Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7199 del 22/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2018, (ud. 05/10/2017, dep.22/03/2018),  n. 7199

Fatto

1. Con sentenza pubblicata in data 11 maggio 2012 la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’appello principale proposto da Intesa San Paolo Spa e l’appello incidentale di R.A., confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’inammissibilità sia del ricorso formulato dalla società sia della domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto.

La Corte territoriale, considerato che, nei rispettivi atti introduttivi, entrambe le parti in causa avevano chiesto l’accertamento dei compensi spettanti all’Avv. R. per l’attività professionale resa in favore di Intesa San Paolo nel periodo dal 2001 al 2005, ha preliminarmente ritenuto la competenza funzionale del giudice del lavoro sulla domanda principale che prospettava un rapporto con i caratteri sintomatici della parasubordinazione, con conseguente attrazione ex art. 36 c.p.c. della domanda riconvenzionale avanzata dal R..

Ha rilevato poi che ciascuna delle parti, pur facendo esplicito riferimento ai due atti che avevano disciplinato i loro rapporti nel periodo oggetto del giudizio, e cioè una dichiarazione del R. datata 26.11.2001 ed il contratto di prestazione professionale sottoscritto il 29.5.2002, ne avrebbe valorizzato uno solo, “ignorando volutamente la portata dell’altro”.

La Corte ha dunque argomentato: “Sanpaolo Imi Spa, che ha chiesto accertarsi nella misura di Euro 41.900,00 i compensi spettanti al R. per il periodo oggetto del giudizio, ha indicato per categorie i giudizi affidati alle cure del R. ed ha allegato al ricorso un prospetto in cui sono indicate le parti in causa, l’oggetto dei giudizi, le somme pattuite e quelle spettanti, ma non le date di conferimento degli incarichi nè le caratteristiche degli incarichi conferiti”; parimenti – secondo la stessa Corte -“il R., che nella memoria di costituzione di primo grado ha descritto, uno per uno, i 74 giudizi in relazione ai quali chiedeva il compenso, si è limitato ad indicarne l’oggetto e le attività difensive svolte, ma non ha collocato temporalmente gli incarichi suindicati, nè ha specificato la tipologia di tali incarichi”.

Ha concluso pertanto che correttamente il primo giudice aveva dichiarato l’inammissibilità delle rispettive domande “non essendo in grado di individuare, alla luce di quanto risultante dagli stessi atti introduttivi, il thema decidendum delle pretese azionate”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in via principale Intesa Sanpaolo Spa con due motivi. Ha resistito con controricorso R.A. formulando altresì ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi. A quest’ultimo ha resistito la società con successivo controricorso.

Il R. ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c., mentre quella della Banca è pervenuta fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato l’inammissibilità del ricorso introduttivo assumendo che i rilievi esposti dalla Corte napoletana attengono “al merito del giudizio, e non alla validità del ricorso, nel quale sono fissati chiaramente il petitum sostanziale e le ragioni di fatto e di diritto della domanda. Si richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda vanno individuati attraverso un esame complessivo dell’atto e della documentazione prodotta nonchè il principio di diritto in base al quale nel rito del lavoro la nullità del ricorso introduttivo è ravvisabile solo ove risulti impossibile l’individuazione esatta della pretesa del ricorrente ed il resistente non possa apprestare compiuta difesa.

Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 157,164 e 414 c.p.c., atteso che, ove davvero ricorressero le carenze denunciate dai giudici di primo e secondo grado, si sarebbe dovuto prendere atto che alcuna eccezione era stata formulata dal convenuto, sanandosi così il vizio, o comunque sarebbe stato necessario fissare un termine per l’integrazione del ricorso, come sancito da Cass. SS.UU. n. 11353 del 2004.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale del R. si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 409 c.p.c. in ordine alla competenza funzionale del giudice del lavoro affermata sul rapporto dedotto in giudizio; si lamenta altresì violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. per omesso esame delle deduzioni dell’esponente circa la non applicazione dell’art. 409 c.p.c.; tanto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 3.

