Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7220 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. un., 13/03/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7991-2019 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO GULLI

11, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DIOTALLEVI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO SANDULLI;

– ricorrente –

contro

CAMERA DEI DEPUTATI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

890/2018 del TRIBUNALE di UDINE.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere ADRIANA DORONZO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale

STEFANO VISONA’, che ha concluso per il difetto assoluto di

giurisdizione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- B.D. è titolare di un assegno vitalizio maturato nel periodo antecedente il 1 gennaio 2012, in quanto è stato membro della Camera dei deputati nella X e nella XI legislatura.

1.1.- Con ricorso al Tribunale del lavoro di Udine ha impugnato la Delib. 12 luglio 2018, n. 14 dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati, con cui si è proceduto ad “una rideterminazione, secondo il metodo di calcolo contributivo, della misura degli assegni vitalizi, delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata e dei trattamenti di reversibilità maturati sulla base della normativa vigente alla data del 31 dicembre 2011”; per effetto di tale Delib., egli aveva subito una decurtazione dell’assegno vitalizio in godimento, con evidente grave pregiudizio patrimoniale. Ha chiesto pertanto la disapplicazione del regolamento impugnato e l’applicazione della previgente disciplina.

1.2.- Nel costituirsi in giudizio, la Camera dei Deputati ha eccepito il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario, sul presupposto che la controversia rientri nella giurisdizione domestica della Camera, come peraltro indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2017.

2.- Con ricorso notificato alla Camera dei deputati in data 6/3/2019 il B. ha proposto ricorso preventivo per regolamento di giurisdizione, riproponendo quanto già esposto nel ricorso introduttivo del giudizio: in particolare, ha sottolineato che il rapporto che lega il parlamentare o l’ex parlamentare con la Camera di appartenenza non può essere assimilato ad un rapporto di lavoro; che i provvedimenti a contenuto normativo resi dalla Camera, – tale dovendo essere qualificata la Delib. in esame -, in quanto emanati nell’esercizio discrezionale della sua competenza normativa non possono essere sindacati dinanzi agli organi della giurisdizione domestica; che la funzione di guarentigia svolta dai vitalizi, analoga a quella della indennità parlamentare, non può che richiedere una loro disciplina da parte del legislatore con le conseguenti possibilità di tutela dinanzi al giudice ordinario e alla Corte costituzionale, il tutto anche a tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza sociale; che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 262 del 2017, aveva escluso che l’autonomia normativa delle camere potesse spingersi a disciplinare i rapporti giuridici con i soggetti terzi o risolvere le eventuali controversie con persone non legate da un rapporto di lavoro, con la conseguenza che nulla poteva disporre nei confronti degli ex parlamentari o dei loro familiari.

2.1.- Ha pertanto chiesto che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. In via subordinata ha chiesto che sia sollevato conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, come peraltro delineato nell’ordinanza resa da questa Corte in data 16/7/2015, sotto il profilo del diritto di accesso alla giustizia e del rispetto dei diritti fondamentali, reputando che l’uso di un regolamento dell’Ufficio di Presidenza della Camera in luogo della legge costituirebbe una violazione delle regole di competenza e un’alterazione dell’equilibrio dei poteri dello Stato operato su una materia che incide su diritti soggettivi.

2.2.- La Camera dei deputati ha resistito al regolamento con controricorso, rimarcando che, a partire quantomeno dal 2009 (sentenza della Sezione Giurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza-SGUP n. 1 del 2009), tutti gli atti di natura normativa dell’Ufficio di presidenza sono sindacabili dagli organi di autodichia della Camera; che tale principio era stato ribadito in numerose decisioni del Collegio d’appello (che ha sostituito la Sezione giurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza) ed era stato poi consacrato nella modifica regolamentare della Camera (in coerenza con la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo n. 14 del 28/4/2009, caso Savino), che ha separato le sorti dell’organo giurisdizionale d’appello da quelle dell’organo di autogoverno della camera, per incompatibilità tra i loro membri; che non poteva escludersi il sindacato della Corte costituzionale sugli eventuali sconfinamenti del potere regolamentare delle camere rispetto alle prerogative costituzionali riconosciute al potere giudiziario nell’ambito del giudizio per conflitto di attribuzioni regolato dall’art. 134 Cost.; che, inoltre, il vitalizio era da sempre stato previsto e disciplinato dalla sola fonte regolamentare ed esso, pertanto, rientrava nello “statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari” (Corte Cost. n. 379/1996, richiamata nella sentenza n. 120 del 2014), che come tale richiede la speciale protezione dell’insindacabilità da parte di poteri esterni; che, infine, non poteva sostenersi che la materia dei vitalizi fosse coperta dalla riserva di legge prevista dall’art. 69 Cost., il quale invece, si riferisce esclusivamente all’indennità parlamentare.

