Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7232 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. III, 30/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 30/03/2011), n.7232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27108/2006 proposto da:

M.Q. (OMISSIS), elettivamente notizie

domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 396, presso lo studio

dell’avvocato GIUFFRIDA ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato

SCUDERI Andrea giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA VINCENZO BRUNACCI 57 SC. D, presso lo studio

dell’avvocato LIPARI PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato

MINGIARDI Giuseppe in 95128 CATANIA, VIA G. D’ANNUNZIO 39/A giusta,

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERA VITTORIO EMANUELE FERRAROTTO E SANTO BAMBINO;

– intimata –

sul ricorso 31250/2006 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA VITTORIO EMANUELE-FERRAROTTO-SANTO

BAMBINO in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA EZIO 12, presso lo studio dell’avvocato

D’AMICO LICIA, rappresentato e difeso dall’avvocato SCUDIERI VINCENZO

giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

REGIONE SICILIANA ASSESSESSORATO ALLA SANITA’ GESTIONE STRALCIO

LIQUIDATORIA, GESTIONE LIQUIDATORIA ASL/(OMISSIS) CATANIA,

AUSL/(OMISSIS)

CATANIA, USL/(OMISSIS) CATANIA, P.D.,

M.Q.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 717/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Sezione Prima Civile, emessa il 24/3/2005, depositata il 07/07/2005,

R.G.N. 994/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MINGIARDI;

udito l’Avvocato VINCENZO SCUDIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e la inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. M.Q. ha proposto ricorso per cassazione contro P.D. e l’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele, Ferrarotto e Santo Bambino avverso la sentenza del 7 luglio 2005 con cui la Corte d’Appello di Catania – per quanto si enuncia nella seconda metà della prima e nella prima metà della seconda pagina del ricorso – ha rigettato l’appello principale proposto da esso ricorrente contro il P. avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Catania, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale del P. contro esso ricorrente, l’Assessorato alla Sanità della Regione Siciliana e la Gestione Stralcio dell’ex USL (OMISSIS) di Catania, ha dichiarato inammissibili l’appello incidentale proposto da detto Assessorato e da detta Gestione contro il P..

p. 2. Al ricorso hanno resistito con controricorso entrambi gli intimati.

L’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele, Ferrarotto e Santo Bambino nel suo controricorso ha svolto ricorso incidentale.

3. Tutte le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello principale, in seno al quale l’incidentale è stato proposto.

p. 2. Con il primo motivo di ricorso principale si deduce “violazione e falsa applicazione, carenza e contraddittorietà di motivazione su punti decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, degli artt. 2043 e 2947 cod. civ., nonchè degli artt. 151 e 183 cod. pen.” e si lamenta che erroneamente la Corte territoriale avrebbe disatteso l’eccezione di prescrizione dell’azione risarcitoria.

Dopo avere rilevato che i fatti in relazione ai quali era stata avanzata la pretesa risarcitoria erano rappresentati da un diverbio risalente al dicembre del 1984 e da un ordine di servizio reputato illegittimo, emesso nel gennaio 1986 e che dal primo episodio era derivato un procedimento penale nel corso del quale il P. aveva avanzato le proprie pretese risarcitorie costituendosi parte civile, si sostiene che con D.P.R. del 16 dicembre 1986, n. 865 i reati per cui si procedeva erano stati amnistiati ed era stata, in conseguenza emessa sentenza di proscioglimento. Poichè il giudizio civile era stato introdotto “a distanza di quasi dieci anni”, cioè il 18 marzo 1995, il termine quinquennale di prescrizione era ampiamente decorso.

La Corte territoriale l’avrebbe erroneamente escluso sostenendo che, in ragione della verificazione dell’effetto sospensivo del corso della prescrizione per tutta la durata della costituzione di parte civile, il termine di prescrizione aveva ripreso a decorrere soltanto dalla data in cui la sentenza penale dichiarativa dell’estinzione del reato era divenuta irrevocabile.

Evocandosi l’art. 2947 c.c., comma 3, si sostiene che la prescrizione era decorsa dalla data dell’entrata in vigore del citato D.P.R., invocando il riferimento in quella norma alla circostanza che “se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile…”.

