Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7223 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2022, (ud. 03/12/2021, dep. 04/03/2022), n.7223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8429-2021 proposto da:

M.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASTIGLIONE DEL LAGO 3, presso lo studio dell’avvocato DECIO NICOLA

MATTEI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI DI

GIANDOMENICO, NICOLA LUCARELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLE

INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, AGENZIA DEL DEMANIO, in persona dei

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2287/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

CONSIDERATO

che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:

“ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– M.M.T. citò in giudizio il Ministero della Marina Mercantile Ufficio del Demanio Marittimo, chiedendo che fosse dichiarata di sua proprietà un’area posta a strapiombo sulla scogliera in (OMISSIS) e, invia subordinata, che fosse accertata la sdemanializzazione della stessa, stante il possesso “ab immemore” esercitato dall’attrice;

– instaurato il contraddittorio con i legittimati Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Agenzia del Demanio, nonché del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i quali attraverso la difesa erariale, oltre al rigetto della domanda, chiesero, in via riconvenzionale, dichiararsi la demanialità dell’area e che l’attrice fosse condannata al rilascio e al risarcimento dei danni, il Tribunale rigettò entrambe le domande;

– la Corte d’appello di Bari, con la sentenza di cui in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado, quanto al rigetto della domanda dell’appellante principale M. e, in riforma della predetta statuizione, accolta l’impugnazione incidentale, condannò la M. al rilascio della particella, “nonché all’eliminazione delle opere ivi realizzate, ed in particolare del trabucco e del piazzale e del vano d’ingresso alla grotta sottostante”;

– M.M.T. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi (, ulteriormente illustrati da memoria,) e i Ministeri dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché l’Agenzia del Demanio, resistono con controricorso.

Diritto

OSSERVA

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 822 c.c., e dell’art. 28 c.n..

La M. assume che la sentenza impugnata aveva assegnato la qualità di demanialità marittima alla particella per cui è causa, nonostante che l’area non presentasse le caratteristiche naturali necessarie per una tale qualificazione. Difatti, l’area in parola non insisteva sul lido del mare, né sulla spiaggia, né sull’arenile, essendo essa caratterizzata “geomorfologicamente per essere un terreno di natura boschiva in forte declivio e, nella parte a confine con il mare Adriatico, è post(a) al di sopra di una scogliera alta e frastagliata che, nella sua parte più bassa, raggiunge un’altezza di ben 15 metri dal livello del mare”;

1.1. La doglianza non è fondata.

In punto di fatto risulta dalla sentenza e dallo stesso ricorso che l’area in questione si trova collocata a strapiombo sulla sottostante scogliera, a esatto confine col mare, avendo, anzi, la ricorrente messo in opera un ampio sporto aggettante sul vuoto sottostante (il trabucco), oltre al piazzale e al vano d’ingresso a una sottostante grotta.

Qui non è in discussione il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale per stabilire se un’area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, indifferente la natura geografica del terreno, risultano decisive le seguenti circostanze: 1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale (da ultimo, Sez. 2, n. 18511, 12/07/2018, Rv. 649592; c.f.r., ex multis, Cass. nn. 2417/1981, 10304/2004).

Non può dubitarsi che la scogliera lungo la quale si frange il mare appartenga al demanio marittimo, proprio tenendo conto dell’orientamento sopra ripreso perché diuturnamente assoggettata alle onde del mare e alle maree. Ne’ rileva, come sopra si è riportato, disquisire sulla natura del terreno: che si tratti di spiaggia con o senza arenile o di scogliera non muta la qualità del bene; quel che rileva è che trattasi della striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree.

Proprio per ciò questa Corte ha avuto già modo di rilevare che la scogliera che insiste in uno specchio d’acqua antistante l’edificio, essendo equiparata ai beni del demanio marittimo, ancorché destinata al servizio e alla protezione dell’edificio, non può formare oggetto di proprietà comune, di altro diritto reale o costituire il termine di un rapporto pertinenziale. Consegue che non può considerarsi cosa comune e ritenersi soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 1117 e 1118 c.c. (Sez. 2, n. 7227, 06/08/1997, Rv. 506454).

Se questa premessa è corretta da essa deriva che l’area soprastante la scogliera non può che essere demaniale per effetto dell’art. 840 c.c.. A fortiori ciò deve dirsi per la struttura aggettante collocata sulla colonna d’aria della sottostante scogliera. In definitiva, il motivo deve essere disatteso sulla base del seguente principio di diritto. “la scogliera, lungo cui si frange il mare, che appunto perciò costituisce la striscia di terreno immediatamente a contatto con esso, appartiene al demanio marittimo; di conseguenza, l’area soprastante appartiene anch’essa, ai sensi dell’art. 840 c.c., al medesimo demanio”.

2. Con il secondo motivo la M. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 c.n., dell’art. 58 disp. att. c.n., dell’art. 822 c.c., dell’art. 28 c.n., per avere l’Amministrazione proceduto all’aggiornamento catastale, che aveva portato alla creazione di una nuova particella, attribuita al demanio e oggetto della presente controversia, senza dar luogo al procedimento in contraddittorio regolato dall’art. 32 c.n., e dalle delle sue norme d’attuazione, art. 58.

2.1. La censura non coglie nel segno.

La demanialità marittima ha natura originaria, avuto riguardo alle caratteristiche naturali dei luoghi, di talché risulta ininfluente il procedimento di aggiornamento cartografico-catastale operato dall’Agenzia del Demanio, che ha solo attitudine ricognitiva.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 61,62,132,191,195 c.p.c., dell’art. 118disp. att. c.p.c., dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La ricorrente addebita alla sentenza impugnata di esser venuta meno al dovere di rendere effettiva motivazione, per avere afte’ mato di pienamente condividere le risultanze della ctu, la quale avendo evidenziato che trattavasi di “area boschiva impervia (…) macchia mediterranea, in una zona antistante la costiera del mare”, su un promontorio, escluso l’accesso dal lato del mare, “perché l’area si localizza su una scogliera sopraelevata”, si poneva in contrasto con la decisione.

3.1. La doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento.

Anche a volere seguire, per ragioni di più agevole liquidazione della critica, la prospettazione della ricorrente (e, cioè, che ci fosse dissonanza tra l’accertamento peritale e la sentenza), il motivo non è concludente. Il ctu era chiamato a descrivere i luoghi e a identificarli anche catastalmente e un tale compito ha assolto, a dire dei Giudici di merito, puntualmente. Le ricadute giuridiche dell’accertamento ovviamente sono di esclusiva competenza del giudice; di conseguenza, pur ove il consulente del giudice si fosse avventurato (ma ciò qui non consta da quel che riferisce la stessa ricorrente) in valutazioni giuridiche, esse risulterebbero “tamquam non essent”, senza che con ciò resti, tuttavia, inficiata l’opera di specifica competenza di esso consulente, apprezzata come tale dal giudice.”

Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (cent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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