Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7228 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2022, (ud. 03/12/2021, dep. 04/03/2022), n.7228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11807-2021 proposto da:

P.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MARZIALE 36, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GIUSEPPE DE

PAOLIS, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARLO PACELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2021 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata l’08/01/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

considerato che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:

“ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– P.G. agì in giudizio nei confronti della moglie, R. chiedendo che fosse dichiarato di sua esclusiva proprietà un immobile, acquistato dopo il matrimonio, non caduto in regime di comunione legale, essendo intervenuta nell’atto di compravendita, agli effetti di cui all’art. 179 c.c., u. c., e condannarsi la convenuta la rilascio del bene;

– il Tribunale prima e la Corte d’appello poi disattesero la pretesa del P.;

– la Cassazione, con l’ordinanza n. 24719/2017, accolse il ricorso del P., esponendo “che con i due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, il ricorrente sostanzialmente censura la sentenza gravata per non aver effettuato alcuna verifica in ordine alla provenienza della provvista con cui era stato pagato il prezzo dell’immobile per cui è causa, in tal modo violando la previsione dell’art. 179 c.p.c., che esclude dalla comunione gli immobili acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali, quando l’esclusione risulti dall’atto di acquisto cui abbia partecipato il coniuge; che la doglianza va accolta, in quanto la corte territoriale ha omesso di compiere qualsivoglia accertamento sull’allegazione del P. secondo cui l’immobile de quo era stato pagato con denaro proveniente dalla vendita di un bene in proprietà sua personale e dei suoi genitori, laddove – a fronte della dichiarazione rilasciata dalla signora A. nell’atto di acquisto di tale immobile sulla natura personale del medesimo tale accertamento sarebbe stato necessario, alla luce del principio, reiteratamente affermato da questa Corte (sent. 22733 del 2009, sent. 19313 del 2012, sent. 23363 del 2016) che, in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi in regime di comunione legale, la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente in ordine alla natura personale di un immobile acquistato non ha portata dispositiva, ma può rilevare come prova dell’esistenza dei presupposti di fatto a cui la legge collega l’esclusione dalla comunione; che quindi in definitiva il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata con rinvio alla corte di merito, che procederà all’accertamento dei presupposti di fatto di cui all’art. 179 c.c., comma 1, lett. f)”;

– la Corte d’appello di Perugia in sede di rinvio rigettò nuovamente l’appello del Paolucci;

– questi i passaggi salienti e di rilievo della decisione: a) in primo grado l’attore, pur rivendicata la proprietà esclusiva del bene, non aveva allegato la specifica ragione per la quale, sulla base dell’elenco di cui all’art. 179 c.c., l’immobile appartenesse solo a lui e, in particolare, che fosse stato acquistato con il ricavato della vendita di beni personali; b) solo in sede di ricorso per cassazione e in sede di rinvio l’appellante aveva specificato che l’immobile era stato acquistato con denaro proveniente dalla vendita di beni personali, dei quali era comproprietario con i genitori, essendosi limitato con l’atto d’appello a depositare, senza alcun richiamo e specifico collegamento nell’atto d’impugnazione, l’atto di vendita d’un immobile sito a Chivasso; c) di tale documento era stata eccepita la tardività dalla controparte, in quanto prodotto per la prima volta in appello, senza che l’appellante avesse sfegato la causa della ritardata produzione; di esso non era stata dichiarata la indispensabilità da parte del Giudice d’appello; d) per il Giudice del rinvio quei documenti non erano da reputarsi decisivi, poiché la vendita allegata, in assenza della dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., lett f, non provava il reimpiego del denaro; e) in ogni caso l’esame dei predetti atti non sosteneva l’assunto (il prezzo di Lire 17.500.000 era inferiore a quello dell’acquisto dell’immobile del quale l’appellante rivendicava la proprietà esclusiva -L. Lire 26.000.000) e dell’importo incassato dall’immobile di fa miglia avrebbe avuto diritto, secondo la propria quota di comproprietà, alla somma di Lire 2.875.000; f) solo con la citazione in riassunzione il P. per la prima volta aveva allegato che all’epoca dell’acquisto non di3poneva di altri redditi, producendo, ben tardivamente, le dichiarazioni dei redditi; g) mancando, nell’atto d’acquisto, la dichiarazione del P. che l’acquisto avveniva con il ricavato della vendita di beni personali, la generica dichiarazione della moglie, non sorgendo dubbi sulla natura non personale del bene, non era bastevole a fondare la pretesa attorea; la Corte di Cassazione, invero, aveva avuto modo di precisare che la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto, pur costituendo condizione necessaria, da sola non era sufficiente a riconoscere l’acquisto in favore dell’altro coniuge, in assenza di una delle cause d’esclusione della comunione;

