliari effettuati dagli attori, M.C. e Ma.Lo., erano in realtà delle donazioni e che andavano incluse nel donatum.

In tal senso riteneva la Corte distrettuale che la conclusione alla quale era pervenuto il Tribunale, e che cioè il convenuto non potesse fornire la prova della simulazione mediante testimoni, in assenza della controdichiarazione scritta, non poteva essere confutata, essendo corretta l’interpretazione della domanda riconvenzionale offerta dal giudice di prime cure.

Il solo riferimento contenuto nella comparsa di risposta del M.L. al fatto che gli atti impugnati miravano a ridurre la quota indisponibile, non consentiva di affermare che fosse stata proposta anche l’azione di riduzione, non essendo stata allegata l’effettiva lesione della quota di parte appellante.

M.L. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania sulla base di un unico motivo e, degli intimati, hanno resistito con controricorso Ma.Lo. e C..

Il motivo di ricorso con un’unica censura denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’affermazione circa la mancata proposizione della domanda di riduzione.

Il motivo, anche a voler superare il profilo formale di ammissibilità legato alla mancata indicazione delle norme di legge violate (Cass. n. 635/2015; Cass. n. 16038/2013), è infondato e deve essere disatteso. In primo luogo deve ritenersi ormai pacifica la qualificazione come richiesta di accertamento della simulazione della domanda riconvenzionale respinta in primo grado dal Tribunale con pronuncia confermata in appello, sicchè la qualificazione giuridica in tali termini della richiesta del ricorrente non è sindacabile in questa sede.

Ciò posto, risulta altrettanto pacifico, oltre che confortato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui la simulazione possa essere provata con testi solo nel caso in cui l’erede spenda specificamente la qualità di legittimario, denunziando la lesione della propria quota di legittima ed instando per la riduzione delle donazioni lesive.

I giudici di merito hanno interpretato la domanda riconvenzionale pervenendo alla conclusione secondo cui il mero riferimento contenuto nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado del ricorrente alla idoneità delle donazioni dissimulate ad incidere sulla quota indisponibile, non permetteva di affermare che fosse stata proposta anche un’azione di riduzione, mancando l’allegazione dell’effettiva esistenza della lesione della quota di riserva, ed essendosi il convenuto limitato nelle richieste finali unicamente a richiedere di ricomprendere nell’asse ereditario gli immobili asseritamente oggetto di donazione.

Ad avviso del Collegio non vi sono validi argomenti per discostarsi da tale affermazione.

Ed, invero ribadita la autonomia della domande di riduzione e di divisione, sulle quali ha ampiamente argomentato il giudice di merito, con puntuali riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte (cui adde ex multis Cass. n. 22855/2010), è però indubbio che la corretta individuazione della domanda proposta non possa prescindere dalla disamina congiunta della causa petendi e del petitum. Ne consegue che quand’anche nell’esposizione della prima possa essersi fatto riferimento alla possibilità che le donazioni di cui si chiedeva accertarsi la simulazione fossero in grado di ledere la quota di legittima, la richiesta dell’appellante espressiva del petitum, era chiaramente rivolta alla sola divisione.

Depone in tal senso la specifica richiesta di includere nel patrimonio da dividere, oltre al relictum, anche il (preteso) donatum, risultato questo che appare in realtà assicurato dal diverso istituto della collazione, che a differenza di quanto accade nell’azione di riduzione (per effetto della quale non si determina alcun incremento della massa comune, ma implica che, a soli fini di calcolo, si tenga conto delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, onde accertare l’eventuale esistenza di una lesione, che giustifichi poi la riduzione delle donazioni e negli stretti limiti necessari a reintegrare la quota di legittima) assicura l’effettivo rientro del bene nella massa da dividere, o comunque del suo controvalore (nel diverso caso in cui il donatario opti per la collazione per imputazione).

D’altronde e proprio alla luce di quanto affermato da Cass. n. 20143/2013, citata nella sentenza impugnata, secondo cui, in considerazione dell’autonomia e della diversità dell’azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione, il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione legittima non comporta un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, sicchè ciascun coerede condividente, pur dopo la sentenza di divisione divenuta definitiva, può esperire l’azione di riduzione della donazione compiuta in vita dal “de cuius” in favore di altro coerede dispensato dalla collazione, chiedendo la reintegrazione della quota di riserva e le conseguenti restituzioni, il semplice riferimento alla idoneità delle donazioni a determinare la riduzione della quota indisponibile, deve essere inteso, in assenza di una esplicita domanda di riduzione delle donazioni stesse, come riferibile alla possibilità di un successivo esperimento dell’azione di riduzione, ove il risultato della divisione non avesse assicurato al ricorrente il conseguimento di quanto dalla legge riconosciutogli, sulla base delle norme in materia di successione necessaria.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti dei controricorrenti.

Nulla a disporre per le spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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