Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7219 del 13/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7219 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: BIELLI STEFANO

SENTENZA

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3t-

Sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore, domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello
Stato, che la rappresenta e difende;

ricorrente

contro
s.r.l. Autourtiti,

con sede a Genova, in persona dell’amministratore

unico Alessandro Urtiti, elettivamente domiciliato in Roma viale Parioli
n. 43, presso lo studio dell’avvocato professor Francesco D’Ayala Valva,
che, unitamente all’avvocato professor Antonio Lovisolo dei foro di
Genova, la rappresenta e difende (anche in via disgiuntiva), giusta
elezione di domicilio e procura speciale in calce al controricorso

controrlcorrente –

Data pubblicazione: 13/04/2016

avverso la sentenza n. 118/04/09 della Commissione tributaria regionale
della Liguria, depositata il 23 giugno 2009, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9
dicembre 2015 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

Dettori, che ha chiesto raccoglimento del ricorso;
udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale
dottoressa Paola Mastroberardino, che ha concluso per raccoglimento del
ricorso.
Ritenuto in fatto

1.— Con sentenza n. 118/04/09, depositata il 23 giugno 2009 e non notificata, la
Commissione tributaria regionale della Liguria (hinc: «CTR») accoglieva l’appello proposto dalla
s.r.l. Autourtiti nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 354/03/2007 della
Commissione tributaria provinciale di Genova (hinc: «CTP») e, in riforma della sentenza di primo
grado, annullava l’impugnato avviso di accertamento, compensando tra le parti le spese di lite per la
complessità della materia.
Il giudice di appello premetteva che: a) l’Agenzia delle entrate aveva accertato che la
predetta s.r.1., al fine di non applicare l’IVA, aveva simulato di avere trasferito in Francia ad
operatori francesi varie autovetture, senza però che i veicoli, effettivamente ceduti, avessero mai
lasciato il territorio nazionale; b) la medesima Agenzia, pertanto, aveva ritenuto che, in ragione del
mancato trasferimento dei veicoli nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione, non si fosse
realizzata un’operazione intracomunitaria non imponibile e, di conseguenza, con avviso di
accertamento, aveva proceduto al recupero dell’IVA non corrisposta per l’anno 2004; c) la società
aveva impugnato l’avviso, deducendo che non era provato l’assunto dell’ente impositore,
sussistendo solo «presunzioni non suffragate da elementi probatori»; d) la CTP aveva respinto il
ricorso, compensando le spese di lite; e) la s.r.l. aveva proposto appello, affermando che era onere
dell’ufficio tributario provare l’imponibilità delle operazioni, in quanto non solo le lettere di vettura
(CMR) di attestazione del trasporto delle autovetture in Francia non erano state ritenute false, ma
anche i pagamenti apparivano formalmente regolari (come risultava dalla scheda contabile e dalla
contabilità, regolarmente tenuta); f) l’appellata Agenzia aveva ribadito che la cessione di veicoli,
difettando il requisito territoriale, non era qualificabile come intracomunitaria ed era soggetta

udito, per l’Agenzia controricorrente,l’avvocato dello Stato Bruno

all’IVA con aliquota ordinaria.
Su queste premesse la C’TR motivava il rigetto dell’appello e la piena conferma della
sentenza di primo grado con i seguenti rilievi: a) la pretesa tributaria era infondata, perché i
documenti di trasporto versati in atti (CMR ovvero modello I-111) costituivano «prova della loro
regolarità» e non erano stati messi in discussione, con conseguente dimostrazione dell’avvenuto
trasporto in Francia, restando «invece solo la presunzione che gli autoveicoli non avrebbero mai
lasciato il territorio nazionale»; b) in particolare, le affermazioni rese in sede di sommarie

trasporto era avvenuto da Italia a Italia, benché i documenti di trasporto indicassero trasporti da
Italia a Francia) erano generiche, non avevano coinvolto penalmente (neppure quale indagato)
l’amministratore della s.r.l. Alessandro Uniti, non potevano essere considerate prove a carico della
s.r.l. (che non effettuava trasporti) e del coinvolgimento di questa nella frode presunta dall’ufficio
tributario; e) in conclusione, non v’era prova della «partecipazione» della s.r.l. «ad una frode
fiscale».
2.—L’Agenzia delle entrate, dichiarando un valore di € 1.920.749,75, ha proposto ricorso
per cassazione avverso la sentenza di appello, affidato a due motivi e notificato il 22-28 giugno
2010.
3.—La s.r.l. Autourtiti resiste con controricorso notificato il 16-17 ottobre 2010 ed illustrato
con memoria.

