Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7206 del 15/03/2021
Cassazione civile sez. VI, 15/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 15/03/2021), n.7206
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16990-2019 proposto da:
M.I.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato GIOCONDI ARNALDO;
– ricorrente –
avverso la sentenza n. 451/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE dell’UMBRIA, depositata il 28/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI
RAFFAELE.
Fatto
RILEVATO
che il contribuente M.I.D. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR Umbria, di rigetto dell’appello proposto avverso una sentenza della CTP Terni, che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso, siccome notificato all’ufficio via PEC mediante la trasmissione di una scansione del ricorso priva di firma digitale;
Diritto
CONSIDERATO
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale il contribuente lamenta errata declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado e violazione D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 20, 21, 22 e 23, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 16-bis, art. 156 c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la CTR aveva errato nel non applicare alla fattispecie la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c., da ritenere espressione del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost.; invero il ricorso era stato redatto in forma cartacea ed analogica, completo di mandato e firma del difensore; esso era stato scannerizzato ed in tal forma notificato via PEC all’Agenzia delle entrate, mentre l’originale del ricorso era stato portato in CTP, dove il ricorso era stato iscritto a ruolo; e l’Agenzia delle entrate si era costituita, difendendosi nel merito e senza contestare la corrispondenza del ricorso da lui inviato a mezzo PEC con quello ricevuto, in tal modo essendosi incardinato il contraddittorio fra le parti; inoltre, all’ipotesi in esame, era applicabile il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 22, che riguarda l’ipotesi in cui venivano notificati via PEC documenti analogici, e non il citato D.Lgs., artt. 20 e 21, che riguardano la diversa ipotesi della validità ed efficacia probatoria di documenti informatici, redatti fin dall’inizio in forma informatica e mancanti del supporto cartaceo, atteso che solo per questi ultimi la mancanza della firma digitale costituiva un vizio insanabile;
che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;
che il ricorrente ha altresì presentato memoria illustrativa;
che l’unico motivo di ricorso proposto dal contribuente è infondato;
che, invero, la CTR ha applicato il principio più volte enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 14338 del 2017; Cass. n. 1275 del 2011), secondo cui la firma digitale è requisito indispensabile della validità dell’atto introduttivo del giudizio, qualora esso venga notificato a mezzo PEC, in quanto essa attiene alla stessa formazione dell’atto da notificare ed alla sua riconducibilità al soggetto che lo ha formato; correttamente pertanto la CTR, confermando la sentenza di primo grado, ha fatto derivare da detta carenza di firma digitale l’inesistenza dell’atto introduttivo del giudizio notificato a mezzo PEC;
che le argomentazioni svolte dal contribuente per ritenere applicabile alla specie la sanatoria, di cui all’art. 156 c.p.c., sono fondate su ricostruzioni fattuali che non hanno trovato riscontro nella sentenza impugnata; il contribuente ha invero sostenuto che l’atto introduttivo del giudizio sarebbe sorto inizialmente non come documento informatico, ma come atto cartaceo sottoscritto di proprio pugno dal difensore; che esso sarebbe stato poi scannerizzato ed in tal forma notificato via PEC all’Agenzia delle entrate, mentre l’originale del ricorso sarebbe stato portato in CTP, per l’iscrizione a ruolo del ricorso, si che la fattispecie avrebbe dovuto essere valutata ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 22 (codice dell’amministrazione digitale);
trattasi tuttavia di ricostruzione dei fatti inammissibilmente proposta per la prima volta nella presente sede di legittimità; inoltre, in applicazione del principio di autosufficienza, più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5043 del 2009; Cass. n. 13082 del 2011), il ricorrente era tenuto ad indicare a pena d’inammissibilità, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, gli atti processuali ed i documenti sui quali detta ricostruzione era fondata; il che il contribuente non ha fatto:
die, da quanto sopra, consegue il rigetto del ricorso del ricorrente, con sua condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;
che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso del contribuente e lo condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate in Euro 3.500,00, oltre agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021