Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 720 del 15/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 720 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 21889-2012 proposto da:
GATTO COSIMO(GTTCSM41A02H2244 elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA LUDOVISI 36, presso lo studio degli avvocati
POLIMENI DOMENICO e COTRONEO ATTIMO, che lo
rappresentano e difendono, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587)

– intimato –

Data pubblicazione: 15/01/2014

avverso il decreto nel procedimento R.G. 1864/2011 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO dell’11.4.2012, depositato il
19/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN

udito per il ricorrente l’Avvocato Affilio Cotroneo che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IGNAZIO
PATRONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Ric. 2012 n. 21889 sez. M2 – ud. 04-10-2013
-2-

GIORGIO;

R.g. 21889/2012
Ritenuto in fatto
Cosimo Gatto, con ricorso depositato il 13 dicembre 2011, ha riassunto innanzi alla
Corte d’appello di Catanzaro, a seguito di pronuncia di questa Corte, la causa per equa
riparazione, ex legge n. 89 del 2001, da irragionevole durata di un processo instaurato
innanzi al Tribunale di Reggio Calabria con atto depositato il 2 febbraio 1995 e definito

Fissata in anni cinque la durata equa di detto processo, essa era stata ritenuta conforme
ai principi fissati dalla Corte EDU con la sentenza n. 12937 del 2011 di questa Corte,
restava da valutare se il tempo residuo impegnato nella conclusione del processo fosse da
considerare addebitabile al ricorrente e quale fosse la corretta liquidazione del danno,
avendo questa Corte, con la predetta sentenza, ritenuto non motivata la liquidazione
effettuata dal primo giudice nella misura di euro 3000,00.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha confermato la condanna del
Ministero della Giustizia al pagamento in favore del Gatto della predetta somma. Ha
rilevato il giudice di merito che il ritardo era addebitabile anche al ricorrente, che aveva
chiesto, o non si era opposto a richieste di rinvio, formulate in occasione di quattro
udienze, tutti peraltro contenuti in quattro mesi, cagionando un ritardo di dodici mesi,
cui erano da aggiungere altri sei mesi per un ulteriore rinvio richiesto per produzione
documentale. A ciò andava ancora aggiunto che il ricorrente aveva lasciato decorrere
l’intero termine lungo per proporre appello, cagionando così complessivamente un
ritardo di due anni e nove mesi, periodo che andava decurtato, in quanto addebitabile
all’istante, dalla complessiva durata del processo. Residuava, quindi, un arco temporale di
durata irragionevole del processo presupposto pari a tre anni, in relazione ai quali la
Corte di merito, pur valutando in euro 2250,00 quello che sarebbe stato il ristoro dovuto,
utilizzando il criterio della liquidazione nella misura di euro 750,00, per ognuno dei primi
tre anni di ritardo, ha escluso di poter modificare in peius l’importo già oggetto di
impugnazione, non avendo il Ministero della giustizia, in sede di prima impugnazione del
decreto innanzi a questa Corte, richiesto la modifica della liquidazione di euro 3000,00
già fissata.

con sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 29 ottobre 2005.

Per La cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il Gatto sulla base di tre motivi,
illustrati anche da successiva memoria.
Considerato in diritto
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 384
c.p.c. in relazione all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e all’art. 6 della CEDU, nonché agli

quale giudice di rinvio, avrebbe disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte
secondo il quale, ai fini dell’accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte
di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal
giudice istruttore, si deve distinguere, come impone l’art. 2, secondo comma della legge
n. 89 del 2001, tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro
evidente irragionevolezza e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e
propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione
del processo, propri del giudice istruttore, è necessario individuare la durata irragionevole
comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilità che la frequenza ed
ingiustificatezza delle istanze di differimento incida sulla valutazione del paterna indotto
dalla durata e conseguentemente sulla misura dell’indennizzo da riconoscere. Nella
specie, la Corte di merito avrebbe continuato ad addebitare alla parte alcuni rinvii
richiesti per esigenze difensive sul generico presupposto che la richiesta di tali rinvii
evidenziasse un intento dilatorio.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e

artt. 420, sesto comma, c.p.c. e 24 Cost. ed alla legge n. 533 del 1973. La Corte di merito,

controverso per il giudizio, non avendo la Corte di merito specificato quale sarebbe stata
la strategia dilatoria e come le richieste di rinvio avessero potuto impedire l’esercizio dei
poteri del giudice di direzione del processo.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati,
avendo la Corte di merito esaminato attentamente i diversi rinvii, e dato conto in modo
articolato delle ragioni dell’addebitabilità degli stessi all’attuale ricorrente, con particolare
riferimento, da un lato, alla reiterazione delle richieste di rinvio avanzate dall’istante
sempre per il medesimo incombente ed alla inottemperanza alle attività disposte,

LI

dall’altro, alla circostanza che i rinvii concessi sono stati sempre contenuti nell’ambito di
quattro mesi.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. in
relazione all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU. Anche con
riguardo ai criteri di liquidazione del danno, la Corte di merito avrebbe violato il
principio di diritto espresso da questa Corte, che aveva affermato che la liquidazione di

legittimità.
Anche tale censura è priva di fondamento.
Il giudice di merito ha fatto applicazione di un criterio indicato proprio dalla
giurisprudenza di legittimità, ed ha esaustivamente dato conto della ragione
dell’innalzamento dell’importo così ottenuto, da ravvisare nella esigenza di non operare
una modifica in peius della statuizione sul punto, non impugnata dal Ministero della
Giustizia.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle
spese del presente giudizio, non avendo il Ministero intimato svolto alcuna attività
difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta — II Civile della Corte
Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2013.

curo 3000,00 non appariva conforme a quella applicata in casi simili dalla stessa Corte di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA