Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7205 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.21/03/2017),  n. 7205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11147-2015 proposto da:

M.S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANGELO MOCCI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ORISTANO, depositata il

23/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. DI

VIRGILIO ROSA MARIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

Il Tribunale, col provvedimento indicato, ha respinto l’opposizione allo stato passivo proposta dal M., stante il rigetto della domanda di ammissione allo stato passivo del credito fatto valere dal M., membro del consiglio di amministrazione del Consorzio, dalla data della formale assunzione sino alla formale cessazione, quale lavoratore subordinato con mansioni dirigenziali.

Il Giudice del merito ha rilevato che il M. non aveva chiesto di provare il rapporto di lavoro con mezzi ammissibili e rilevanti e non aveva neppure allegato in maniera specifica i fatti, da cui, anche per effetto della non contestazione, sarebbe stato possibile provare il rapporto; ha ritenuto non determinante la formale qualificazione data dalle parti, ed ha evidenziato la mancata allegazione delle modalità di esecuzione delle attività, in forza delle quali ritenere provato il rapporto dirigenziale che, alla stregua del criterio della effettività, devono ritenersi prevalenti sull’assetto formale del rapporto come indici dell’inserimento della prestazione lavorativa nell’organizzazione dell’impresa.

Ricorre il M., con ricorso affidato ad un solo motivo.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Rileva quanto segue.

1.1. – Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo di avere provato documentalmente l’esercizio del rapporto dirigenziale (delibera n. 46 del 21/5/03, di attribuzione dell’incarico, con la predeterminazione della retribuzione con il riferimento al contratto dirigenti aziendali – settore di competenza consortile, degli obiettivi, dei compiti, del lavoro “a tempo pieno”; lettera di accettazione delle dimissioni, sottoscritta dal Pres. in adempimento del deliberato del cda; lettera di assunzione, avente mare natura di atto esecutivo del provvedimento collegiale adottato; busta paga del gennaio 2011; ricevuta della comunicazione obbligatoria; nota della fondazione Enpaia; nè il Fallimento aveva provato che il concreto atteggiarsi della prestazione non fosse in linea col nomen juris attribuito dalle parti.

2.1 – Il motivo è inammissibile, stante la non congruenza con quanto rilevato dal tribunale e posto a fondamento della decisione.

Il Giudice del merito ha infatti evidenziato la stessa carenza di allegazione in relazione alle concrete modalità di esercizio del dedotto rapporto dirigenziale e su tale aspetto nulla ha obiettato concretamente il ricorrente, limitandosi a ribadire di avere provato documentalmente il rapporto in oggetto.

Il ricorso è pertanto inammissibile; non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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