Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 72 del 08/01/2010

Cassazione civile sez. III, 08/01/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 08/01/2010), n.72

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22300/2005 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA R. GRAZIOLI

LANTE 78, presso lo studio dell’avvocato DI NAPOLI Nicola, che la

rappresenta e difende in virtù di mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPDAP – Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti

dell’Amministrazione Pubblica in persona della Dott.ssa S.

G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 51,

presso lo studio dell’avvocato BRACCO Enrico, che lo rappresenta e

difende in virtù di delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.S., MA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2684/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Terza Civile, emessa il 10/06/2005, depositata il 12/07/2005;

R.G.N. 7064/7108/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Adito dall’INPDAP perchè fosse accertata la fondatezza della domanda volta ad ottenere la declaratoria di annullamento (o, in subordine, di risoluzione) del contratto di locazione stipulato con M. R., e di condanna al rilascio dell’immobile da parte dei suoi subconduttori Ma.Se. ed F.A., il giudice di primo grado respinse la domanda.

L’impugnazione proposta dall’istituto fu accolta dalla corte di appello di Roma, che annullò il contratto di locazione, condannando la convenuta (e per essa la F. e il Ma.) al rilascio dell’appartamento e dichiarando altresì inopponibile all’appellante la scrittura privata all’uopo intercorsa tra la M. ed il Ma..

La sentenza è stata impugnata da M.R. dinanzi a questa corte con ricorso sorretto da 5 motivi. Resiste con controricorso l’INPDAP. Le parti non hanno depositato memorie.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 31 c.p.c.); difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Il motivo – al di là della sua infondatezza nel merito, non risultando direttamente applicabile alla fattispecie la normativa (di cui al D.P.R. n. 1035 del 1972) in ipotesi generatrice del preteso difetto di giurisdizione, vertendosi, nella specie, in tema di locazione abitativa, regolata iure privatorum, non avente ad oggetto immobili rientranti nella categoria dell’edilizia residenziale pubblica e pertanto priva di qualsivoglia atto presupposto di concessione o assegnazione – è inammissibile in rito, essendo principio di diritto; recentemente e condivisibilmente affermato dalle sezioni unite di questa corte regolatrice, quello predicativo della legittima ravvisabilità di una decisione implicita sulla giurisdizione nella decisione sul merito, e della conseguente sua idoneità, come nella specie, alla formazione del giudicato implicito (Cass. SS.UU. 24883/08).

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 158 e 174 c.p.c., artt. 78 e 79 disp. att. c.p.c..

Il motivo è inammissibile.

Tutte le questioni in tema di astensione e di designazione di un nuovo relatore, difatti, se pur in ipotesi destinate a costituire vizio procedimentale, vanno tempestivamente sollevate in occasione della prima difesa utile, salvo che ad esser lamentato sia il vizio consistente nella redazione di un atto giudiziario compiuto da persona estranea all’ufficio ovvero non investita della funzione esercitata dall’ufficio (in tal caso restando integrato il vizio di nullità di cui all’art. 158 c.p.c.). Nella specie, il vizio lamentato integra gli estremi della mera irregolarità, come tale inidonea ad incidere sulla legittimità della costituzione dell’ufficio del giudice, giusta consolidato orientamento di questa corte regolatrice. La impredicabilità di qualsiasi quaestio nullitatis nel caso di specie osta, dunque, a che il vizio in procedendo così (infondatamente) lamentato possa ritenersi idoneo a convertirsi, in questa sede, in motivo di impugnazione.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 1444 c.c..

Lamenta la ricorrente una erronea interpretazione della norma dettata in tema di convalida negoziale, avuto riguardo al comportamento tenuto dal locatore in epoca successiva all’azione giudiziaria intrapresa nei confronti della M..

Il motivo non ha giuridico fondamento.

Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato, in proposito, dalla corte territoriale che ha condivisibilmente escluso – giusta il dato letterale della missiva inviata dall’istituto, recante la intestazione “ipotesi di vendita di unità immobiliare concessa in locazione ad uso abitativo” – la configurabilità di un effetto di convalida tacita con riguardo alla condotta dell’ente, rettamente configurata come meramente ricognitiva nell’ambito di una più vasta programmazione ed organizzazione della dismissione di alcuni plessi immobiliari di sua proprietà, specificando poi (f. 9 della sentenza impugnata), con riferimento alla missiva del luglio 2002 proveniente dall’ente concedente, trattarsi di una esplicita manifestazione di volontà dell’ente di sospendere ogni decisione in ordine al trasferimento della proprietà dell’immobile in attesa della definizione del giudizio di annullamento del contratto di locazione (e così correttamente escludendone ogni valenza di rinuncia agli atti del giudizio o di rinuncia all’azione).

E’ noto, difatti, come, in punto di interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della complessa vicenda negoziale per la quale è processo, una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice abbia costantemente rilevato che, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni normativi di interpretazione (sì come dettati dal legislatore all’art. 1362 c.c., e segg.) e la coerenza e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.P.R. n. 1035 del 1972, artt. 2 e 16; R.D. n. 1165 del 1938, art. 91, lett. d); L. n. 359 del 1992, art. 11.

Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 44 c.c. e art. 31 disp. att. c.p.c.; motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un punto decisivo della controversia.

Le doglianze, che possono essere congiuntamente esaminate attesane la intrinseca connessione, non sono fondate.

Va preliminarmente rilevata, come correttamente eccepito dall’istituto controricorrente, la inammissibilità del richiamo, di cui al folio 16 del ricorso, al documento proveniente dall’INPDAP (lettera raccomandata del 20.2.1997).

Nel merito, condivisibilmente la corte di appello discorre di novazione del rapporto di locazione in relazione ad un contratto di diritto privato ad uso abitativo stipulato ai sensi della L. n. 359 del 1992, ed alla luce dei criteri di cui al D.P.R. n. 1035 del 1972, desumendo da tale regime normativo l’obbligo di documentazione del proprio stato di residenza (o della propria attività lavorativa) in capo al conduttore, ed altrettanto correttamente accerta l’insussistenza di tale, imprescindibile condizione in capo alla M. (condizione imposta altresì dalla circolare del ministero del lavoro del 27.11.1992).

Pertanto le sollevate doglianze, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 3500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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