Con il secondo mezzo di ricorso incidentale, espressamente formulato in via subordinata nel caso in cui dovesse ritenersi il giudice del lavoro “competente ai fini del giudizio che ci occupa”, si denuncia falsa applicazione degli artt. 164 e/o 414 e/o 416 c.p.c. nonchè violazione e/o falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24 nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la nullità della domanda riconvenzionale avanzata dal R. in primo grado. Si rammenta che nella memoria difensiva di costituzione, a sostegno di tale riconvenzionale, era contenuta una analitica descrizione dei procedimenti giudiziari, con riferimento anche alla documentazione prodotta, rispetto ai quali l’avvocato aveva avanzato le proprie pretese. Si deduce che la Banca non aveva neanche contestato la documentazione versata in atti comprovante l’effettivo compimento delle attività descritte, nè aveva contestato la quantificazione degli importi rivendicati riferiti all’applicazione dei minimi tariffari.

3. Per vincolo di pregiudizialità deve essere esaminato preliminarmente il primo motivo del ricorso incidentale del R. con cui si ribadisce l’eccezione, proposta e coltivata nei precedenti gradi di giudizio, di incompetenza funzionale del giudice del lavoro, sostenendo che la condizione dell’avvocato deducente era quella di un professionista che, già titolare del proprio studio e con propri clienti, aveva ricevuto dal Banco di Napoli incarichi difensivi in numero progressivamente crescente e che aveva svolto in totale autonomia, pur in necessario contatto con gli uffici della Banca stessa, per cui un siffatto rapporto non potrebbe farsi rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 409 c.p.c., n. 3.

Il motivo non può trovare accoglimento perchè, come risulta dalla memoria di costituzione del R. in primo grado, questi aveva eccepito l’incompetenza funzionale del giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, con richiesta di rimessione degli atti al Presidente del medesimo Tribunale per l’assegnazione dell’affare alla sezione civile ordinaria, con i provvedimenti previsti al fine del mutamento del rito dall’art. 427 c.p.c..

Come noto la distribuzione degli affari all’interno del medesimo ufficio giudiziario non pone un problema di competenza, non essendovi possibilità di scelta tra due giudici diversi appartenenti ad uffici giudiziari diversi astrattamente competenti a giudicare la controversia, con conseguente inammissibilità anche del regolamento di competenza sulla relativa questione (per tutte v. Cass. n. 4889 del 2001).

Si è così ribadito che la natura della controversia di lavoro è idonea ad influire solo sul rito applicabile e non sulla competenza, con la conseguenza altresì che ove il giudice di merito abbia valutato la ricorrenza delle condizioni in fatto per la riconducibilità della controversia nell’ambito dell’art. 409 c.p.c., n. 3, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si eccepisca l’incompetenza per materia del giudice adito, traducendosi nella richiesta di una diversa valutazione in fatto contrapposta a quella operata nella sentenza impugnata (Cass. n. 189 del 2011; in argomento v. pure Cass. n. 12753 del 2003).

La violazione della disciplina sul rito assume tuttavia rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942 del 2008; Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n. 22325 del 2014; Cass. n. 1448 del 2015).

Perchè essa assuma rilevanza invalidante occorre infatti che la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso. Ciò perchè l’individuazione del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma soltanto nella sua idoneità ad incidere apprezzabilmente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali della parte.

Il R. invece non deduce alcuno specifico e concreto pregiudizio che sarebbe derivato dal fatto che il giudizio sia stato trattato nelle forme del rito speciale, con una concezione del processo volta a ricollegare il danno processuale alla mera irregolarità, concezione avulsa dai parametri, oggi recepiti anche in ambito costituzionale e sovranazionale, di effettività, funzionalità e celerità dei modelli procedurali (da ultimo v. Cass. n. 4506 del 2016).

4. Invece devono essere accolti il ricorso principale, nella congiunta trattazione dei suoi motivi connessi, ed il secondo motivo del ricorso incidentale, in quanto gli stessi fondatamente censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’inammissibilità sia del ricorso introduttivo della società sia della domanda riconvenzionale dell’avvocato R..

