Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 72 del 03/01/2011

Cassazione civile sez. II, 03/01/2011, (ud. 27/10/2010, dep. 03/01/2011), n.72

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 11490/05) proposto da:

P.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Calabrò Matteo, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Pacelli

Alessandra in Roma alla v. Carlo Poma, n. 4/d;

– ricorrente –

contro

D.V.G., D.V.A., S.M.A. e

D.V.L.M., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. D’Asaro

Giacomo, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliati in Roma, p.zza del Fante

n. 2, presso lo studio dell’Avv. Palmeri Giovanni;

– controricorrenti –

nonchè

R.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1365/2004

depositata il 21 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27

ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. CARRATO Aldo;

udito l’Avv. D’Asaro Giacomo per i controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato tra l’11 e il 13 luglio 1992, il sig. P.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, i sigg. D.V.G., D.V.A. e R.S. esponendo: – che dopo aver accudito, per vari anni, i coniugi R.C. e G.L., questi ultimi, con due distinti testamenti olografi rispettivamente del (OMISSIS), lo avevano istituito legatario delle quote di rispettiva proprietà di una casa in (OMISSIS) con relativi terreno circostante e terrazzo soprastante, con l’onere di provvedere all’assistenza dei testatori e alle spese funerarie, onere effettivamente assolto da esso attore; – che, tuttavia, allorquando era deceduto in data 11 marzo 1989 il testatore R.C., nel rinvenire le due schede testamentarie (di cui lo stesso attore possedeva le fotocopie) era stato constatato che sulle stesse risultavano apposte alcune linee di penna biro scarabocchiate in senso trasversale, segni che – ad avviso dei sigg. D.V.G. e D.V.A. presenti al ritrovamento – volevano significare che era sopravvenuta la revoca delle disposizioni testamentarie; – che, a seguito del contrasto insorto con i predetti eredi, egli, in data 10 aprile 1989, aveva accettato da R.S. (fratello di C.) la somma di L. 120.000.000 “a titolo di ricompensa per l’attività di assistenza svolta nei confronti di quest’ultimo e della moglie G.L.” ed aveva accettato, altresì, di sottoscrivere una dichiarazione, predisposta dai predetti D.V.G. e D.V.A. con la quale riconosceva “non validi, inefficaci e revocati perchè non rispondenti alla volontà dei testatori” gli indicati testamenti e manifestava la volontà di non opporsi, quindi, alla pubblicazione del testamento olografo del 29 ottobre 1973; -che, successivamente a decesso di G.L. (avvenuto il (OMISSIS)), esso attore aveva cominciato a manifestare delle perplessità sul significato da attribuire ai segni trasversali apposti sulle due schede testamentarie, tanto più che gli eredi, dopo aver fatto pubblicare il testamento di R.C., non vi avevano dato esecuzione preferendo, poi, dare, invece, esecuzione al testamento olografo del (OMISSIS) di G.L.; tanto premesso, il sig. P. chiedeva dichiararsi la piena validità dei suddetti testamenti olografi e condannare i convenuti a rilasciare, in suo favore, l’immobile indicato nelle suddette schede, nonchè al risarcimento dei danni. Instauratasi la causa, si costituivano i convenuti D.V.G. e D.V.A. (che instavano per il rigetto della domanda) mentre R.S. rimaneva contumace.

Integrato il contraddittorio nei confronti dei coeredi S. A. e D.V.L., i quali si costituivano insistendo, anch’essi, per la reiezione della domanda attorea, il Tribunale adito, con sentenza del 28 settembre 1999, rigettava la domanda del P., sul presupposto della piena validità della transazione intervenuta il 10 aprile 1989, e condannava lo stesso attore al pagamento delle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dallo stesso P. G., la Corte di appello di Palermo, costituitisi gli appellati D.V.G., D.V.A., S.A. e D.V. L., nella contumacia di R.S., respingeva il gravame e, nel confermare la sentenza impugnata, condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riconosceva la correttezza del ragionamento logico del giudice di prime cure ritenendo che non potevano esservi dubbi sulla circostanza che tra il P. e gli eredi di R.C. era effettivamente intervenuta una transazione diretta a prevenire la lite sulla validità dei testamenti olografi con i quali era stato disposto il legato in favore dell’appellante (restando irrilevante che la relativa scrittura fosse stata sottoscritta dal solo P. e che la cosiddetta transazione fosse stata accettata soltanto da parte di alcuni degli eredi, senza, peraltro, che nella fattispecie si potesse invocare l’istituto dell’errore di diritto). Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il P.G., articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito con controricorso D.V. G., D.V.A., S.A. e D.V.L., mentre non risulta costituitosi nemmeno in questa fase R. S.. I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo complesso motivo il ricorrente ha inteso censurare la sentenza impugnata per assunta violazione e falsa applicazione degli artt. 458, 1421, 1321, 1326 e 1965 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della stessa decisione (in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

