Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7237 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 13/03/2020), n.7237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32080-2018 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PAOLO SASSI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80014130928 COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO SEZIONE DI

CAMPOBASSO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Campobasso del 17 settembre 2018. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a T.S. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

Ha osservato il Tribunale che il racconto del richiedente risultava essere poco credibile e “privo di aspetti specifici e individualizzanti”, giacchè l’istante si era dimostrato incapace di fornire “le informazioni più elementari di conoscenza del partito al quale avrebbe aderito” ed era inoltre risultato ignorasse le vicende relative al capo della detta formazione politica, non sapesse precisare l’identità del suo compagno, che sarebbe misteriosamente scomparso, e che non fosse in grado di fornire ragguagli in ordine alle minacce asseritamente ricevute. Con riguardo alla protezione sussidiaria il giudice di prime cure ha negato, sulla base del report Amnesty International 2017-2018, l’evidenza di “specifici episodi di conflitto armato nella regione di provenienza del ricorrente”. In ordine alla protezione umanitaria il Tribunale ha attribuito rilievo al fatto che i timori di persecuzione politica personale erano meramente astratti e frutto di congetture, osservando, infine, che l’istante non manifestava patologie, nè aveva particolari legami familiari in Italia.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 14 e art. 27, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3,5,7,14, art. 16, comma 1, lett. b), e art. 19, e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio concernente la mancata valutazione della propria situazione personale e delle condizioni generali del Togo; oppone, altresì, mancanza totale di motivazione. Il motivo inerisce al denegato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. Investe, da diverse prospettive il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale e il mancato adempimento, da parte di questo, dei doveri di cooperazione istruttoria.

Il motivo è infondato.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; sui limiti del sindacato circa la credibilità del racconto del richiedente, cfr. pure Cass. 7 agosto 2019, n. 21142). La sentenza impugnata non presenta alcuna di tali gravi anomalie motivazionali, nè sarebbe corretto sostenere che il giudice abbia mancato di prendere in esame la vicenda personale del richiedente, come pure è lamentato in ricorso, dal momento che la narrazione reputata inattendibile aveva precisamente ad oggetto tale vicenda: ciò che è mancato, in ultima analisi, è – quindi – non già l’apprezzamento di tale vicenda, quanto il riscontro dell’insussistenza delle condizioni che consentissero di ritenere provati i fatti dedotti dal ricorrente. Come è ben noto, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782); nel caso in esame, come si è detto, il Tribunale ha escluso che la narrazione di T.S. fosse credibile: i fatti descritti, pertanto, non potevano essere posti a fondamento della decisione impugnata.

D’altro canto, il giudice del merito non aveva motivo di accertarsi di profili che interessano, in via generale, l’operato delle autorità pubbliche del paese di provenienza del richiedente se la vicenda, da questi narrata – rispetto alla quale assumerebbe importanza l’attività (o l’inerzia, giusta D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), di dette autorità sul piano della persecuzione o del rischio del grave danno che dà titolo alla protezione sussidiaria – non poteva reputarsi veritiera secondo i criteri di cui al D.Lgs. cit., art. 3, comma 5. Una tale indagine si manifestava in altri termini inutile proprio in quanto nell’indicata evenienza il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difettava di concretezza e non avrebbe potuto comunque presentare il richiesto grado di personalizzazione. Va ricordato, al riguardo, che lo status di rifugiato esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi; con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): individualizzazione che nella fattispecie, per le ragioni indicate, non ricorre.

Nè l’istante può dolersi della mancata indagine circa la situazione del proprio paese di origine. Il giudice di prime cure ha difatti verificato le condizioni generali del Togo per verificare se lo stesso fosse interessato alla situazione di violenza indiscriminata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): e in esito a tale scrutinio ha concluso nel senso della mancata evidenza di episodi di conflitto armato nella regione di provenienza del ricorrente.

2. – Il secondo mezzo lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Togo sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria”. La censura ha ad oggetto la decisione assunta dal giudice di prime cure in tema di protezione umanitaria: l’istante assume che tale forma di tutela gli competerebbe, avendo particolarmente riguardo alla situazione di insicurezza e instabilità del Togo, “tale da determinare la violazione dei diritti fondamentali della persona”.

Il motivo va disatteso.

La temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recentissima Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, in motivazione). Rettamente, pertanto, il Tribunale ha sottolineato che i timori espressi dal richiedente, in quanto privi di concretezza, non potevano fondare il riconoscimento della protezione umanitaria.

3. – Il terzo motivo prospetta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 comma 2, e art. 136, comma 2, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis, comma 2, lett. a). L’istante si duole della statuizione di revoca della propria ammissione al patrocinio a spese dello Stato, contestando, in modo articolato, che il proprio ricorso fosse manifestamente infondato, come invece ritenuto dal Tribunale.

La censura è inammissibile.

La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso decreto dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal D.P.R. cit., art. 113 (Cass. 11 dicembre 2018, n. 32028; Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29228).

4. – Il ricorso è respinto.

5. – Nulla deve statuirsi in punto di spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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