Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 721 del 18/01/2021

Cassazione civile sez. III, 18/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 18/01/2021), n.721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32086/2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avv.to GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, con studio in Petilia Policastro via Arringa 60,

(studiolegale.pec.scordamaglia.eu) ed elettivamente domiciliato

presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, in Roma,

piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 499/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.A., proveniente dalla (OMISSIS), ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva respinto l’impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale di rigetto della domanda di protezione internazionale avanzata nelle varie forme gradate e denegata dalla competente Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa il ricorrente ha narrato di essersi trasferito insieme alla famiglia dal luogo di nascita ((OMISSIS)) situato nel sud del paese, nello Stato di Plateu, nel centro nord: ha aggiunto che la madre vendeva della merce al mercato di (OMISSIS) (la capitale) dove entrambi i genitori erano morti a seguito di un attentato provocato dal gruppo terroristico di (OMISSIS); e di aver deciso di fuggire in ragione della continua instabilità della zona di provenienza del paese ed essendo rimasto senza una famiglia.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione”, non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in punto di credibilità, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5, in relazione al dovere di cooperazione istruttoria.

1.1. Assume, quanto alla credibilità, che la Corte aveva violato i principi contenuti nella norma richiamata – nonostante che fosse stata proposta una specifica censura in relazione alla pronuncia di primo grado – affermando apoditticamente e senza alcun riferimento documentale che egli proveniva dall’Edo State e quindi dal sud del paese, zona che risultava estranea agli attentati di matrice terroristica.

1.2. Lamenta, al riguardo, che la Corte aveva mancato di adempiere al dovere di cooperazione istruttoria attraverso il quale ben potevano assumersi informazioni sui fatti denunciati.

1.3. Il motivo è fondato.

Deve premettersi che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che, anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata sulla base di un percorso di indagine che consideri: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) il fatto che le dichiarazioni del richiedente debbano essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la circostanza che la domanda di protezione internazionale sia stata presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

1.4. Al riguardo questa Corte, nell’interpretazione della norma richiamata ha avuto modo di chiarire che in tema di protezione internazionale:

a. la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni.(cfr. Cass. 14674/2020);

b. la prognosi negativa circa la credibilità del richiedente non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti quando, invece, viene trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 10908/2020; Cass. 8819/2020).

1.5. Nel caso in esame, la Corte, senza alcuna argomentazione coerente rispetto alle censure innanzi a se proposte, ha apoditticamente ritenuto – escludendo espressamente la rilevanza di una nuova audizione (cfr. pag. 3 u. cpv.) – che il ricorrente provenisse dall’Edo State e, poichè la sua narrazione era riferita a fatti di sangue verificatisi nel centro Nord del paese, ha considerato non credibili le sue dichiarazioni: in particolare, ha escluso che sussistesse la minaccia grave o la violenza indiscriminata nell’Edo State, considerandola come la sua regione di provenienza (cfr. pag. 11, primo cpv, della sentenza impugnata) e non valorizzando la circostanza narrata – riguardante il trasferimento nello Stato di Plateau dove i genitori erano rimasti uccisi – sulla base di elementi isolati, non conducenti (non aver prodotto documenti comprovanti la sua vicenda personale, non ricordare il punto esatto dove ebbe a scoppiare la bomba nel mercato, non aver fornito i nominativi dei suoi genitori senza precisare se ciò gli fosse stato richiesto), i quali ben potevano essere oggetto di un approfondimento istruttorio ufficioso, trattandosi di fatti di rilevanza pubblica.

1.6. In tal modo, risulta violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto il percorso argomentativo della Corte non è aderente alla griglia valutativa prescritta dalla norma.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, comma 1, lett. C, con riferimento alla protezione sussidiaria.

2.1. Il motivo rimane logicamente assorbito dall’accoglimento della prima censura e dalla conseguente impossibilità di qualificare i fatti narrati come riconducibili alla forma di protezione richiesta.

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè la mancata comparazione fra integrazione sociale e condizioni transitorie del paese di origine nonchè la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19 e 31.

3.1. Deduce che non era stato affatto considerata la documentazione prodotta a sostegno della sua vulnerabilità riconducibile alla circostanza, del tutto ignorata, che nelle more egli si era sposato a (OMISSIS) con una concittadina nigeriana ed aveva avuto un figlio (doc. prodotti sia in primo che in secondo grado: cfr. pag. 14 del ricorso), circostanze che riteneva idonee, unitamente all’integrazione dimostrata (attraverso la produzione dei documenti di lavoro, anch’essi ignorati), per il riconoscimento della protezione umanitaria, tenuto anche conto della violazione dei diritti umani esistente nello Stato in cui sarebbe dovuto rientrare.

3.2. Deve premettersi che le censure proposte riguardano, nel complesso, la sostanziale “apparenza” della motivazione: il ricorrente infatti ha dedotto, al riguardo, che non erano affatto stati esaminati i documenti posti a base della sua integrazione, consistenti nell’attività lavorativa svolta e nel matrimonio contratto dal quale era anche nato un figlio.

3.3. Sintetizzato come sopra il motivo di ricorso, una corretta qualificazione di esso rispetto alle censure prospettate (cfr. al riguardo Cass. 1370/2013; Cass. 24553/2013 e Cass. 23381/2017) consente alla Corte di ricondurlo nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, concernente le ipotesi di nullità della sentenza, fra le quali devono essere ricomprese quelle riferibili ad una motivazione inesistente, resa, cioè, attraverso una mera apparenza argomentativa e cioè non aderente alle emergenze istruttorie.

3.4. In tal modo riqualificato, il motivo è fondato.

3.5. La Corte, infatti, ha omesso del tutto di rendere una motivazione coerente con le censure proposte, ignorando la documentazione prodotta e svolgendo una valutazione comparativa meramente retorica ed affatto pertinente alle critiche avanzate, incorrendo con ciò in error in procedendo.

4. In conclusione la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati.

5. La Corte dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte;

accoglie il primo e terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione anche per la decisione in ordine alla spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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