Si deduce che la prospettazione sarebbe avvalorata da Cass. n. 8399 del 2001 e n. 2679 del 1998. Della prima si riproduce il principio di diritto. Della seconda un passo della motivazione e se ne fa discendere che la prescrizione agli effetti civili decorrerebbe dalla data in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di applicazione dell’amnistia soltanto nel caso di applicazione di tale misura per derubricazione del reato, mentre, quando nessuna derubricazione vi sia il termine di riferimento sarebbe la pubblicazione del provvedimento di clemenza.

Viene riportato anche un preteso passo motivazione della sentenza di questa Corte n. 17195 del 2002, che, però, non trova effettivo riscontro nella sua motivazione.

p. 2.1. Il motivo è gradatamente inammissibile per difetto di autosufficienza e comunque palesemente infondato.

Il difetto di autosufficienza sussiste in quanto si fa riferimento ad atti, un procedimento penale non meglio identificato, la costituzione di parte civile in esso del P. e la decisione con cui il giudice penale (non meglio identificato) avrebbe fatto dell’amnistia senza riprodurre tali atti per quanto necessario a supportare le allegazioni illustrative del motivo e senza nemmeno indicare la sede del giudizio di merito in cui sarebbero stati prodotti e se e dove lo siano stati in questo giudizio di legittimità (si veda, al riguardo, Cass. n. 12239 del 1007).

Il motivo sarebbe, comunque, se ne fosse possibile lo scrutinio, palesemente infondato.

La giurisprudenza citata (a parte Cass. n. 17195 del 2002, che non contiene il passo motivazionale che è stato riportato e che alluderebbe ad una costituzione di parte civile nella vicenda da essa giudica, e che anzi ha fatto applicazione dei corretti principi di cui si dirà fra poco) non riguardano l’ipotesi in cui la vicenda nel contempo costituente illecito penale ed illecito civile sia stata dapprima oggetto di processo penale, nel quale il danneggiato abbia esercitato l’azione civile, costituendosi in esso come parte civile, e, poi, per essere intervenuta dichiarazione di estinzione per amnistia, abbia come nel caso di specie – esercitato l’azione civile in sede civile.

Il principio di diritto applicabile a questa ipotesi, conforme alla regola per cui l’esercizio dell’azione civile determina il ed.

effetto sospensivo della prescrizione (espressa nell’art. 2945 c.c., comma 2), è quello affermato (con riferimento ad un caso di illecito relativo a danni alla persona causati da incidente stradale, integrante nel contempo reato e illecito civile) da Cass. n. 9942 del 1998, secondo cui “la costituzione di parte civile nel processo penale ha un effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale (conformemente al principio per cui un tale effetto deriva dalla domanda giudiziale, qual è quella che la parte civile innesta mediante la sua costituzione nel processo penale), sicchè in caso di estinzione del reato per amnistia il termine di prescrizione ricomincia a decorrere dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza che dichiara l’estinzione del reato e non dalla data del decreto di amnistia”.

Principio poco prima affermato da Cass. n. 6049 del 1998, la quale formulò l’intero spettro delle ipotesi possibili, così esprimendosi: “Qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato e questo sia estinto per amnistia, il termine di prescrizione biennale di cui all’art. 2947, comma 3, decorre dalla data di entrata in vigore del decreto concessivo di amnistia e non dal provvedimento del giudice che la dichiara, ancorchè trattisi di amnistia rinunciabile. Infatti la decorrenza del termine prescrizionale dalla data della sentenza di proscioglimento per amnistia, anzichè da quella di entrata in vigore del decreti di clemenza si verifica solamente in due ipotesi: quando vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale, che ha effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale, ovvero nel caso in cui l’applicazione dell’amnistia non sia automatica ma risultato di un apprezzamento di merito effettuato dal giudice penale”. In senso conforme: Cass. n. 10026 del 2000.

In pratica, la decorrenza dal provvedimento di clemenza viene in rilievo se nel processo penale non vi sia stata costituzione di parte civile e se l’applicazione dell’amnistia non discenda da derubricazione del reato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, tanto che li cita, ancorchè non riproducendo le massime integrali di Cass. n. 609 e n. 9942 del 1998.

3. Con il secondo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione, carenza, contraddittorietà e difetto di motivazione su punti decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, degli artt. 2059 e 1226 cod. civ.” e si censura la sentenza impugnata quanto alla liquidazione del danno, sotto il profilo che vi sarebbero state duplicazioni.

