Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7201 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/03/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 30/03/2011), n.7201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI PRATO (OMISSIS), in persona del suo Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MONTECITORIO 115,

presso lo Studio dell’avvocato CLARICH MARCELLO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S. (OMISSIS), M.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LIMA 15, presso lo studio dell’avvocato

VERINO MARIO ETTORE, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CAMPAGNI FRANCO BRUNO, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

contro

COMUNE DI PRATO (OMISSIS), in persona del suo Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MONTECITORIO 115,

presso lo studio dell’avvocato CLARICH MARCELLO, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

-controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1114/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

12/05/09, depositata il 03/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito l’Avvocato Verino Mario Ettore, difensore dei controricorrenti

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARMELO SGROI che ha chiesto

il rinvio alla P.U..

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. E’ stata depositata in cancelleria il 26.5.2010 la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Firenze del 3 settembre 2009,che ha determinato l’indennità dovuta dal comune di Prato per l’espropriazione con decreto sindacale del 10 febbraio 1992, di un terreno di proprietà di M.S. e M. F. esteso mq. 190 (in catasto al fg. 80, part. 759), in Euro 10.450,00 e quella di occupazione temporanea in Euro 2.842,66.

Ciò perchè il terreno di natura edificabile costituiva un resede pertinenziale ad una casa di abitazione con annesso edificio,funzionalmente asservito ad essa,sia come spazio di accesso manovra e parcheggio, sia come verde residenziale, giardino o orto, a corredo ed arricchimento dell’intera proprietà,- per cui trattandosi di espropriazione parziale l’indennizzo andava determinato con il criterio della L. n. 2359 del 1865, art. 40, in funzione del suo valore pertinenziale pari ad Euro 55. mq.

2. Il comune di Prato ha proposto ricorso affidato a 4 motivi.

Appaiono pregiudiziali il primo,con il quale il comune deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e L. n. 865 del 1971, art. 16, si duole che la stima sia stata compiuta disapplicando questa normativa che per i terreni agricoli impone il ricorso ai valori agricoli medi di cui all’art. 16 della menzionata L. 865; ed il terzo, con il quale deducendo violazione anche dell’art. 40 della L. n. 2359 del 1865, lamenta che siano stati disattesi anche i presupposti richiesti dalla norma per l’applicazione del criterio di stima differenziale,nonchè la regola relativa alla valutazione delle aree latistanti e pertinenziali agli edifici, per la quale queste conservano la loro autonomia e devono essere stimate in base al consueto criterio fondato dalla loro destinazione legale.

3. il ricorso può essere esaminato in camera di consiglio ed essere accolto per manifesta fondatezza dei suddetti motivi,se sono condivise le considerazioni che seguono:la sentenza impugnata ha accertato (e la circostanza è divenuta definitiva) che il fondo espropriato era incluso in zona destinata dal locale P.R.G. “a viabilità” e perciò aveva destinazione legale non edificatoria (oltre a difettare anche delle possibilità effettive di edificazione).

Tanto imponeva l’applicazione dell’art. 5 bis, comma 4, per cui “per le aree che ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili si applicano le norme di cui al titolo 2^ della L. 22 ottobre 1971, n. 865”, – la quale dispone (art. 15 e 16) che l’indennità per le espropriazioni “delle aree agricole non è automaticamente pari al prezzo di mercato del fondo agricolo ed al suo valore venale, ma deve invece essere commisurata al suo valore agricolo: ossia al valore determinato (anche) sulla base del parametro costituito dal valore medio (cioè1 ottenuto sulla media dei valori concretamente individuati) da analoghe commissioni provinciali, nell’anno solare precedente al provvedimento ablativo, dei terreni ubicati nell’ambito della medesima regione agraria, nei quali erano praticate le stesse colture in opera nel fondo espropriato (Cass. 17934 e 17672/2009; 183414/2007; 4357/2003;

13473/2002; 3662/2001).

4. Detto criterio non poteva subire modifiche per l’attribuzione di fatto all’area, della funzione pertinenziale e servente rispetto alla casa di abitazione ed all’attiguo laboratorio (condivisa dalla sentenza impugnata); in quanto qualunque ne fosse la funzione doveva trovare applicazione il principio, tratto dall’art. 5 bis e ripetutamente enunciato da questa Corte che: “quando oggetto di espropriazione sia un edificio con area latistante, vanno adottati differenti criteri indennitari, atteso che il manufatto costituisce un’entità economica da apprezzarsi come bene autonomo, il cui valore deve essere considerato in aggiunta al valore del suolo, effettuando, ai sensi della L. 20 giugno 1865, n. 2359, art. 39, la liquidazione con riferimento al valore di mercato per l’edificio (comprensivo dell’area di sedime su cui esso insiste e che ne costituisce parte integrante), laddove, quanto all’area pertinenziale, la medesima liquidazione va effettuata con riguardo ai criteri previsti dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359 o dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, a seconda che tale area possieda autonome potenzialità di sfruttamento edificatorio oppure come area agricola se interessata da vincoli di in edificabilità: restando in ogni caso esclusa la possibilità di adottare un criterio indennitario unico, fondato sulla natura ed il valore della cosa principale” (Cass. 531/2008; 16980/2006; 7295/2005;

6091/2004).

5. Neppure poteva superarsene l’asserita incongruità con riguardo alla effettiva utilità dell’area nei confronti dell’intero compendio immobiliare,ricorrendo al criterio introdotto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40, per l’ipotesi di espropriazione parziale, in quanto nel fisso la sentenza impugnata non ha considerato: a) che il criterio dell’edificabilità legale vale a maggior ragione per la fattispecie di espropriazione parziale di cui al menzionato art. 40,in cui la valutazione prescritta dalla norma non può essere compiuta al lume della destinazione di fatto attribuita dal proprietario all’immobile prima e dopo l’espropriazione,ma unicamente considerando la destinazione legale attribuitagli dal P.R.G. che nel caso era, per quanto detto agricola; biche doveva pertanto trovare applicazione il principio che l’espropriazione parziale, per la quale l’indennità va determinata sulla base della differenza fra il valore dell’unico bene prima dell’espropriazione ed il valore della porzione residua, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione legale ed economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass. 17679/2010,- 2812/2006, – 17112/2004);

c) che solo al lume di siffatta destinazione deve accertarsi se si siano verificati i presupposti previsti dalla norma,postulanti,come è noto “non soltanto che l’espropriazione abbia suddiviso in almeno due parti il fondo, ma la duplice ulteriore condizione che la parte residua sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo (per destinazione ed ubicazione) tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale, e che il distacco di una parte di esso influisca oggettivamente in modo negativo sulla parte residua (Cass. 22409/2008; 3175/2008;

19170/2007, – sez. un. 9041/2008).

6. Restano assorbiti gli altri due motivi del ricorso.

2. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.

Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte mentre le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. – Il collegio, discussi gli atti delle parti, la soluzione prospettata nella relazione e gli argomenti che l’accompagnano ha condiviso gli uni e l’altra.

4. – Il primo e terzo motivo del ricorso sono conseguentemente accolti e tutti gli altri assorbiti, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Corte di appello di Firenze,che in diversa composizione provvederà alla determinazione delle indennità richieste dai proprietari, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il primo ed il terzo motivo del principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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