Vale premettere che secondo le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 8077 del 2012; in precedenza v. sul ricorso in materia di lavoro Cass. n. 15817 del 2004) allorquando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che si sostanzi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (nella specie nel ricorso e nel controricorso sono contenuti gli atti relativi al ricorso ed alla memoria difensiva di costituzione contenente la domanda riconvenzionale).

Tanto premesso il Collegio, quale giudice del fatto processuale, rammenta che questa Corte ha più volte affermato che nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non è sufficiente l’omessa indicazione in modo formale dell’oggetto della domanda e degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui la stessa si fonda, essendo invece necessario che sia omesso o del tutto incerto il petitum sotto il profilo sostanziale e processuale, nel senso che non ne sia possibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto (Cass. n. 6610 del 2017 da ultimo; ex plurimis: Cass. n. 4296 del 1998; Cass. n. 14134 del 1999; Cass. n. 820 del 2007; Cass. n. 3126 del 2011).

Si è talvolta anche precisato che non può aversi nullità tutte le volte in cui sia comunque possibile l’individuazione di tali elementi attraverso l’esame complessivo dell’atto ed i riferimenti anche ai documenti contenuti nella domanda introduttiva (Cass. n. 3269 del 1995; n. 817 del 1999; Cass. n. 10154 del 2001; Cass. n. 12059 del 2003; Cass. n. 18930 del 2004).

Ciò posto si rileva nel presente giudizio che, sia la domanda attorea che la riconvenzionale del contenuto, afferenti la determinazione di compensi nell’ambito del rapporto di collaborazione instaurato tra l’Avv. R. e la Banca, non era omesso o del tutto incerto il petitum sotto il profilo sostanziale e processuale, in relazione agli elementi di fatto ed alle ragioni di diritto che lo supportavano, risultando adeguatamente specificati i singoli incarichi professionali su cui era controverso il compenso ed i titoli delle pretese, oltre alla quantificazione delle somme richieste.

Non è certo idonea ad invalidare la domanda in modo così radicale da determinarne la nullità meritevole di una preclusione in rito senza esaminare il merito della questione la carenza di dettaglio temporale e cronologico di ciascun incarico in contesa, come argomentato dai giudici di merito; una tale insufficienza, peraltro facilmente colmabile in sede di accertamento, non era certo in grado di compromettere la possibilità di individuare con precisione i fatti e gli elementi di diritto posti a fondamento della domanda, potendo eventualmente incidere sulla fondatezza di merito della pretesa (cfr. Cass. n. 1629 del 2009) ma non era certo idonea a pregiudicare l’altrui diritto di difesa e la comprensione del thema decidendum.

Occorre anche aggiungere che laddove il primo giudice, nonostante non fosse stata reciprocamente sollevata eccezione di nullità da alcuno dei due contraddittori, avesse ritenuto tale descrizione temporale indispensabile, era operante il principio di diritto espresso dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui: “nel rito del lavoro il ricorrente deve – analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell’art. 163 c.p.c., n. 4, – indicare ex art. 414 c.p.c., n. 4, nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda. In caso di mancata specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però sanabile ex art. 164 c.p.c., comma 5 (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto ex art. 157 c.p.c., del vizio dell’atto, comprovano l’avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156 c.p.c., comma 2” (Cass. SS.UU. n. 11353 del 2004; conformi: Cass. n. 19900 del 2005; Cass. n. 6154 del 2006; Cass. n. 13878 del 2007; Cass. n. 4557 del 2009).

Pertanto, nella specie, in mancanza di fissazione del termine perentorio da parte del giudice di primo grado, per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda, nonchè in difetto di tempestiva eccezione di nullità da parte di entrambi i convenuti rispetto alla domanda avversa, risulta comprovata l’avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156 c.p.c., comma 2.

5. Conclusivamente il ricorso principale ed il ricorso incidentale nel solo suo secondo motivo vanno accolti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo affinchè, superata la preclusione in rito, decida nel merito le impugnazioni.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il primo motivo dello stesso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2018

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