Per le stesse ragioni ha concluso per l’inammissibilità della domanda volta a sollevare il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

2.3.- Il regolamento di giurisdizione è stato avviato alla trattazione camerale sulla base delle conclusioni scritte del Pubblico ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., con cui si chiede dichiararsi il difetto assoluto di giurisdizione.

In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 ter c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Conformemente alle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte, deve essere dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione.

La questione è stata già esaminata da queste Sezioni Unite, le quali, nelle ordinanze del 8/7/2019, n. 18265 e 18266 e, da ultimo, del 21/1/2020, n. 1720, – alle cui motivazioni si rinvia in quanto integralmente condivise, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. -, hanno espresso il seguente principio di diritto: “Le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari – istituto riconducibile alla normativa di “diritto singolare” che si riferisce al Parlamento e ai suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dall’art. 64 Cost., comma 1, artt. 66 e 68 Cost. – spettano alla cognizione degli organi di autodichia, i quali, pur essendo “interni” all’organo costituzionale di appartenenza ed estranei all’organizzazione della giurisdizione (sicchè non rientrano nel novero dei giudici speciali di cui all’art. 102 Cost. e i loro provvedimenti non sono soggetti al sindacato di legittimità previsto dall’art. 111 Cost., comma 7), tuttavia svolgono un’attività obiettivamente giurisdizionale, che (…) li legittima a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio”.

2.- Al principio di diritto su enunciato questa Corte è pervenuta prendendo le mosse dalle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, più volte richiamate dalle parti.

2.1- In particolare, nella sentenza n. 262 del 2017, il Giudice delle leggi ha delineato il concetto di autodichia, quale manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, e ne ha tracciato gli elementi caratterizzanti.

2.2.- Ha così precisato che: a) i collegi dell’autodichia, benchè siano “interni” all’organo costituzionale di appartenenza e quindi estranei all’organizzazione della giurisdizione, sono tuttavia tenuti al rispetto della “grande regola” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei diritti, essendo questa una scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, che non può conoscere eccezioni (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014); b) i suddetti collegi, in seguito alle ultime modifiche, sono costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza e imparzialità e sono quindi chiamati a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie loro attribuite come impongono, in relazione alla funzione del giudicare, i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3,24,101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia; c) presso la Camera dei Deputati e presso il Senato della Repubblica le controversie in argomento si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio; d) è da escludere, quindi, che tali collegi siano stati configurati quali giudici speciali ex art. 102 Cost., sicchè avverso le loro decisioni non è neppure ipotizzabile il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, essendo la sottrazione delle decisioni stesse al controllo della giurisdizione comune, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli organi costituzionali in cui sono inseriti; e) il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971) (così, per tutte: Cass. Sez. Un., 4/5/2018, n. 10775).

2.3.- In questa prospettiva, l’attribuzione della decisione sulla presente controversia agli organi di autodichia del Parlamento deve considerarsi pacifica (Corte Cost. n. 262/2017 cit.).

3.- Al riguardo, occorre precisare che gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all’indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico (v. pure parere del Consiglio di Stato del 3/8/2018, n. 2016, reso sulla presente riforma).

3.1.- Essi, invero, hanno sempre assunto nella disciplina costituzionale e ordinaria connotazioni distinte, quanto a presupposti e finalità, da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (Corte Cost., sentenza n. 289 del 1994 e, nello stesso senso: Cass. 1/10/2010, n. 20538; Cass. 20/6/2012, n. 10177; Cass. 10/2/2017, n. 3589).