In sostanza, con tale motivo, peraltro articolato in modo non del tutto organico, il ricorrente ha contestato, avuto riguardo ai richiamati parametri normativi, la sentenza impugnata sotto plurimi aspetti, ovvero con riguardo: – alla mancanza dei requisiti di forma, per poter considerare intervenuta una transazione sulla base della scrittura del 10 aprile 1989; – al difetto dei requisiti di ordine sostanziale per la configurabilità, nel caso di specie, con riferimento alla suddetta scrittura, di una transazione tra le parti, non ricorrendo il presupposto delle reciproche concessioni; – alla mancata partecipazione al contratto di tutte le parti aventi interesse e che si riteneva dovessero necessariamente intervenire, tenendosi presente, altresì, la circostanza che, alla data di sottoscrizione della menzionata scrittura, la signora G. non era ancora deceduta e la sua successione non si era ancora aperta.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 1428 c.c., art. 1429 c.c., n. 4, e art. 1969 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, congiuntamente alla insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Con tale motivo il ricorrente ha, in effetti, inteso censurare la decisione impugnata sostenendone l’erroneità per la rilevata esclusione – sul presupposto che non si poteva considerare che fosse stata stipulata una transazione – dell’errore di diritto di cui all’art. 1429 c.c., n. 4, attesa la sussistenza dei requisiti di legge per disporre l’annullamento del negozio concluso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 684 c.c. e dell’art. 61 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, unitamente all’insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione oggetto di ricorso (avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento all’omesso esperimento di c.t.u. grafologica sulle schede testamentarie risultate successivamente inficiate da segni trasversali importanti la cancellazione del loro contenuto.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che, dovendo essere accolte nei gradi di merito le sue domande, i convenuti avrebbero dovuto essere condannati al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado.

5. Rileva il collegio che il primo motivo, che assume carattere preliminare nell’esame del ricorso, è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

La Corte di appello di Palermo, al fine di pervenire all’esatta qualificazione in termini giuridici del negozio concluso in data 10 aprile 1989, ha correttamente esaminato il suo contenuto nel quale risultava, incontestatamente, attestato, innanzitutto, che nell’abitazione del deceduto R.C. era stato rinvenuto un testamento olografo dello stesso, annullato e revocato da medesimo con delle cancellature, nonchè altro testamento della consorte del predetto R., G.L., anch’esso da ritenersi annullato e revocato per via di alcune cancellature, con i quali era stato disposto un legato in favore del P.G. delle rispettive quote di proprietà dei suddetti coniugi relativa all’abitazione di v. (OMISSIS), con l’onere, da parte dello stesso legatario, di provvedere all’assistenza del coniuge superstite e alle spese funerarie di entrambi i coniugi. Sulla base di tale premessa, la dichiarazione (con sottoscrizione del P. non disconosciuta e, perciò, da ritenersi implicitamente riconosciuta ed autentica) prosegue nel senso che, dopo aver consultato alcuni notai di fiducia ed al fine di rinunziare a qualsiasi contestazione presente e futura, con esclusione del compenso per l’assistenza prestata in favore dei due suddetti coniugi, il P., sulla base della disponibilità manifestata dal sig. R.S., fratello del “de cuius” R.C., di versargli forfettariamente l’importo di L. 120.000.000 per le anzidette causali (che gli veniva corrisposto contestualmente, come risultante documentalmente da separata dichiarazione sottoscritta dallo stesso P. G. e dal R.S.), accettava transattivamente e a saldo di quanto specificato la somma stessa, confermava di ritenere nulli e revocati i testamenti specificati in premessa, rinunziando a qualsiasi ulteriore contestazione (sul presupposto che gli stessi si dovessero considerare invalidi, inefficaci e revocati, perchè non rispondenti alla volontà dei testatori) e “dichiarando di essere interamente soddisfatto e di nulla avere a pretendere per qualsiasi altra causale, azione o ragione”.

