Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7212 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. I, 04/03/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 04/03/2022), n.7212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14925-2019 proposto da:

M.P.I., rappresentato e difeso dall’avv. ANGELO

RANELI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il

05/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato, il Tribunale di Palermo rigettava il ricorso proposto da M.P.I. avverso il provvedimento della Commissione territoriale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione, internazionale ed umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.P.I., affidandosi a quattro motivi, l’ultimo dei quali articolato in tre distinti profili.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale non avrebbe svolto un adeguato esame del contenuto della domanda di protezione. In particolare, il giudice di merito non avrebbe considerato la vulnerabilità del richiedente, né avrebbe tenuto conto del suo percorso di integrazione in Italia.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il racconto del richiedente la protezione.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il giudice di merito non avrebbe valutato i trattamenti inumani e degradanti ai quali il richiedente sarebbe stato esposto, né la condizione di instabilità diffusa esistente nel (OMISSIS), suo Paese di origine.

Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. c) (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11925 del 19/06/2020, Rv. 658017; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020, Rv. 658237). Nel caso in cui il racconto non sia ritenuto credibile, è esclusa la necessità per il giudice di merito di operare ulteriori accertamenti in relazione alla sussistenza delle ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 28862 del 12/11/2018, Rv. 651501; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8367 del 29/04/2020, Rv. 657595; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16925 del 11/08/2020, Rv. 658940). Nel caso concreto, il Tribunale ha ampiamente motivato circa le ragioni che lo hanno indotto a ritenere non credibili le dichiarazioni dell’istante, in quanto contraddittorie ed incoerenti su punti essenziali della narrazione dei fatti. Inoltre, il giudice di merito ha accertato -anche in questo caso, con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità – che il certificato di matrimonio prodotto dal richiedente era del tutto falso, essendo stato emesso in data 22 febbraio 2016, mentre il matrimonio – secondo lo stesso documento – sarebbe stato celebrato il (OMISSIS).

In aggiunta, il ricorrente, nel denunziare l’erronea valutazione degli elementi istruttori acquisiti agli atti del giudizio di merito, non li riproduce nel ricorso, né fornisce indicazioni in merito al loro contenuto, alla loro individuazione, al momento processuale in cui essi sarebbero stati acquisiti o richiesti, con conseguente inammissibilità della relativa doglianza per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488). In particolare, per quanto concerne l’omessa valutazione della prova testimoniale (cfr. pag. 14 del ricorso), il vizio denunziabile in sede di legittimità può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione di elementi deducibili dalla deposizione, che si palesino idonei a condurre secondo una valutazione che la Corte di cassazione esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata, in concreto, dal giudice di merito. Il ricorrente ha dunque l’onere di riprodurre le risultanze della prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, in modo da permettere alla Corte la valutazione di decisività della lamentata omissione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4405 del 28/02/2006, Rv. 589975; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17915 del 30/07/2010, Rv. 614538; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017, Rv. 645357). Nel caso di specie, il ricorrente non ha trascritto il contenuto della prova, ma vi ha fatto solo genericamente riferimento.

Per quanto invece concerne la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il Tribunale ha accertato, con ricorso a fonti informative idonee ed aggiornate, richiamate nel provvedimento, che la zona di provenienza dell’istante è immune da situazione di violenza generalizzata (cfr. pag. 7 del decreto). Il ricorrente contrappone, a tale ricostruzione in fatto, un apprezzamento alternativo, richiamando genericamente (cfr. pag. 19 del ricorso) il contenuto di un “report Amnesty International”, senza neppure specificare se tale fonte sia più aggiornata, o presenti un contenuti diverso, da quelle in concreto utilizzate dal giudice di merito.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria. Con il primo profilo, in particolare, il ricorrente si duole della mancata considerazione della condizione di instabilità esistente in (OMISSIS) e del suo percorso di integrazione in Italia. Con il secondo profilo, della mancata valutazione dei legami familiari del richiedente, il quale, in caso di rientro in patria, lascerebbe in Italia la moglie ed un figlio ancora in tenera età. Con il terzo profilo, infine, il ricorrente si duole dell’omessa considerazione, da parte del giudice palermitano, delle violenze da lui subite in Libia, durante la sua permanenza in quel Paese.

La censura è inammissibile con riferimento a tutti i diversi profili suindicati. Il Tribunale ha infatti accertato l’assenza di allegazione, da parte del ricorrente, di specifiche condizioni di vulnerabilità, e tale statuizione non risulta adeguatamente contestata nel motivo in esame. Il ricorrente infatti, oltre a non indicare con precisione in quale momento del giudizio di merito egli avrebbe allegato le circostanze oggi dedotte nel ricorso (in particolare, la presenza in Italia di un nucleo familiare e di un figlio minore), né richiama, neppure per estratto, i documenti e le fonti di prova dalle quali esse sarebbero dimostrate, non potendo evidentemente, al riguardo, farsi riferimento al solo certificato di matrimonio già ritenuto falso dal Tribunale.

Quanto al transito in Libia, va ribadito che la mera allegazione, da parte del richiedente, che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018, Rv. 651895; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10835 del 05/06/2020, Rv. 657918; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24193 del 02/11/2020, Rv. 659844). Poiché il ricorrente non indica alcunché di specifico in relazione alla sua permanenza in Libia, anche l’ultimo profile della quarta doglianza è inammissibile.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva, da parte del Ministero intimato, nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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