– l’insoddisfatto appellante ricorre sulla base di unitaria censura e l’intimata resiste con controricorso (ulteriormente illustrato da memoria);

osserva:

1. Il ricorrente denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, assumendo, in sintesi, che:

– il testo dell’art. 345 c.p.c., “ratione temporis” vigente, escludeva la preclusione per la produzione tardiva ove la stessa fosse indispensabile e una tale indispensabilità era dato ricavare dal fatto che “la produzione assolve l’onere sul rinvio della Corte di Cassazione”;

– alla Corte di cassazione, quale giudice del fatto processuale, era demandata la verifica della indispensabilità in parola.

1.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità per il concorrere di più ragioni.

In primo luogo deve ricordarsi che il giudizio di rinvio a seguito di tassazione è a perimetro chiuso, venendo demandato al giudice di esso la definizione della causa attenendosi al principio di diritto enunciato, esplicitamente o implicitamente, dalla Corte di legittimità, restando, inoltre, definitivamente non più censurabili gli ambiti decisori che trovino soluzione (assorbimento improprio) nella pronuncia di cassazione; conseguendo da ciò che i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità (Se: 2, n. 27343, 29 /10/ 2018, Rv. 651022; coni: Cass. n. 8225 del 2013).

La pretesa, quindi, di rifare il processo, travolgendo ogni preclusione maturata, si pone palesemente in contrasto con la legge. La decisione di questa Corte, invero, non dà vita a un nuovo processo, nel quale è consentito alle parti l’utilizzo di prove non ritualmente prodotte in precedenza, che si assumano indispensabili al fine, né, tantomeno, di modificare domande, eccezioni, o prospettazioni, ma, ben diversamente, investe il giudice del rinvio di un nuovo vaglio del materiale istruttorio ritualmente acquisito, e non più modificabile e in relazione a quanto dedotto ed eccepito ritualmente, alla luce del principio di diritto enunciato nella decisione di annullamento con rinvio. Ovviamente, sulla base di quanto esposto, è evidente che l’evocato d’indispensabilità per la produzione nuova non può essere riferito al giudizio di rinvio, che non tollera novità.

Nel caso al vaglio il Giudice del rinvio era, quindi, chiamato, fermo quanto sopra, a verificare l’allegazione del P. “secondo cui l’immobile de quo era stato pagato con denaro proveniente dalla vendita di un bene in proprietà sua personale e dei suoi genitori”. Un tale accertamento risulta essere stato effettuato, con giudizio di merito in questa sede non sindacabile, con esito sfavorevole al ricorrente.

Accertamento che, peraltro, a tutto concedere, ha tenuto conto della tardiva produzione dei documenti attestanti la vendita del bene di famiglia, il cui prezzo, secondo la prospettazione, avrebbe costituito la provvista per l’acquisto dell’immobile del quale il ricorrente rivendica in questa sede la proprietà esclusiva.

2. Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, sent. n. 2113 del 2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai lini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.”

Il soccombente ricorrente va condannato a rimborsare le spese in favore della controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

 

 

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