Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7235 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. III, 30/03/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 30/03/2011), n.7235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4179/2009 proposto da:

Z.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 62, presso lo studio dell’avvocato GRISANTI

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato TADDEI Marcello

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA NOMENTANA N. 257, presso lo studio dell’avvocato CIANNAVEI

Andrea, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2008 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

Sezione Prima Civile, emessa l’8/5/2008, depositata il 05/06/2008,

R.G.N. 3272/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/02/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato ANDREA CIANNAVEI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., Z.C. esponeva che:

a) aveva concesso in locazione a C.M. un’unità immobiliare per la stagione invernale 2004-2005;

b) la clausola n. 8 del relativo contratto prevedeva l’obbligo per il conduttore di far controllare e verificare il funzionamento dell’impianto di riscaldamento al fine di evitare il congelamento dell’acqua nelle tubature;

c) il 25.2.2006 il conduttore aveva riferito di aver constatato il parziale allagamento dell’immobile a causa del blocco della caldaia e del conseguente rottura dei radiatori per il congelamento dell’acqua nelle tubature;

d) aveva richiesto senza esito al conduttore, da ritenere responsabile del fatto, il risarcimento dei danni derivati all’appartamento.

C.M. contestava la sua responsabilità e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna del locatore a risarcirlo del mancato godimento dell’immobile per il tempo occorso per le riparazioni.

Il tribunale di Trento accoglieva la domanda principale, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava il conduttore a pagare la somma di Euro 3.585,50, ritenuto che non era stata superata la presunzione di colpa sancita dall’art. 1588 c.c., a carico del conduttore.

Sul gravame del soccombente decideva la Corte d’appello di Trento con la sentenza quivi denunciata, la quale considerava che:

1) la verifica settimanale della funzionalità dell’impianto avrebbe impedito il blocco della caldaia e consentito il ripristino della funzionalità dell’impianto medesimo, evitando, in tal modo, l’evento di danno;

2) il suddetto obbligo di controllo era stato posto convenzionalmente a carico del locatore, dato che il conduttore non avrebbe occupato continuativamente l’immobile;

3) il conduttore sì era attenuto alle prescrizioni previste a suo carico (quanto alla predisposizione del termostato al fine di mantenere nell’immobile una temperatura intorno ai 10 c^ quando esso rimaneva vuoto), per cui non poteva essere considerato in colpa.

La Corte, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda principale del locatore e, accolta la riconvenzionale del conduttore, condannava Z.C. a pagare a titolo di risarcimento dei danni al C. la somma di Euro 480,00.

Condannava, altresì, Z.C. alla restituzione al C. delle somme da questi corrisposte in esecuzione della sentenza appellata.

Per cassazione della sentenza Z.C. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi ed illustrato con memoria.

Ha resistito con controricorso C.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per ragioni di priorità logico giuridica deve essere esaminato il quarto motivo dell’impugnazione, con il quale – deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1588 c.c. – lamenta il ricorrente che sarebbe stato violato l’art. 1588 c.c., per avere il giudice del merito ritenuto che per l’evento dannoso per cui è causa, debba rispondere il locatore anzichè il conduttore, anche se, essendosi esso verificato nel corso della locazione, non era stata offerta dal conduttore la prova liberatoria prevista dal comma 1 della citata disposizione.

Il motivo è infondato.

La presunzione di colpa, sancita dalla suddetta norma a carico del conduttore in ordine alla perdita o al deterioramento della cosa locata, anche se derivati da incendio, può essere vinta soltanto mediante la dimostrazione che la causa dell’evento dannoso, identificata in modo positivo e concreto, non era a lui imputabile.

Nel caso di specie le parti avevano contrattualmente previsto che l’obbligo di controllo dell’impianto di riscaldamento era a carico del locatore e che nessun dovere di controllo aveva il conduttore, nel tempo in cui l’immobile non era nella sua materiale detenzione e restava affidato al locatore, dovendo esso conduttore predisporre soltanto il termostato affinchè la temperatura nell’ambiente non scendesse al di sotto dei dieci gradi centigradi. Il giudice del merito ha accertato anche che il congelamento del liquido nelle tubature e la conseguente rottura dei radiatori erano avvenute per un c.d. blocco della caldaia, nel periodo di assenza del conduttore dall’appartamento.

Ne consegue che, avendo il conduttore fornito la prova che l’evento di danno non era a lui attribuibile, avendo egli adempiuto esattamente a quanto previsto in contratto circa l’uso dell’impianto di riscaldamento, correttamente è stato ritenuto, in virtù dell’esatta esegesi dell’art. 1588 c.c., che il danno era da far risalire, in via esclusiva, alla condotta omissiva del locatore di un periodico controllo dell’impianto medesimo, in ciò dovendosi ravvisare la dimostrazione del suo esonero da ogni colpa.

Con il primo motivo del ricorso il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendo che avrebbe errato il giudice del merito nel ritenere che nessun addebito poteva essere mosso al conduttore circa l’esatto suo adempimento dell’obbligo predisporre l’impianto in modo da mantenere all’interno dell’appartamento una temperatura minima di 10 gradi centigradi.

Con il secondo motivo il ricorrente, ancora deducendo il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, contesta che il contratto prevedesse a carico del locatore l’obbligo di custodia dell’appartamento quanto alla verifica del corretto funzionamento dell’impianto di riscaldamento.

Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., ed assume che le clausole nn. 6 e 8 del contratto non avrebbero imposto al locatore un vero e proprio obbligo esclusivo di verifica nel senso ritenuto dal giudice del merito, ma avrebbero allo stesso riconosciuto una semplice facoltà, che non escludeva un concorrente obbligo di doveroso controllo da parte del conduttore. Nessuno dei tre motivi suddetti può essere accolto.

Non il primo, perchè esso, a fronte del sicuro accertamento in fatto che la causa dell’evento dannoso era da ravvisare in un “blocco” della caldaia in assenza del conduttore, propone in questa sede un inammissibile riesame delle fonti di prove a fronte della logica e convincente ricostruzione dei fatti operata dalla corte territoriale.

Non il secondo ed il terzo, perchè entrambi propongono una diversa interpretazione delle clausole contrattuali rispetto alla lettura datane dal giudice del merito, secondo cui locatore aveva riservato a sè o ai propri incaricati la verifica settimanale dell’impianto stesso (clausola 6) in caso di assenza del conduttore e costui, a sua volta, era tenuto solo a non impedire l’accesso all’immobile agli incaricati del locatore per la verifica dell’impianto di riscaldamento .

Costituisce principio assolutamente indiscusso nella giurisprudenza di legittimità che l’interpretazione del contratto, la quale consiste nell’accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche.

Pertanto non può trovare ingresso in cassazione la critica della ricostruzione della volontà negoziale, operata dal giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati.

Senza dire che nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice del merito, allorchè le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune loro volontà, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare applicazione degli ulteriori criteri ermeneutici sussidiari, il ricorso ai quali (fuori dell’ipotesi dell’ambiguità delle clausole) presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente l’intenzione dei contraenti.

Il ricorso pertanto è rigettato ed il ricorrente è condannato a pagare le spese del presente giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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