Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7214 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 15/03/2021), n.7214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14586/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per

legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “GRUPPO T.M. DI V. S.r.l.”, con sede in (OMISSIS) (BT), in

persona dell’amministratore delegato pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Puglia il 30 ottobre 2018 n. 3202/04/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 27 gennaio 2021

dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia il 30 ottobre 2018 n. 3202/04/2018, non notificata, la quale, in controversia su impugnazione di contestazione di violazione ed irrogazione di sanzione per l’omessa indicazione nel modello unico 2011 (per l’anno 2010) degli importi relativi ad operazioni di acquisto di merce da operatori residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “GRUPPO T.M. DI V. S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari il 2 maggio 2016 n. 1534/11/2016, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che l’unica sanzione applicabile nella fattispecie alla contribuente fosse quella prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1, essendo stata comunicata all’amministrazione finanziaria la lista delle operazioni relative ai c.d. Paesi black list. La “GRUPPO T.M. DI V. S.r.l.” è rimasta intimata. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza non sono state presentate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3-bis, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 303, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, e del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 22 maggio 2010, n. 73, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto l’applicabilità della sanzione prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1, per l’omessa indicazione nella dichiarazione relativa alle imposte dirette degli importi relativi ad operazioni di acquisto di merce da operatori residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (Paesi c.d. black list).

RITENUTO CHE:

1. Il motivo è fondato.

1.1 Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive introdotte dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301, 302 e 303, e prima di quelle di cui alla L. 28 dicembre 2015, n. 208, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (c.d. Paesi black list) è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ex art. 8, comma 3-bis, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, con la sanzione di cui al medesimo D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8, ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli (Cass., Sez. 5, 10 giugno 2016, n. 11933; Cass., Sez. 5″, 28 febbraio 2017, n. 5085; Cass., Sez. 5″, 24 luglio 2018, n. 19561).

1.2 Aggiungasi che, a seguito della contestazione della mancata dichiarazione autonoma dei compensi corrisposti a fornitori operanti in Stati a fiscalità privilegiata (c.d. Paesi “Black list”), è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, in quanto, ove fosse possibile porre rimedio a tale irregolarità, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni stabilite dal legislatore per inosservanza della correlativa prescrizione (Cass., Sez. 5″, 27 maggio 2016, n. 10989).

Pertanto, la comunicazione prevista dal D.L. 25 marzo 2010, art. 1, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 22 maggio 2010, n. 73, non vale a sanare – come sembra essere stato ritenuto dal giudice di appello – l’omissione contestata, trattandosi di adempimenti connotati da finalità eterogene ed ambiti distinti.

Difatti, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata è diretta a neutralizzare i vantaggi fiscali derivanti per gli imprenditori dalla contabilizzazione di costi esteri inesistenti per l’attinenza ad operazioni che non risalgono ad imprese esercenti un’attività economica effettiva o non rispondono ad un effettivo interesse economico o non hanno avuto concreta esecuzione. Laddove, la comunicazione telematica delle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione da parte di soggetti I.V.A. (dunque, non soltanto imprenditori) nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. black list è diretta a contrastare l’evasione fiscale operata nella forma dei c.d. caroselli e delle c.d. cartiere.

2. Dunque, la Commissione Tributaria Regionale ha fatto malgoverno dei principi enunciati, avendo escluso l’applicazione della sanzione prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3-bis, nonostante la contestata omissione dell’indicazione prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11.

3. Peraltro, la contribuente non ha proposto appello incidentale in ordine al rigetto del motivo principale del ricorso originario, il quale atteneva al carattere meramente formale della violazione contestata dall’amministrazione finanziaria. Il che lascia ritenere la formazione del giudicato interno in parte qua sulla sentenza di primo grado (tra le altre: Cass., Sez. 5, 28 febbraio 2018, n. 4576).

4. Stante la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.

5. Le spese del doppio grado del giudizio del merito possono essere compensate tra le parti, tenuto conto dell’andamento del medesimo, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione finanziaria, che liquida nella somma complessiva di Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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