3.2.- La loro attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell’art. 69 Cost., è finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato: in particolare, si è sottolineato che, così come l’assenza di emolumento disincentiverebbe l’accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all’esercizio di altra attività lavorativa remunerativa, allo stesso modo, l’assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un’attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale.

3.3.- Si è così affermato che il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato, nel senso che la sua corresponsione è sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alla cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell’attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza (così sempre Cass. Sez.Un. 18266/2019, cit.).

3.4.- Questa assimilazione non è esclusa dal rilievo che la disciplina dei due istituti è rinvenibile in fonti differenti, – visto che solo per l’indennità è prevista la riserva di legge -, essendo indubbio che entrambi gli istituti rientrano nell’ambito della normativa “da qualificare come di diritto singolare” che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dall’art. 64 Cost., comma 1 e artt. 66 e 68 Cost. (Corte Cost., sentenze n. 66 del 1964 e n. 24 del 1968 nonchè sentenza n. 379 del 1996).

3.5.- Quanto alla possibilità che la disciplina degli assegni vitalizi sia dettata da un regolamento della Camera, essa deve ritenersi consentita in assenza di una preclusiva riserva, sia pur relativa, di legge, di fatto scolpita con esclusivo riferimento alla sola “indennità” parlamentare (art. 69 Cost.): come si legge nel citato parere del Consiglio di Stato, che ha tratto argomenti anche dalla sentenza n. 289/1994 dalla Corte costituzionale, “la materia risulta, in sostanza, assoggettata ad un regime di ordinaria e potenziale concorrenza tra lo strumento legislativo e quello regolamentare il quale, di per sè, non impone ma neppure preclude – alla luce di valutazioni di ordine essenzialmente politico-istituzionale – l’integrale opzione (funzionalmente autonomistica e storicamente avallata) per il regolamento interno. In definitiva, la scelta della fonte normativa deve ritenersi – nel quadro delle esposte coordinate – rimessa all’apprezzamento della Camera richiedente”.

3.6.- L’assimilazione e, in un certo senso, la derivazione dell’assegno vitalizio dall’indennità parlamentare escludono che, rispetto alle controversie relative al diritto all’assegno vitalizio dell’ex parlamentare e alla relativa entità, l’ex parlamentare possa essere considerato “soggetto terzo” sol perchè la sua carica è cessata.

3.7.- Ne deriva che le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell’indennità parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari non possono che essere decise dagli organi dell’autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell’ambito della suindicata normativa di “diritto singolare”.

4.- L’esistenza di una sfera di autonomia speciale garantita alle Camere in cui va inserita anche l’autodichia in oggetto, non esclude la legittimazione degli organi di autodichia a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (Corte Cost., sentenza n. 213 del 2017).

4.1.- Neppure può convenirsi con gli assunti del ricorrente circa la mancanza di indipendenza e imparzialità degli organi dell’autodichia, ove si consideri che, a partire dai Decreti Presidenziali nn. 81 ed 89 del 1996, la Camera dei deputati si è dotata di una struttura decisionale di autodichia che assicura il rispetto dei principi di precostituzione, imparzialità e indipendenza dei collegi previsti per la risoluzione delle controversie, in conformità con quanto previsto dagli artt. 25,104,107 e 108 Cost. e dall’art. 6CEDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU resa nel caso Savino e altri contro Italia (Cass. Sez. Un. 17/3/2010, n. 6529).

4.2.- Infine, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 262 del 2017, tutto questo “ulteriormente conferma che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un’assenza di tutela”, in quanto tale limitazione “risulta compensata dall’esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell’ambito delle amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalità di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d’imparzialità, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialità”.

5.- Queste considerazioni, da un lato, confermano la carenza assoluta di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria a conoscere della presente controversia, dall’altro escludono la sussistenza dei presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale.

6.- La novità e complessità delle questioni poste alla base del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione e la recente formazione su di esse del richiamato orientamento giurisprudenziale giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente regolamento.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il difetto assoluto di giurisdizione e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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