Sulla scorta di tali indiscusse emergenze documentali, la Corte territoriale, con motivazione logica ed adeguata, oltre che rispondente ai canoni interpretativi relativi all’art. 1965 c.c., ha ritenuto che la suddetta scrittura, contenenti le riportate dichiarazioni del P., da valutarsi congiuntamente alla formale e coeva dichiarazione (sottoscritta dallo stesso ricorrente e dal R.S.) relativa alla ricezione del suddetto importo di L. 120.000.000, corrisposto per le specificate causali, integrasse gli estremi di una valida transazione, poichè, con la stessa, le parti avevano, regolando i rapporti alla stregua delle pattuite condizioni, inteso prevenire l’insorgenza di una lite sulla validità dei testamenti olografi con i quali era – come puntualizzato – stato disposto il legato in favore del medesimo ricorrente. Nè assume rilevanza (come correttamente rilevato dalla Corte di appello palermitana), ai fini dell’esatta qualificazione della convenzione in questione come transazione, la circostanza che con essa, quale concessione eseguita nell’interesse degli eredi dei coniugi R. C. e G.L. (al fine di scongiurare eventuali possibili controversie sulla validità delle schede testamentarie), fosse stata corrisposta la suddetta somma a titolo di ricompensa per l’assistenza prestata dal P. in favore dei medesimi coniugi, poichè, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1965 c.c., comma 2, le reciproche concessioni possono attenere anche a rapporti diversi da quello che forma oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. In altri termini, la Corte territoriale, applicando legittimamente i principi in materia di transazione (che, perciò, non possono ritenersi violati), ha coerentemente ritenuto che, nella specie, si fossero configurati i presupposti per ravvisare la sussistenza di tale contratto poichè, a fronte della rinunzia del P. a far valere le proprie eventuali pretese in relazione ai testamenti olografi rinvenuti dei due menzionati coniugi, egli aveva ricevuto l’indicata somma, dichiarando che, in virtù di tale adempimento, egli l’aveva accettata “transattivamente” e a saldo delle riportate causali, aggiungendo di essere interamente soddisfatto e “di non aver null’altro a pretendere per qualsiasi altra causale, azione e ragione”.

Conseguentemente, l’indagine compiuta dalla Corte di merito sicula nello stabilire l’oggetto ed i limiti della transazione, applicando la regola dell’art. 1363 c.c. e cioè interpretando le clausole dell’atto non singolarmente ma le une per mezzo delle altre e attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal loro complesso, in quanto sorretta da una motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto, costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile nella presente sede di legittimità (cfr. Cass. 28 maggio 2001, n. 7242).

