Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 722 del 15/01/2018

Cassazione civile, sez. II, 15/01/2018, (ud. 14/11/2017, dep.15/01/2018),  n. 722

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.M., P.F., B.N., D.L., E.N., A.A., M.A., D.F., D’.GI., D.P.M., L.M., LE.NI., C.G., DE.RO. e M.M. hanno proposto ricorso articolato in due complessi motivi contro la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1361/2012, depositata il 18/12/2012. Rimane intimata, senza svolgere attività difensive, DI.PI.MA..

Gli attuali ricorrenti, tutti condomini delle tre palazzine site in (OMISSIS), con citazione del 19 febbraio 2004 convennero Di.Pi.Ma., proprietaria di altro immobile in (OMISSIS), davanti al Tribunale di Trani, per sentirla condannare a chiudere il varco munito di cancello avente accesso sull’area privata scoperta destinata a parcheggio al servizio delle predette palazzine, opera autorizzata dal Comune di Bisceglie. Con sentenza del 10 dicembre 2008 il Tribunale di Trani accertò l’inesistenza di un diritto di servitù in favore della Di.Pi. sull’area privata e le ordinò la riduzione in pristino dello stato dei luoghi con la chiusura del varco cancello. Il Tribunale ritenne altresì superflua la chiamata in causa del Comune di Bisceglie, richiesta dagli attori all’udienza di prima comparizione, essendosi lo stesso limitato a rilasciare un’autorizzazione “salvo il diritto dei terzi”. Il Tribunale affermò inoltre che la destinazione dell’area controversa a parcheggio emergesse dall’atto d’obbligo del 17 maggio 1994. Propose appello Di.Pi.Ma., ma tale impugnazione venne rigettata dalla Corte d’Appello di Bari, ritenendo integro il contraddittorio, essendo unica legittimata passiva la medesima Di.Pi., negando il carattere pubblicistico dei diritti nascenti dall’atto di impegno del 1974, e comunque precisando che l’area oggetto di lite di (OMISSIS), ancorchè privata, fosse aperta all’uso pubblico, gravata da servitù in tal senso, come emergente da provvedimenti e certificazioni comunali citati. Pur, dunque, ravvisando l’assoggettamento a servitù di uso pubblico dell’area privata pertinenziale alle tre palazzine di (OMISSIS), la Corte d’Appello di Bari escluse la facoltà di Di.Pi.Ma., proprietaria frontista, di aprirvi un accesso diretto, ciò implicando una più intensa e diversa utilizzazione di essa, in tal modo comunque pervenendo, sebbene in base a motivazione parzialmente diversa, al rigetto dell’impugnazione e quindi all’accoglimento dell’iniziale domanda degli attori.

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Gianfranco Servello, ha depositato le sue conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la motivazione insufficiente in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., la violazione della L. 7 agosto 1967, n. 765, art. 18, in relazione agli artt. 817,818 e 819 c.c., nonchè in relazione agli artt. 1027 c.c. e segg., la violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1967, n. 765, art. 10, comma 5, per aver la Corte d’Appello di Bari, pur rigettando l’impugnazione di Di.Pi.Ma., dopo aver negato il litisconsorzio con il Comune ed accertato l’esclusiva comproprietà dei ricorrenti sull’area privata in questione, comunque riconosciuto su di essa la servitù di pubblico parcheggio.

Il secondo motivo di ricorso censura poi la motivazione insufficiente sotto il profilo dei requisiti costitutivi della servitù pubblica, la violazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 2, commi 8 e 9 e la violazione dell’art. 829 c.c., contestando la presunzione di uso pubblico argomentata a pagina 8 dell’impugnata sentenza.

2.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente, imponendosi un rilievo pregiudiziale di inammissibilità del ricorso, conformemente alle conclusioni presentate dal pubblico ministero.

La Corte d’Appello di Bari ha, infatti, rigettato l’appello di Di.Pi.Ma. contro la sentenza del 10 dicembre 2008 del Tribunale di Trani. Il Tribunale aveva accolto la domanda degli attuali ricorrenti ed accertato perciò l’inesistenza di un diritto di servitù in favore dell’immobile di (OMISSIS), di proprietà Di.Pi., sull’area privata destinata a parcheggio al servizio delle tre palazzine di (OMISSIS), di proprietà degli attori, ordinando alla convenuta la chiusura del varco cancello realizzato. Pur supponendo l’assoggettamento a servitù di uso pubblico dell’area per cui è causa, la Corte d’Appello ha negato comunque il diritto di Di.Pi.Ma. di aprirvi un accesso diretto, come fatto con il cancello realizzato su autorizzazione del Comune di Bisceglie, sicchè è stato respinto il gravame della Di.Pi., soltanto modificando in parte la motivazione del Tribunale in punto di fondatezza della pretesa attorea.