3.1. – Il Collegio ritiene che non sia necessario riferire funditus il motivo, perchè esso si basa su riferimenti alla vicenda giudicata i quali, in ragione di una serie di carenze dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, appaiono del tutto generici e non ne consentono lo scrutinio.

La struttura di detto ricorso, infatti, nell’apposita parte dedicata al “fatto” si articola in questi termini:

a) riferisce che nel marzo 1995 il P., “sanitario operante presso l’USL (OMISSIS) di Catania” convenne in giudizio il M., Direttore della Clinica Ortopedica presso l’Unità Sanitaria Locale (OMISSIS), nonchè questa stessa U.S.L. “chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti tanto dalle lesioni fisiche dovute ad un diverbio col Professore M. avvenuto il (OMISSIS), quanto dall’ordine di servizio adottato dallo stesso Professore M. il 2 gennaio 1986, con cui si disponeva a seguito della consueta visita periodica, l’esonero dell’attore da ogni servizio ove fosse previsto l’uso di apparecchi radiogeni”;

b) quindi riporta fra virgolette le conclusioni prese dal P. nella citazione introduttiva del giudizio, sia nei confronti dell’una che dell’altra parte convenuta;

c) di seguito riferisce genericamente che il M. e l’USL si costituirono contestando la fondatezza delle pretese avversarie ed eccependo la prescrizione della pretesa risarcitoria;

d) riferisce, poi, che il Tribunale accolse “per quanto di ragione” le domande ed in conseguenza condannò il M. a pagare una certa somma e sia lui che l’USL a pagarne un’altra;

e) enuncia, riproducendole, le conclusioni prese dal M. con l’appello;

f) riferisce che il P. chiese il rigetto dell’appello e a sua volta formulò appello incidentale, del quale riproduce le conclusioni;

g) riproduce le conclusioni prese da “l’Assessorato appellato”;

li) enuncia testualmente che “Anche l’Azienda Ospedaliera Vitorio Emanuele – Ferrarotto – S. Bambino si costituiva chiedendo che la Corte dichiarasse “… l’infondatezza delle domande di merito e chiedendo l’adozione dei consequenziali provvedimenti, anche in ordine alle spese, competenze ed onorari di causa …”;

i) riferisce, in fine, che l’appello incidentale del P. “contro l’Amministrazione” è stato dichiarato inammissibile per tardività e quello contro il M. per violazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè del rigetto dell’appello del M. con conferma della sentenza di primo grado.

3.2. Ora, questa esposizione del fatto:

aa) omette di individuare in termini precisi i due fatti storici, i quali sono riferiti in modo assolutamente generico, ditalchè non è dato percepire di che cosa si sia trattato (ad esempio, quanto al primo, non si identificano nemmeno le lesioni e neppure i termini ed il contesto del diverbio);

bb) omette di individuare pur riassuntivamente i termini, cioè i fatti costitutivi della domanda basati sui detti non meglio precisati fatti storici;

cc) omette di riferire pur sommariamente delle motivazioni della sentenza di primo grado e dei termini degli appelli.

L’assoluta insufficienza dell’esposizione su questi punti, ad avviso del Collegio, non trova rimedio nella esposizione del secondo motivo, posto che in esso si fa riferimento ad una colluttazione a proposito del primo episodio, così aggravando l’incertezza sui termini del primo fatto storico.

In tal modo, nel censurare la sentenza d’appello là dove ha confermato sulle varie voci di danno la statuizione di primo grado, l’illustrazione del motivo pretende non solo di farlo senza riferire il tenore delle censure proposte con l’appello e, quindi, senza fornire alla Corte le necessarie indicazioni per comprendere se la critica in questa sede formulata rientrava nei limiti della devoluzione determinata dall’appello, ma, inoltre, e soprattutto, vorrebbe criticare le valutazioni formulate dalla sentenza impugnata in punto di liquidazione del danno (avvenuta con l’uso delle categorie del danno biologico e del danno morale all’epoca distinte sostanzialmente secondo la giurisprudenza di questa Corte anteriore a Cass. sez. un. n. 26972 del 2009), senza porre questa Corte nella condizione di percepire esattamente le note individuatrici dei due fatti storici determinativi del danno e particolarmente quelle del primo. Per cui si pretenderebbe che questa Corte procedesse all’apprezzamento della correttezza dell’operare del giudice di merito, anche alla luce delle messe a punto sulle due cennate “categorie” di danno enunciate in funzione di reductio ad unum da Cass. sez. un. n. 26972 del 2008, senza poter percepire l’esatta dimensione degli episodi determinativi del danno e, quindi, senza che si possa effettivamente apprezzare la pretesa abnorme distanza fra l’entità di quanto liquidato a titolo di danno biologico e quanto liquidato a titolo di danno morale, al fine di valutare se l’uno e l’altro, pur ormai ridotti ad un’unica categoria dal citato arresto delle Sezioni Unite siano stati liquidati correttamente.