Del resto, sul piano generale, è risaputo (v., da ultimo, Cass. 1 aprile 2010, n. 7999) che, affinchè una transazione sia validamente conclusa, è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una “res dubia”, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro (o anche meramente potenziale, nella prospettiva della possibile insorgenza di una controversia futura), i contraenti si facciano delle concessioni reciproche; peraltro, l’oggetto della transazione non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni. Il ricorrente ha anche contestato che potessero ricorrere le condizioni per la configurabilità della ritenuta transazione per difetto dei requisiti sostanziali di detto contratto (ponendo riferimento, ai riguardo, all’assunta violazione degli artt. 1321, 1326 e 1965 c.c.) in conseguenza della mancata partecipazione degli eredi del “de cuius” R.C. alla formazione e sottoscrizione della scrittura in questione, nella quale era, invece, intervenuto il germano del “de cuius” R.S., che aveva provveduto al versamento della predetta somma, prendendo atto della ricezione di essa da parte del P., sottoscrivendo la relativa dichiarazione. Anche tale prospettazione non è meritevole di adesione. Infatti, la circostanza che alla scrittura avente valore transattivo non presero parte direttamente gli eredi interessati del R.C. non può aver comportato l’inefficacia della stessa nei loro confronti, in quanto – secondo il condivisibile orientamento di questa Corte (v. Cass, 30 maggio 1977, n. 2216; Cass. 8 marzo 1983, n. 1730, e Cass. 12 novembre 1992, n. 12166) – nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta solo “ad probationem” (come la transazione), poichè la legge non prescrive la contestuale sottoscrizione delle parti contraenti, l’eventuale mancanza di sottoscrizione di una di esse può essere sostituita dalla inequivocabile manifestazione della volontà di avvalersi del negozio documentato nella scrittura incompleta e, in particolare, mediante l’avvenuta produzione di essa in giudizio o l’intervenuta accettazione della stessa fatta allo scopo di giovarsi dei suoi effetti negoziali, come è accaduto nella specie, in virtù dell’atteggiamento adottato in giudizio dai coeredi costituitisi (nei cui riguardi, perciò, la transazione ha prodotto la sua efficacia), che hanno inteso far valere tale convenzione (profittando della dazione compiuta dallo zio R.S., nel loro interesse, in favore del P.), siccome finalizzata ad evitare l’instaurazione di possibili controversie sui contestati testamenti olografi del R.C. (già deceduto all’atto della stipula del negozio transattivo) e della G.L. (che scomparve, poi, il 29 novembre 1991, anteriormente all’instaurazione della controversia radicatasi nel 1992, la cui successione, perciò, pur non essendosi aperta al momento dell’intervento del suddetto negozio, era stata presa in considerazione in vista delle possibili controversie che si sarebbero potute intraprendere in ordine al suo testamento, ove non superato da successive disposizioni ereditarie).

Del resto, per stipulare l’atto transattivo con il quale il P. riconosceva l’avvenuta revoca delle disposizioni testamentarie a suo favore non era necessaria la presenza di tutti i chiamati all’eredità, trattandosi di un atto che non aveva effetto costitutivo o traslativo di diritti ma, soltanto, di un atto ricognitivo e dichiarativo che produceva effetti nei confronti di tutti i possibili interessati all’eredità, i quali, come detto, hanno manifestato, con il loro comportamento univoco e concludente concretizzatosi in giudizio, la volontà di volersi avvalere degli effetti dell’accordo transattivo. Inoltre, deve ancora ribadirsi (cfr., per riferimenti, Cass. 6 maggio 2003, n. 6861) che, affinchè un negozio possa essere considerato transattivo è necessario, da un lato, che esso abbia ad oggetto una “res dubia”, e cioè inerisca un rapporto giuridico che appaia, secondo l’avviso delle parti, incerto, e, dall’altro lato, che, nell’intenzione di provocare la cessazione della situazione di contrasto e di dubbio, tra loro intervenuta (nella prospettiva di prevenire una possibile controversia tra le stesse), i contraenti si facciano delle concessioni reciproche, il cui contenuto può essere il più vario e può consistere anche nella rinuncia ad un diritto, cui corrisponda l’assunzione di un obbligo nei confronti di un terzo che agisca per conto degli effettivi controinteressati, che, poi, manifestino inequivocamente la loro volontà di ratificare l’operato di detto terzo, profittando degli effetti favorevoli da esso scaturiti.

6. Anche il secondo motivo, come precedentemente riportato, è destituito di fondamento e deve, perciò, essere respinto.

Infatti, la Corte di appello di Palermo ha fatto corretta applicazione del principio di diritto (cfr. Cass. 3 aprile 2003, n. 5141, e Cass. 2 agosto 2007, n. 17015) in base al quale, ai sensi dell’art. 1969 c.c. (propriamente applicabile in tema di contratto di transazione, accertato come configuratosi nel caso in esame), è rilevante il solo errore di diritto sulla situazione costituente presupposto della “res controversa” (e, quindi, antecedente logico della transazione) e non quello che cade su una questione che sia stata oggetto di controversia (o che avrebbe potuto formare oggetto di controversia, come nella specie). Pertanto, esclusa la condizione per l’applicabilità del richiamato art. 1969 c.c. in base alla rilevata sussistenza della transazione, il motivo in questione viene privato del suo presupposto giustificativo, con la conseguenza che appare inconferente il riferimento alla norma generale di cui all’art. 1429 c.c., n. 4, secondo la quale, oltretutto, l’annullabilità del contratto per errore di diritto ricorre quando il consenso di una parte sia determinato da falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma giuridica, imperativa o dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall’altro contraente con l’uso della normale diligenza.

