Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7225 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2022, (ud. 03/12/2021, dep. 04/03/2022), n.7225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11385-2021 proposto da:

B.G., C.R., F.D., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO IMBARDELLI, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI;

– ricorrenti –

contro

B.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 21/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/01/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

considerato che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:

“ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– il Tribunale, accogliendo la domanda proposta da B.D., condannò C.R., B.G. e F.D. al pagamento della somma di Euro 13.000,00 a titolo di riduzione del prezzo e a quella di Euro 7.959,10 a titolo di risarcimento del danno, per avere quest’ultimi venduto all’attore un complesso immobiliare corredato da un permesso di costruire già approvato, del quale non erano proprietari limitatamente a un locale a piano terra di 18 mq, e la Corte d’appello, disattesa l’impugnazione dei convenuti, confermò la statuizione di primo grado;

– gli insoddisfatti appellanti ricorrono avverso la sentenza d’appello sulla base di due doglianze l’ulteriormente illustrate da memoria), la controparte è rimasta intimata;

osserva:

1. E’ utile premettere che la questione, che qui rileva, è limitata alla verifica della correttezza della statuizione d’appello in ordine alla ritenuta modifica della domanda attorea. Costituitisi in giudizio in primo grado, i convenuti, avevano, fra l’altro, eccepito l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, proponibile in via autonoma ai sensi dell’art. 1480 c.c.. Alla prima udienza di comparizione gli attori avevano chiesto la riduzione del prezzo pattuito a motivo della “parziale evizione”, oltre al risarcimento del danno. La Corte di merito, rispondendo a specifico motivo d’appello, ritenne ammissibile la modifica, qualificandola mera “emendati libelli”.

1.1. I ricorrenti, con i due correlati motivi denunciano violazione dell’art. 185 c.p.c., comma 5, avuto riguardo al ritenuto rapporto di consequenzialità tra le difese di parte convenuta e le domande nuove dell’attore; nonché, più in generale, al regime di proponibilità delle domande nuove.

In relazione al primo profilo i ricorrenti evidenziano che andava escluso sussistere, a dispetto di quel che aveva reputato il Giudice d’appello, la correlazione posta dalla norma fra eccezioni del convenuto e modifiche della domanda, stante che gli esponenti non avevano proposto eccezione in senso stretto, essendosi limitati a controdedurre.

In relazione al secondo profilo, assumono che si era in presenza di una vera e proprio “mutatio”, piuttosto che di una “emendatio libelli”. In particolare i ricorrenti evidenziano che l’attore non aveva chiesto con l’atto di citazione la riduzione del prezzo, a cagione della parziale altruità della cosa alienata, che, inoltre, avrebbe reso più onerosa la realizzazione della nuova costruzione autorizzata dalla p.a. e il danno, pertanto, non era limitato al solo minor valore del bene, essendo lo stesso implementato dalla richiesta attorea di risarcimento della minore area da adibire a parcheggio, a causa della presenza della porzione di edificio appartenentesi a terzi; trattavasi, in definitiva, per i ricorrenti due distinte entità, dell'”an” e del “guantum”.

1.2. Il complesso censuratorio è infondato.

Questa Corte, anche di recente, riprendendo orientamento consolidato (Cass. n. 3409 del 1978), ha statuito che esorbita dai limiti di una consentita “emendatio libelli” il mutamento della “causa petendi” che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (Sei 2, n. 32146, 12/12/2018, Rv. 651641). Correttamente la Corte di merito ha evocato il predetto principio per disattendere la censura degli appellanti, specificando che “il titolo sul quale si basa la predetta domanda è pur sempre costituito dal non esatto adempimento del venditore, comune alla domanda risarcitoria, con la conseguenza che non è possibile ravvisare alcuna illegittima variazione della causa petendi”. Invero, non par dubbio che il fatto costitutivo del dedotto diritto non ha patito mutamenti, essendosi l’attore limitato a meglio “mettere a fuoco” la domanda in relazione all’art. 1480 c.c., fermo restando la sola richiesta risarcitoria, alla quale non è stata affiancata domanda di risoluzione; solo in un tal caso, non verificatosi, si sarebbe potuto discorrere di un mutamento della domanda. Che trattasi di emenda consentita si trae dalla sostanza della pretesa, dalla quale i convenuti erano chiamati a difendersi (vendita d’un immobile in parte di terzi, dal quale era derivato danno per il minor acquisto e per il maggior costo da affrontarsi per la nuova edificazione), rimasta immutata.

Il primo profilo resta assorbito dalla circostanza che, come si è visto, si è in presenza di modifica consentita dalla legge (art. 183 c.p.c., comma 5, u. p.).”

Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”

Non occorre statuire sul regolamento delle spese essendo rimasta la controparte intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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