Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7202 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.21/03/2017),  n. 7202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23048-2015 proposto da:

PROGETTO CASA SRL, C.F. (OMISSIS), in persona del socio e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza Cavour, presso la Corte Suprema di Cassazione, rappresentata

e difesa dall’avvocato, ROSARIO CALI’, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 505/24/2015, emessa il 10/12/2014 della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO, depositata il

11/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che parte ricorrente, a seguito della notifica del decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, con la relativa proposta del relatore, ha depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR della Sicilia, con sentenza n. 505/24/15, depositata l’11 febbraio 2015, non notificata, rigettò l’appello proposto da Progetto Casa S.r.l., (di seguito società) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate-Direzione provinciale di Palermo, avverso la decisione della CTP di Palermo, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento col quale l’Ufficio aveva ripreso a tassazione ai fini Ires, Iva ed Irap, la quota di costi di pubblicità ritenuti non inerenti per l’anno 2007.

Avverso la sentenza della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto non applicabile la presunzione assoluta prevista dalla citata norma in termini di qualificazione, nel limite di 200.000,00 Euro, come spesa di pubblicità volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante del corrispettivo in denaro in favore di società o associazioni sportive dilettantistiche, in ragione del fatto che le società sportive beneficiarie delle sponsorizzazioni effettuate dalla società contribuente non erano risultate riconosciute dalle rispettive federazioni sportive, come, secondo la CTR, stabilito espressamente dalla citata legge.

Con il secondo motivo la ricorrente, in subordine, denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 108, comma 2, e art. 109, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alla ritenuta non inerenza dei relativi costi, atteso che a mezzo della produzione in atti del bilancio 2007, la società aveva dimostrato di svolgere anche attività di vendita diretta e non solo d’intermediazione, e che ai fini della deducibilità la normativa del TUIR citata prescinde da un giudizio di congruità delle spese in relazione al reddito prodotto, dovendo le stesse rapportarsi al volume complessivo di affari.

Il primo motivo è infondato, anche se va corretta in diritto la relativa motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., essendo conforme a diritto il dispositivo della pronuncia in questa sede impugnata.

Invero non rileva, ai fini dell’esclusione della presunzione di cui alla menzionata L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, l’iscrizione o meno alle rispettive federazioni delle società beneficiarie del corrispettivo in denaro erogato con le sponsorizzazioni, ma, per quanto qui interessa, la destinazione del contributo ad associazioni sportive o società che, secondo la citata norma, possano essere qualificate come ” dilettantistiche”.

E proprio in relazione a ciò è diretta la contestazione dell’Ufficio, nell’avviso di accertamento impugnato, quanto al disconoscimento della deducibilità delle spese, della mancata iscrizione al Registro del CONI delle Società/Associazioni sportive dilettantistiche, di entrambe le società beneficiarie dei contributi erogati per l’anno 2007 dalla contribuente.

Ora, se è vero che l’iscrizione presso detto registro è divenuta obbligatoria successivamente all’anno d’imposta cui si riferisce l’accertamento per le a.s.d. (associazioni sportive dilettantistiche) che vogliano essere riconosciute come tali ai fini fiscali, è altrettanto vero che il suddetto registro, in relazione a quanto previsto dal D.Lgs. n. 242 del 1999, art. 5, lett. c) e d) sul riordino del CONI, risulta istituito sin dal 2005.

A ciò consegue che la mancata iscrizione nel suddetto registro comporta il difetto di prova in capo alle beneficiarie dello status di società o associazione sportiva dilettantistica e quindi il difetto di prova in ordine ad uno dei requisiti in relazione ai quali la L. n. 289 del 2002, art. 90 cit., comma 8, consente, in via di presunzione legale assoluta, di ritenere applicabile ai contributi erogati, entro il limite sopra indicato, in favore di società o associazioni sportive dilettantistiche, la qualificazione di spese di pubblicità volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario.

Ugualmente è manifestamente infondato il secondo motivo.

Una volta esclusa la presunzione invocata dalla contribuente nel primo motivo alla stregua delle anzidette ragioni, la sentenza impugnata ha fatto applicazione corretta applicazione in materia dei principi espressi da questa Corte secondo cui, ai fini della deducibilità dei costi come spese di pubblicità, è onere del contribuente provare il requisito dell’inerenza, consistente non solo nella giustificazione della congruità dei costi rispetto ai ricavi ed all’oggetto sociale, ma soprattutto nella prova che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di un ritorno commerciale per l’impresa erogante (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, 16 settembre 2016, n. 18204; Cass. sez. 5, 23 marzo 2016, n. 5720; Cass. sez. 5, 30 dicembre 2014, n. 27842; Cass. sez. 5, 27 aprile 2012, n. 6548), ritenendo non provati i suddetti requisiti alla stregua della sola produzione del bilancio della contribuente relativo all’annualità in oggetto.

La proposta del relatore, in virtù delle considerazioni sopra espresse, trova pertanto piena condivisione da parte del collegio, osservandosi ulteriormente che il contenuto della memoria depositata in atti non coglie il punto saliente della controversia in esame, atteso che, diversamente da quanto ivi dedotto, alla stregua di quanto sopra osservato, non è esatta la premessa in fatto dell’argomentazione della ricorrente, secondo cui dallo stesso avviso di accertamento si ricaverebbe la natura delle due associazioni beneficiate dei contributi di sponsorizzazione come associazione sportive dilettantistiche, non risultandone, in assenza dell’iscrizione nell’apposto registro del CONI, aliunde provata detta natura, solo in presenza della quale parte ricorrente avrebbe potuto legittimamente invocare la presunzione assoluta di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, previa correzione in diritto dell’impugnata sentenza, e condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.600,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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