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, la ricorrente Agenzia

delle entrate denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.— la falsa
applicazione sia del principio di non contestazione di cui all’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546 del
1992, sia dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione alla natura dispositiva e al sistema di preclusioni
del processo tributario, in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Secondo l’Agenzia, la CTR nell’affermare che i documenti di trasporto costituivano prova
della regolarità delle fatture per cessioni intracomunitarie e non erano stati messi in discussione,
non aveva considerato che la stessa Agenzia: a) già nelle controdeduzioni di primo grado (prima
ancora della produzione documentale della contribuente (lettere CRM e scheda contabile intestata
alla Italfrance) aveva rilevato che non v’era prova che i beni erano stati presi in carica da un vettore
incaricato dall’acquirente francese; b) in appello aveva ribadito i suddetti rilievi e aveva osservato
che i CRM non erano attendibili, sia perché oggetto di un procedimento penale nel cui àmbito
«Sacceddu Daniele» (responsabile della società di trasporti “Ronchetti”) ne aveva affermato la
falsità ideologica (in quanto i trasporti si fermavano, in realtà, a Genova), sia perché non tutti erano

informazioni alla Procura della Repubblica di Genova «da tale Socceddu Daniele» (secondo cui il

firmati da Giuseppe Moro e molti erano firmati con il cognome “Ronchetti”, cioè da persona
inesistente nella s.n.c. di trasporto avente detta ragione sociale. La ricorrente deduceva che,
pertanto, la CTR, pur in presenza di una tale contestazione non aveva fatto applicazione del
principio per il quale solo la mancata contestazione, nella prima difesa utile, del fatto allegato da
una delle parti, rende il fatto pacifico, mentre la sua tempestiva contestazione, non comporta
spostamenti dell’onere probatorio.

Innanzitutto, il quesito non rispecchia il contenuto del motivo ed è contraddittorio. Sotto il
primo profilo, nel quesito si afferma che solo in secondo grado l’Agenzia aveva sostenuto «in
maniera specifica» che i documenti depositati dalla contribuente non dimostravano l’effettivo
trasporto all’estero dei veicoli: invece, nel motivo, si afferma che «anche in primo grado» aveva
contestato il trasferimento all: estero dei veicoli, anche se prima della produzione documentale
avversaria. Sotto il secondo profilo, il quesito, da un lato, prospetta il principio che la contestazione
(specifica) di quanto ex adverso allegato deve avvenire «nella prima difesa utile»; dall’altro
(contraddittoriamente) ammette che la suddetta contestazione della documentazione prodotta dalla
contribuente in primo grado era avvenuta (solo) in appello.
Oltre a ciò, nel quesito, si fa erroneamente riferimento ad «operazioni soggettivamente
inesistenti», cioè ad un’ipotesi che non attiene alla fattispecie di causa (riguardante operazioni
effettive, ma, secondo l’Agenzia delle entrate, non intracomunitarie).
Infine, la ricorrente prospetta sotto il profilo di violazione di legge, una diversa (ed
inammissibile) valutazione dei fatti, posto che la CTR non ha fatto applicazione solo del principio
della non contestazione, ma ha proceduto ad una valutazione complessiva dei dati acquisiti
(veridicità dei documenti di trasporto CMR ovvero modello H/1; rilievo che le affermazioni rese in
sede di sommarie informazioni alla Procura della Repubblica di Genova «da tale Socceddu
Daniele» — secondo cui il trasporto era avvenuto da Italia a Italia, benché i documenti di trasporto
indicassero trasporti da Italia a Francia — erano generiche e non avevano coinvolto penalmente
l’amministratore della s.r.l. Alessandro Urtiti; la s.r.l. non effettuava trasporti). Una tale valutazione
di merito della CTR, se mai, poteva essere censurata sotto un (non prospettato) profilo
motivazionale.

2.— Con il secondo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, la ricorrente denuncia
— in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.— la violazione degli artt, 2697 cod.
civ. e 41 del decreto-legge n. 331 del 1993, quale convertito dalla legge n. 427 del 1993, in
riferimento all’art. 28- quater, lettera a), della direttiva comunitaria 17 maggio 1977, n. 77/388 .
Secondo l’Agenzia, la CTR ha adottato un erroneo criterio di ripartizione dell’onere della prova

1.1.— Il primo motivo è inammissibile per diverse ed autonome ragioni.

ritenendo necessario, al fine di escludere 1′ imponibilità IVA, che l’amministrazione finanziaria
fornisse la prova (nella specie ritenuta non raggiunta) della piena ed effettiva consapevolezza della
frode (partecipati° fraudis) in capo alla contribuente: il giudice di appello, invece, di fronte agli
elementi di prova forniti dall’ente impositore circa il mancato inoltro in Francia dei beni ceduti,
avrebbe dovuto ritenere onerata la contribuente della prova liberatoria della sua buona fede, cioè
della sua incolpevole ignoranza della frode perpetrata attraverso detto mancato inoltro.

2.1.— Anche tale secondo motivo è inammissibile. L’Agenzia, infatti, muove dal
Invece, la CTR assume che sia stata raggiunta la prova di tale trasferimento: manca perciò la base
dell’applicazione della regola di ripartizione dell’onere della prova circa la non colpevole
inconsapevolezza della frode realizzata a seguito del mancato trasferimento all’estero dei veicoli. Di
qui l’ inconferenza e la non deciiività della censura in esame.

3.— Dalla rilevata inammissibilità dei motivi di ricorso deriva la condanna della ricorrente
Agenzia a rimborsare alla società controricorrente le spese di lite, liquidate come da dispositivo

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna la ricorrente Agenzia delle entrate a
rimborsare alla società controricorrente le spese di lite, che si liquidano in complessivi C 9.000,00
(di cui C 8.700,00 per compensi), oltre accessori di legge
Cos( deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 9 dicembre 2015.

presupposto di fatto che non sia stato dimostrato il trasferimento delle autovetture in Francia.

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