Ora, è consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui, nel caso in cui il dispositivo della sentenza di primo grado sia confermato dal giudice di appello in forza di una diversa motivazione, la portata della decisione va interpretata – anche ai fini della valutazione dell’interesse ad impugnare – secondo i criteri e i limiti della nuova motivazione della sentenza di appello (che assorbe e sostituisce, anche se confermativa, quella di primo grado). In ogni modo, in tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, e va apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente dall’eventuale accoglimento del gravame. L’interesse all’impugnazione costituisce, infatti, manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, e va perciò individuato in un interesse giuridicamente tutelato a conseguire la rimozione della statuizione censurata, non prospettandosi, perciò, sufficiente al riguardo la configurabilità di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non suscettibile di produrre riflessi pratici sulla soluzione adottata (Cass. Sez. 1, 12/04/2013, n. 8934; Cass., Sez. 3, 04/06/2007, n. 12952; Cass. Sez. L, 08/07/1995, n. 7525).

Più in generale, deve negarsi l’interesse all’impugnazione della parte integralmente vittoriosa nel precedente giudizio, ove la stessa sia volta al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione della sentenza, salvo il caso che da quest’ultima possa dedursi un’implicita statuizione contraria all’interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che, quale premessa necessaria della decisione, siano suscettibili di formare giudicato, in quanto presupposti necessari della decisione (Cass. Sez. L, 10/11/2008, n. 26921; Cass. Sez. 1, 09/10/2012, n. 17193). La Corte d’Appello di Bari, nella sentenza impugnata, ha deciso la causa ad essa sottoposta secondo il consolidato principio giurisprudenziale per cui l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico, in relazione all’interesse della collettività di goderne quale collegamento tra due vie pubbliche, non comporta comunque la facoltà dei proprietari frontisti di aprirvi accessi diretti dai loro fondi, implicando ciò un’utilizzazione di essa più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto della stessa (da ultimo, così Cass. Sez. 2, 25/09/2013, n. 21953). Il conseguente giudicato di questa sentenza, intesa come affermazione oggettiva di verità avente efficacia nei limiti soggettivi ed oggettivi dettati dall’art. 2909 c.c., è perciò quello che consegue ad una causa tra privati nella quale l’attore chieda che, accertato il suo diritto di proprietà su una strada, venga interdetto al convenuto il passaggio su di essa praticato mediante un accesso diretto appositamente creato dal proprio fondo, laddove il convenuto pretenda di esercitare il relativo diritto assumendo la natura pubblica della stessa, causa nella quale non ricorre la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del Comune (vedi Cass. Sez. 2, 06/12/1988, n. 6632). La questione dell’esistenza di una servitù di uso pubblico è stata così dedotta nella controversia in esame solo incidenter tantum, al fine, cioè, di contestare la fondatezza della domanda avversa e non di ottenere sul punto una statuizione suscettibile di acquistare l’efficacia di giudicato (in tal senso Cass. Sez. 2, 29/10/1974, n. 3285; Cass. Sez. 2, 16/07/1964, n. 1936). Non sussiste quindi l’interesse dei privati proprietari dell’area ad impugnare la decisione che, pur dando per accertata incidentalmente la servitù di uso pubblico, abbia accolto la domanda dei proprietari ed abbia ordinato al convenuto di cessare tale forma di utilizzazione del bene, in quanto comunque non riconducibile al contenuto dell’indicata servitù, atteso che tale sentenza non comporta modificazioni di proposte situazioni giuridiche in danno degli attori, lasciando impregiudicato l’esito dell’apposita azione che i proprietari possono promuovere nei confronti del Comune per negare che il loro fondo sia gravato da servitù di pubblico transito (cfr. Cass. Sez. U, 17/03/2010, n. 6406; Cass. Sez. U, 27/01/2010, n. 1624).

3. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Non occorre regolare le spese del giudizio di legittimità, in quanto l’intimata Di.Pi.Ma. non ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2018

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