Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7215 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.21/03/2017),  n. 7215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16778-2015 proposto da:

Z.A., quale procuratore generale della signora

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FERRATELLA IN

LATERANO 33, presso lo studio dell’avvocato ANGELO DI LORENZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO ANDREATTA giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

B.S., quale titolare della Agenzia di Intermediazioni

Immobiliari Studio C. di Mestre, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONELLA PIETROBON giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1032/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

emessa il 10/02/2014 e depositata il 21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Antonella Pietrobon, per il controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il Consigliere designato, dott. A. Scalisi, ha depositato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente proposta di definizione del giudizio: “Il Tribunale di Venezia con sentenza n. 2155 del 2010, pronunciandosi nella causa promossa da M.R. (procuratrice generale della madre R.L.) nei confronti di B.S., titolare dell’Agenzia di Intermediazioni Immobiliari Studio C, con sede in (OMISSIS), intesa ad ottenere la revoca del decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Venezia aveva imposto a Luciana Rioda di pagare la somma di Euro 9.600,00 a titolo di penale per il suo recesso dal contratto di mediazione stipulato il (OMISSIS), accoglieva la domanda dell’opponente e revocava il decreto ingiuntivo, condannava la parte soccombente al rimborso delle spese e competenze di lite.

La Corte di Appello di Venezia, pronunciandosi su appello proposto da B.S. e su appello incidentale proposto da M.R., quale procuratrice di R.L., accoglieva, per quanto di ragione, sia l’appello principale che quello incidentale e in riforma della sentenza di primo grado condannava M.R. nella sua qualità a pagare a B.S. la somma di Euro 5.000,00 a titolo di penale validamente prevista, compensava per i due terzi le spese giudiziali di entrambi i gradi del giudizio e poneva la restante parte delle spese a carico di M.R. nella sua qualità. Secondo la Corte veneziana considerato: a) che dalla documentazione acquisita risultavano espletati alcuni importanti incombenti quali: il sopralluogo per la valutazione del valore immobiliare, la relazione della relativa stima, nonchè la pubblicazione dell’offerta di vendita per complessive cinque volte, su riviste settimanali di settore, distribuite gratuitamente, b) che la venditrice poteva avere interesse ad una strategia di intervento del mediatore più dinamica e che tale interesse era venuto meno dopo un infruttuoso trimestre di offerte di vendita; c) che il mediatore non aveva dovuto impegnare nell’attività svolta risorse personali ed economiche tali da giustificare la pretesa di una penale dell’entità prevista (Euro. 8.000,00), era ragionevole ridurre la pretesa penale a complessivi Euro 5.000,00 onnicomprensivi e liquidati con riferimento alla data del deposito della sentenza.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Z.A. quale procuratore generale di R.L., con ricorso affidato a due motivi. B.S. quale titolare dell’Agenzia di Intermediazione Immobiliari Studio C di (OMISSIS), ha resistito con controricorso.

Considerato che:

1.= Con il primo motivo Z.A. quale procuratore generale di R.L. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2015, art. 33, lett. F in correlazione con il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 34. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel non aver valutato se la clausola oggetto del giudizio contenuta nel contratto di mediazione (la clausola relativa alla penale) fosse stata oggetto di trattativa tra le parti e solo successivamente avrebbe potuto pronunciarsi sulla vessatorietà.

1.1.= Il motivo è inammissibile per novità dell’eccezione. In verità, l’eccezione relativa al mancato accertamento che la clausola impugnata fosse stata oggetto di specifica contrattazione individuale con la sig.ra R. non risulta essere stata sollevata nel giudizio di merito e non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione.

E’ ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

1.1.a) Sotto altro aspetto, va qui osservato che la Corte distrettuale ha esplicitamente escluso che la clausola oggetto del giudizio fosse una clausola vessatoria. Come chiarisce la sentenza impugnata “(…) ritiene questa Corte (di Venezia) che non potesse essere nel caso di specie aprioristicamente esclusa l’eventuale utilità del recesso anche per il mediatore, trattandosi di una facoltà potenzialmente favorevole ad entrambe le parti (…) non è quindi alla sola valutazione probabilistica del più frequente interesse del mediatore a mantenere l’incarico fino alla conclusione positiva dell’operazione che può riferirsi la valutazione della vessatorietà della clausola nè a tale conclusione si può pervenire valutando l’eccessiva entità della penale ai fini applicativi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett. e) e/o lett. f) (…)” (….) L’importo manifestamente eccessivo richiesto dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett. f) consente, infatti, la prova contraria e nel caso di specie l’appellante ha documentato le attività svolte in esecuzione dell’incarico, di guisa che risulta più congrua l’applicazione dell’art. 1334 c.c. con il suo espresso riferimento all’esecuzione almeno parziale dell’obbligazione principale, e all’interesse alla prestazione del mediatore che la venditrice conferente l’incarico ha pur mantenuto per almeno tre mesi (…)”.

2.= Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. e art. 221 c.p.c.. Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte veneziana nel ritenere necessaria la proposizione di querela di falso per far valere il riempimento contra pacta dell’incarico di mediazione: il riempimento del biancosegno da parte del mediatore avvenne, pertanto, in parte qua contra pacta. In particolare la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che la querela di falso sarebbe necessaria soltanto quando il riempimento sia avvenuto sine pactis ovvero absque pactis mentre in caso di riempimento contra pacta si verifica una mancata corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si voleva dichiarare sicchè si rientrerebbe nella disciplina dei vizi della volontà, con onere del soggetto che allega l’abusivo riempimento di dar prova della diversa dichiarazione di volontà che la scrittura avrebbe dovuto portare in assenza dell’intervento abusivo. E, sotto questo profilo ha errato la Corte distrettuale nel non aver dato ingresso alle prove orali dirette a dimostrare gli effettivi accordi raggiunti.

2.1.= Il motivo è infondato.

Come è stato già detto da questa Corte in altra occasione: il disconoscimento non costituisce mezzo processuale idoneo a dimostrare l’abusivo riempimento del foglio in bianco, sia che si tratti di riempimento “absque pactis”, sia che si tratti di riempimento “contra pacta”, dovendo, invece, essere proposta la querela di falso, se si sostenga che nessun accordo per il riempimento sia stato raggiunto dalle parti, e dovendo invece essere fornita la prova di un accordo dal contenuto diverso da quello del foglio sottoscritto, se si sostenga che l’accordo raggiunto fosse, appunto, diverso (Cass. 25445/2010, 5417/2014).

Epperò nel caso concreto non è stata data, comunque, la prova di un riempimento absque pactis (cioè in maniera non autorizzata dal sottoscrittore) posto che non sono state ritenute conducenti al fine le prove orali richieste. Come specifica la sentenza impugnata (….) le riproposte prove testimoniali risultano inammissibili oltre che (come già ritenuto dal Tribunale) generiche ed irrilevanti. Ed, in verità quest’ultima considerazione non è stata adeguatamente censurata. Per questi motivi si propone il rigetto del ricorso”.

Tale relazione veniva comunicata ai difensori delle parti.

Il Collegio, condivide argomenti e proposte contenute nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., alla quale non sono stati mossi rilievi critici.

In definitiva, il ricorso va rigettato, le spese seguono la soccombenza.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori, come per legge; da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera del Consiglio della Sezione sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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