Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7229 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 27/01/2017, dep.22/03/2017),  n. 7229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13170/2016 proposto da:

S.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARTIN PLIEGER;

– ricorrente –

contro

S.G. DI P.S.G. & C. SAS, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA MARINA 1, presso lo studio

dell’avvocato GIAMPIERO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BRUNO GIUDICEANDREA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 565/2016 del TRIBUNALE di BOLZANO, depositata

il 21/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da S.C. sas di P.S.G. & C nei confronti di S.G.A. il Tribunale di Bolzano, con sentenza 21.4.2016 pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., ha dichiarato la propria incompetenza ritenendo la controversia devoluta alla competenza del collegio arbitrale previsto dalla clausola contenuta nell’art. 14 dello statuto della S.C. sas, di cui è socio il creditore opposto S.G.A.;

che quest’ultimo ha proposto ricorso per regolamento di competenza sulla base di due motivi;

che la società resiste con memoria difensiva, mentre il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo anch’egli il rigetto dell’istanza;

rilevato che le parti hanno depositato memorie;

rilevato che con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 308 c.p.c., nonchè degli artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento all’interpretazione della clausola arbitrale, a suo dire non riferibile alle liti nascenti da un contratto estraneo al rapporto sociale, ma solo le controversie inerenti al rapporto societario; e ancora, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, per avere il giudice confuso i concetti giuridici di fornitura di prodotti agricoli di cui alla citata norma (vera e propria compravendita, come nel caso di specie) con il conferimento societario di cui all’art. 2253 c.c.;

che con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 14 dello statuto societario della S.C. sas: a suo dire, qualora l’oggetto della lite volesse identificarsi col conferimento del socio, in tal caso si sarebbe in presenza di una controversia tra socio e società non prevista nella clausola arbitrale;

ritenuto che l’istanza è infondata;

considerato infatti che, come costantemente affermato da questa Corte, in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (v. tra le varie, Sez. 6-1, Ordinanza n. 4919 del 27/03/2012 Rv. 621790-01; Sez. 1, Sentenza n. 5549 del 19/03/2004 Rv. 571322-01);

considerato inoltre che, sempre per costante giurisprudenza di legittimità, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010 Rv. 613151 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 17717 del 29/08/2011 non massimata; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012 Rv. 624346 01);

considerato che nel caso di specie certamente si è al di fuori di tali ipotesi estreme, sia perchè non sono denunziati vizi di motivazione (peraltro oggi neppure proponibili stante la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) sia perchè il ricorso, lungi dall’evidenziare specifici errori nell’applicazione dei principi ermeneutici, si risolve unicamente in una alternativa interpretazione del rapporto intercorso tra le parti e della clausola compromissoria contenuta nell’art. 14 dello Statuto sociale, clausola che invece il Tribunale altoatesino ha adeguatamente e condivisibilmente interpretato secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., evidenziando, anche sulla scorta di una analisi del regime speciale per i produttori agricoli in materia di IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 7), che la devoluzione agli arbitri di ogni controversia tra i soci, prevista nella citata clausola, comprendeva anche le liti tra i soci e la società, come quella in esame, sorta per il pagamento del prezzo del conferimento di mele alla società da parte del socio S.G.A.;

ritenuto pertanto che l’istanza va respinta e il ricorrente, per il principio della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese del procedimento;

considerato, infine, che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, per cui ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza arbitrale; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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