Il motivo appare allora nella sua prospettazione del tutto generico e per tale ragione il Collegio ritiene sia inammissibile (si veda Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi, secondo la quale: “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 cod. proc. civ., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”.

3.3. Il secondo motivo del ricorso principale è dichiarato, conclusivamente, inammissibile.

Il ricorso principale è, pertanto, rigettato.

4. Il ricorso incidentale (peraltro avente natura di ricorso incidentale tardivo) è inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, cioè per l’assoluta insufficienza dell’esposizione del fatto, atteso che non fornisce indicazioni sul fatto sostanziale e processuale, limitandosi ad enunciare genericamente che la sentenza impugnata rigettò l’appello del M. confermando la sentenza del Tribunale di Catania con cui il medesimo e l’Azienda USL n. (OMISSIS) di Catania erano stati condannati in solido e che il M. con l’impugnazione davanti alla Corte d’Appello aveva notificato anche ad altri soggetti, fra cui la ricorrente incidentale, senza nulla argomentare, nonchè di essersi costituita eccependo il difetto di legittimazione all’appello. Dopo di che si riferisce che la sentenza impugnata non avrebbe motivato su tale eccezione.

4.1. Ora, riguardo al requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, che è applicabile anche al controricorso contenente ricorso incidentale (Cass. n. 76 del 2010, da ultimo), la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei tatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006).

Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto, precisato che “il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata”. E, in applicazione di tale principio si è dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello) (Cass. n. 4403 del 2006).

Secondo le Sezioni Unite ed in termini non dissimili, “Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata” (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).

Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004, secondo cui “Per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di ricorso, nè occorre una narrativa analitica o particolareggiata, ma è sufficiente ed, insieme, indispensabile che dal contesto del ricorso (ossia, solo dalla lettura di tale atto ed escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata) sia possibile desumere una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo, non potendosi distinguere, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente)”.

Il ricorso incidentale, per quanto sopra osservato, non rispetta tale giurisprudenza e, pertanto, dev’esse dichiarato inammissibile.

p. 4.2. Va aggiunto che il motivo che il ricorso propone è dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anzichè denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia sulla dedotta eccezione di difetto di legittimazione passiva all’appello. Inoltre, difetta anche di autosufficienza (applicabile anche al vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4: Cass. n. 12239 del 2007, seguita da numerose conformi), perchè non individua la parte della comparsa di costituzione d’appello in cui l’eccezione era stata formulata (Cass. sez. un. n. 15781 del 2005). Onde si tratterebbe di motivo doppiamente inammissibile.

p. 4.3. L’inammissibilità del ricorso incidentale rende inutile farsi carico della questione sollevata dalla ricorrente incidentale con riferimento al mancato perfezionamento della notificazione del controricorso e ricorso incidentale nei riguardi del M. e della conseguente istanza di rinotificazione nei suoi riguardi. Non senza che debba, comunque, osservarsi che nella sua memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il M. non si è doluto in proposito, onde parrebbe avere rinunciato alla relativa eccezione ed avere accettato di contraddire.

5. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza nei rapporti fra il ricorrente principale ed il resistente P., mentre si compensano quanto al rapporto fra il ricorrente ed il ricorrente incidentale. La ragione di compensazione si rinviene nella dichiarata inammissibilità del ricorso incidentale e, quindi, nella soccombenza anche della ricorrente incidentale. Le spese a favore del resistente P. si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Condanna il ricorrente alla rifusione al resistente P. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro novemiladuecento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Compensa le spese del giudizio di cassazione nei rapporti fra ricorrente principale e ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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