Inoltre, la stessa Corte territoriale ha, con motivazione esaustiva e logicamente corrispondente alle risultanze processuali fattuali, escluso che, nella fattispecie, il P. potesse essere incorso in errore poichè era rimasto accertato, per un verso, che le linee trasversali che tagliavano i fogli su cui erano scritte le disposizioni testamentarie evidenziavano, senza alcun dubbio, la sopravvenuta volontà del testatore di cancellare del tutto il testamento olografo (non potendo ad esse attribuirsi alcun altro significato logico e coerente, tenuto conto, peraltro, del disposto dell’art. 648 c.c.) e, per altro verso, lo stesso ricorrente (precedentemente appellante) non aveva offerto la minima prova sulla ipotizzata circostanza che la cancellazione potesse essere ascritta a persona diversa da testatore.

7. Anche il terzo motivo come sopra riportato si prospetta infondato e, quindi, non è meritevole di accoglimento.

Si deve, al riguardo, innanzitutto ricordare (v. Cass. 9 dicembre 1996, n. 10938, e Cass. 9 maggio 2002, n. 6641) che la mancata nomina di un consulente tecnico di ufficio, regolarmente sollecitata dalla parte, è censurabile in cassazione sotto il profilo della omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia quando la consulenza sia l’unico possibile mezzo di accertamento di un fatto determinante per la decisione, a condizione, in ogni caso, che sussistano i presupposti per disporla e che, inoltre, l’esito dell’accertamento peritale sia idoneo ad incidere sulla risoluzione della controversia. In modo ancora più pregnante la giurisprudenza di questa Corte (cfr, per tutte, Cass. 27 ottobre 2004, n. 20814) ha ritenuto che il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice de merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, con la conseguenza che quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo.

Orbene, valorizzando tale orientamento, il collegio rileva che la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato (con ciò escludendosi i vizi in proposito dedotti dal ricorrente) sulla non indispensabilità (e, quindi, sulla sostanziale inutilità) dell’esecuzione della invocata perizia grafica (e, perciò, sull’insussistenza dei presupposti per l’esercizio, a monte, del potere conferitole dall’art. 61 c.p.c.) relativamente alle due schede testamentarie risultate inficiate da plurime cancellature trasversali, avendo coerentemente ritenuto che con l’eventuale c.t.u.

grafologica sarebbe stato, tutt’al più, possibile accertare che le predette linee inserite in sovrapposizione rispetto al testo delle suddette schede erano state apposte con penna diversa o in tempi successivi rispetto alla redazione delle stesse, senza che, tuttavia, da ciò si fosse potuta inferire la circostanza che la cancellazione (che – si ricorda – era risultata consistente nella mera apposizione di linee trasversali, senza l’aggiunta di parole o altri segni in ipotesi ricostruibili sul piano dell’imputabilità grafologica) era stata apportata ad opera di terzi, essendo apparso certamente più coerente con il quadro probatorio processuale acquisito inferire che erano stati i medesimi testatori ad aver maturato la decisione di cancellare i testamenti in tempi successivi alla loro originaria stesura.

8. Il quarto ed ultimo motivo prospettato dal ricorrente è palesemente infondato, dal momento che, essendo stato il suo appello rigettato con la conferma della sentenza impugnata di primo grado, la Corte territoriale ha ritualmente applicato il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., condannando lo stesso P. al pagamento delle spese del grado di appello, lasciando ferma la statuizione, altrettanto condannatoria, adottata all’esito del giudizio di prime cure, in cui il medesimo era risultato altrettanto soccombente.

9. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato “in toto” con conseguente condanna del ricorrente, in quanto soccombente anche in questa fase, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, che sì liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 27 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011

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