Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 721 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. I, 13/01/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 13/01/2011), n.721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16642/2005 proposto da:

G.P. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ALBERICO II N. 35, presso l’avvocato CHIAPPARELLI Franco,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALA VITTORIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO C.M.G. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2191/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato F. CHIAPPARELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 12/2/2000 G.P. proponeva opposizione, davanti al Tribunale di Nola, avverso lo stato passivo del Fallimento C.M.G. s.r.l. in Liquidazione per la mancata ammissione del credito di L. 44.713.174, per retribuzione, ferie non godute, gratifica natalizia, fondo licenziamento e T.F.R. relativi al rapporto di lavoro intercorso con la società fallita dall’ (OMISSIS), con la qualifica di impiegato di 6^ livello.

Assunta prova testimoniale, il Tribunale, con sentenza del 7/6/2002, rigettava la domanda. In particolare, riteneva inopponibile alla massa la busta paga, in quanto priva di data certa anteriore al fallimento; dichiarava irrilevante l’attestazione proveniente dalla Edalcon, in quanto carente della dimostrazione della qualifica soggettiva dedotta; rilevava poi che l’estratto contributivo INPS non consentiva l’identificazione della qualifica nè dei periodi di lavoro; osservava inoltre che le deposizioni dei testi, alle quali conferiva rilievo ex art. 117 c.p.c., non avevano fornito elementi circa le mansioni e l’inquadramento del G., nè sulle modalità di pagamento delle spettanze. Rilevava infine la assoluta carenza di prova in ordine alle somme rivendicate a titolo di ferie non godute, ex festività e riduzione dell’orario lavorativo non goduto.

Avverso tale decisione proponeva appello il G., con atto del 6/3/2003.

La Curatela non si costituiva.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 2191/04, rigettava il gravame. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione G.P. sulla base di un unico motivo cui non resiste l’intimato fallimento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il G. si duole dell’erroneo calcolo della somma ammessa nonchè, sotto diversi profili, della mancata ammissione in appello dei mezzi di prova richiesti.

La prima censura è inammissibile.

La Corte d’appello, nella parte motiva della sentenza, ha ritenuto provate ed ha ammesso al passivo le seguenti voci: retribuzione mese luglio 1996 (L. lire 4.7555.000), gratifica natalizia (L. 2.773.734), trattamento di fine rapporto (L. 2.212.157) per un totale di L. 9.740.891, pari ad Euro 5.030,75.

Nel dispositivo della sentenza viene, invece, ammessa solo la somma di Euro 3.706,51. Trattasi di un contrasto tra parte motiva e dispositivo frutto di un mero errore materiale di calcolo (Cass. 11333/09) che, pertanto, è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. e non già tramite ricorso per cassazione.

La censura è pertanto inammissibile.

Risulta, poi, infondata la seconda censura, relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale, in quanto dedotta per la prima volta in appello, con la quale ci si duole della mancanza di motivazione in ordine alla insussistenza del requisito della indispensabilità.

Questa Corte ha, infatti già chiarito che in tema di ammissibilità di nuove prove nel giudizio d’appello, a norma dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3, il collegio è tenuto a motivare esclusivamente l’indispensabilità che ne giustifica l’ammissione, in deroga alla regola generale che, invece, ne prevede il divieto, ma non anche la mancata ammissione delle prove ritenute non indispensabili, che si conforma alla predetta regola generale (Cass. 16971/09; 15346/10).

Anche l’ulteriore censura con cui ci si duole della mancata ammissione dei documenti perchè prodotti per la prima volta in appello, è infondata. Contrariamente, infatti, a quanto ritenuto dal ricorrente il divieto di produzione di nuove prove in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c., come lo stesso risulta dalla modifica del 1990, si estende non solo alle prove costituende, ma anche a quelle costituite come i documenti (Cass. 14766/07).

Quanto poi alla mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, occorre rammentare che questa è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (ex plurimis Cass. 4660/00).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente motivato la mancata ammissione del mezzo istruttorio in ragione del fatto che lo stesso era richiesto a fini esplorativi e che non poteva supplire al fine di esonerare la parte dall’onere della prova, onde la doglianza si presenta inammissibile.

Con le ulteriori doglianze il ricorrente censura la motivazione della decisione.

In particolare, il ricorrente contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto che i dati risultanti dalla busta paga non trovavano conferma nei prospetti dell’INPS e che si erano disattese le testimonianze dei testi A. e S. sulla durata del rapporto di lavoro e sulle mansioni svolte. Inoltre, si duole del fatto che per il trattamento di fine rapporto sia stata riconosciuta solo la somma di Euro 2.212.157.

Tali censure sono inammissibili.

Le stesse tendono in realtà a sollecitare, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non, è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 12984 del 2006;

Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Sotto altro aspetto, va ulteriormente osservato che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non riporta nel ricorso il testo delle testimonianze dedotte nè il contenuto testuale dei documenti dianzi citati impedendo in tal modo a questa Corte, cui è inibito prendere visione degli atti processuali, di disporre degli elementi per poter valutare il fondamento della doglianza.

Pertanto il ricorso va rigettato.

Non si procede a liquidazione delle spese, non avendo l’intimato fallimento svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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