Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7215 del 13/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 5 Num. 7215 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: BIELLI STEFANO

Data pubblicazione: 13/04/2016

SENTENZA

(tP`’
sul ricorso proposto da:
Salvatore CAMPANELLA,

nato a Modica il 5 settembre 1964, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour n. 17, presso lo studio dell’avvocato
Franco Moretti, rappresentato e difeso dall’avvocato Carmelo Scarso, del
foro di Modica, giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

con sede a Roma, via Cristoforo Colombo n. 426

c/d, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata in Roma,
via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che
la rappresenta e difende;
– intimata –

avverso la sentenza n. 276/34/09 della Commissione tributaria regionale

non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9
dicembre 2015 dal consigliere dott. Stefano Bielli;
udito, per

il

ricorrente, l’avvocato Carmelo Scarso, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;
udito, per la parte intimata, l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori, che
ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale,
dottoressa Paola Mastroberardino, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza n. 276/34/2009, depositata il 4 maggio 2009 e non notificata, la

Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania (hinc: «CTR»), rigettava
l’appello proposto dal contribuente Salvatore Campanella nei confronti dell’Agenzia delle entrate,
ufficio di Modica, avverso la sentenza n. 246/01/2005 della Commissione tributaria provinciale di
Ragusa (hinc: «CTP») e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite, liquidate in
complessivi € 1.300,00.
La CTR, per quanto qui interessa, rilevava in punto di fatto che: a) l’Agenzia delle entrate
aveva emesso avviso di accertamento nei confronti del contribuente, richiamando un processo
verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza e rilevando un maggiore imponibile di lire
44.969.453 ai fini dell’IVA, dell’IRPEF e dell1RAP dell’anno 1998; b) il Campanella aveva
impugnato l’avviso, deducendo di aver definito il processo verbale di constatazione (art. 15 della

della Sicilia, sezione.staccata di Catania, depositata il 4 maggio 2009,

legge n. 289 del 2002) e che comunque l’avviso era privo di motivazione e di prova in ordine alla
pretesa tributaria; c) l’Agenzia aveva replicato che il beneficio invocato era precluso dalla
precedente formale conoscenza del contribuente dell’esercizio nei suoi confronti di un’azione
penale per reati tributari e che la pretesa tributaria era provata; d) la CTP aveva rigettato il ricorso
ed il contribuente aveva appellato la sentenza di primo grado.
In punto di diritto, la CTR, nel rigettare l’appello e confermare la pronuncia della CTP,
osservava che: a) la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte non richiede necessariamente

motivazione per relationem ad atti conosciuti dal contribuente; b) l’amministrazione, in forza della
ricostruzione effettuata dalla Guardia di finanza, aveva assolto l’onere di provare la maggiore
pretesa tributaria; c) il contribuente, sul quale incombeva il relativo onere, non aveva fornito prove
contrarie.
2.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione,
notificato il 18-21 giugno 2010 ed affidato a due motivi.
3.— L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, che, tuttavia, non risulta
notificato al ricorrente.

Considerato in diritto
1.– Il controricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere dichiarato inammissibile, perché
non risulta notificato al ricorrente. Agli atti è allegata, infatti, solo la relata negativa in data 9 agosto
2010 della notificazione tentata dall’ufficiale giudiziario al domiciliatario avvocato Franco Moretti,
presso il suo studio in Roma, piazza Cavour n. 17; studio dal quale risultava «trasferito come da
informazioni assunte».
2.– Con il primo motivo di ricorso, il contribuente Salvatore Campanella, pur riferendosi
espressamente all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., denuncia la violazione dell’art.
156 e 161 cod. proc. civ., dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 42 del d.PR. n, 600 del
1973 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 e lamenta la nullità, per assoluta mancanza di
motivazione, delle sentenze di primo e secondo grado, nonché la mancante, insufficiente e
contraddittoria motivazione della sentenza di appello.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente, in riferimento all’art. 360, primo comma, n.
3 e n. 5, cod. proc. civ., lamenta la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 7 e 10 della legge n. 212
del 2000, dell’art. 42 del d.P.R. n, 600 del 1973 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, deducendo,
in particolare, la mancante, contraddittoria e insufficiente motivazione della sentenza di appello; il
tutto in relazione all’avviso di accertamento.

l’allegazione all’avviso di accertamento degli atti da questo richiamati, essendo sufficiente una

3. In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità di entrambi i motivi per la violazione

deil’art. 366-bis cod. proc. civ.

3.1.

Occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 4 maggio

2009 e, dunque, successivamente al 1° marzo 2006, rientra, ratione temporis, nella disciplina di cui
alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, e, quindi, nel regime di cui all’art. 366-bis, cod.
proc. civ., nella formulazione rimasta in vigore fino al 3 luglio 2009.
Tale disposizione, nella consolidata lettura di questa Corte, richiede che i vizi riconducibili

diritto” contenente, a pena di’ inammissibilità: a) la sintesi degli elementi di fatto sottoposti al
giudice di merito; b) l’indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di
diritto ritenuta da applicare. Il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nel rispondere al
quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass.
sezioni unite, n. 2658 e n. 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del
2013,n. 11177 e n. 17958 del 2014).

3.2, Analogamente, per i motivi di ricorso riconducibili al n. 5 dell’art. 360, comma primo,
cod. proc. civ., è richiesta dalla stessa legge sopra citata – sempre a pena di inammissibilità – la
formulazione del “quesito di fatto” o “motivazionale” (cosiddetto “momento di sintesi”),
consistente in un apposito passaggio espositivo, distinto ed autonomo rispetto allo svolgimento del
motivo e che sostanzi un quid pluris rispetto all’illustrazione del mezzo (Cass. sezioni unite n.
12339 del 2010; Cass. n. 4309 e n. 8897 del 2008; n. 21194 e n. 24313 del 2014), finalizzato ad
individuare, chiaramente e sinteticamente, il fatto controverso e decisivo per il giudizio in
riferimento al quale la motivaz’ ione si assume omessa, ovvero insufficiente o contraddittoria, con
specifica segnalazione delle ragioni per le quali la motivazione risulta inidonea a giustificare la
decisione (ex plurimis, Cass. sezioni unite n. 20603 del 2007 e n. 11652 del 2008; Cass. n. 27680
del 2009).
È stato altresí precisato che non è consentito censurare contemporaneamente la mancanza,
l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, poiché ciò integra una violazione della
logica, prima ancora che del diritto, non potendosi predicare l’insufficienza o la contraddittorietà di
ciò che sia più radicalmente prospettato come inesistente (Cass. n. 5471 del 2008; n. 8203 del
2015).

3.3. Nel ricorso in esame, entrambi i motivi proposti risultano privi, anche sotto l’aspetto

meramente grafico (requisito sottolineato, tra le molte pronunce, da Cass. n. 24313 del 2014), di
qualsiasi formulazione del corrispondente quesito. Né può attribuirsi a questa Corte il potere di
individuarne autonomamente una possibile stesura all’interno dello svolgimento del motivo (Cass.

ai numeri 3) e 4) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ. siano corredati da un “quesito di

n. 22591 del 2013), dal momento che ne resterebbe negata — rispetto ad un sistema processuale che
già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata — la portata
innovativa dell’art. 366-bis cod. proc. civ., consistente proprio nell’imposizione della formulazione
di motivi contenenti una sintesi autosufficiente della violazione censurata, funzionale anche alla
formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione
nomofilattica della Corte (ex plurimis, Cass. n. 20409 del 2008 e n. 16481 del 2014).
Inoltre, quanto ai dedotti vizi di violazione di legge, i motivi formulati non contengono

questi commesso ed alla corretta regula iuris invocata. Quanto, poi, ai dedotti vizi motivazionali, la
ricorrente ha dedotto contemporaneamente censure tra loro incompatibili (segnatamente,
l’omissione della motivazione della sentenza di appello unitamente alla sua insufficienza e
contraddittorietà) e non ha individuato con chiarezza il fatto controverso e decisivo per il giudizio in
riferimento al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente ovvero contraddittoria.
3.4,

I motivi sono inammissibili anche perché vengono prospettate censure multiple,

inestricabilmente cumulate tra loro (rispettivamente, art. 360, primo comma, n. 3, n, 4 e n. 5, cod,
proc, civ.), senza che sia possibile accertare i distinti profili di censura. Siffatta indistinzione rende
inammissibili i motivi, perché devolve a questa Corte il cómpito (che non le spetta) di interpretare,
enucleare, integrare ed esplicitare i profili d’impugnazione (sostanzialmente in tal senso,

ex

plurimis, n. 1906 e n. 9470 del 2008; n. 9793 e n. 12248 del 2013).
3.5. In conclusione, tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.

4.

In ragione del principio di causalità, il ricorrente deve rimborsare all’Agenzia delle

entrate le spese del presente giudizio di legittimità (limitatamente alla partecipazione dell’intimata,
la quale è intervenuta nella discussione in udienza, sia pure senza aver previamente notificato il
controricorso), liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il controricorso; dichiara inammissibili i motivi del ricorso;
condanna la parte ricorrente a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di
legittimità, che si liquidano in complessivi € 1.500,00 per compensi, oltre eventuali spese prenotate
a debito.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 9 dicembre 2015.

alcun riferimento alla regola applicata dal giudice d’appello, all’errore di diritto che si assume da

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA