Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7199 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13201/2019 r.g. proposto da:

G.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Andrea

Petracci, presso il cui studio elettivamente domicilia in Macerata,

alla via Mameli n. 66;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA depositato il 16/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. G.M. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il “decreto” del Tribunale di Ancona del 16 marzo 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne carente di credibilità il suo racconto e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – Nullità della sentenza per motivazione erronea ed apparente sulla credibilità del richiedente la protezione internazionale – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b), e c), comma 5 e art. 5 – D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 – Omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione”, censurandosi la argomentazioni con cui il tribunale anconetano aveva ritenuto inattendibile il racconto del richiedente protezione;

II) “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – Nullità dell’ordinanza per motivazione errata e contraddittoria sulla situazione del Paese di provenienza del ricorrente – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”, criticandosi le conclusioni cui il medesimo tribunale era giunto quanto alla effettiva situazione del Paese di provenienza del G.;

III) “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – Nullità dell’ordinanza per motivazione errata ed apparente – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 14, lett. a), b) e c)”, contestandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

IV) “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e art. 19, comma 2 – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18 – Omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione”, in ordine alla ritenuta insussistenza dei requisiti per l’autorizzazione al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.1. Tutte le descritte doglianze – pure a volerne sottacere i profili di inammissibilità perchè prospettanti, genericamente e cumulativamente, vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014) – sono scrutinabili congiuntamente, perchè evidentemente connesse, e si rivelano complessivamente immeritevoli di accoglimento.

2.2. Nella specie, invero, il tribunale anconetano, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha considerato “carente di credibilità” la narrazione dell’odierno ricorrente, che aveva sostenuto di aver lasciato il proprio Paese (Nigeria) dopo che, accusato di non dire la verità in ordine all’episodio che aveva causato la morte accidentale di un operaio nello stesso cantiere dove anche lui aveva iniziato a lavorare dopo la morte del padre provocata dalla polizia locale nel corso della repressione di una manifestazione di protesta dell’I.P.O.B., era venuto a sapere che “l’ingegnere” che gli aveva proposto quel lavoro era stato ucciso (quel giudice ha rilevato che “il richiedente non è stato in grado di circostanziare la vicenda (nomi, tempo, luogo), peraltro su fatti essenziali e determinanti l’espatrio; sul punto, i timori legati al rientro sono privi di dettaglio, considerando che non vi sono episodi violenti oppure minacce che avrebbe ricevuto il richiedente dalla famiglia della vittima; peraltro, non risulta che la polizia lo abbia detenuto o abbia avviato nei suoi confronti un procedimento penale oppure ancora abbia rivolto qualche accusa nei suoi confronti…”. Cfr. pag. 2 del decreto impugnato), ed ha motivatamente escluso, menzionando le specifiche fonti internazionali consultate (cfr. amplius, pag. 2-3 del medesimo decreto), che la zona di provenienza (Nigeria del Sud-Est, Stato di Enugu) di quest’ultimo sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con le sentenze cd. Elgafaji e Diakitè), pur essendosi dato atto dell’esistenza di episodi di violenza (attacchi a scopo di rapina) da parte di appartenenti ai diversi culti. Ha parimenti negato, alla stregua delle medesime fonti, la sussistenza dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

2.3. Questa Suprema Corte, poi, ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi, da un lato, che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità del racconto dell’odierno ricorrente presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; dall’altro, che, quanto alle censure proposte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nemmeno risultano osservati gli specifici oneri di allegazione previsti, in proposito, dall’appena citata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte. Infine, non vengono riprodotte nei motivi di ricorso le asserite dichiarazioni del ricorrente di cui sarebbe stato omesso l’esame, così impedendosi a questa Corte di valutarne la decisività; in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) del medesimo Decreto, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

2.3.1. A tanto deve soltanto aggiungersi, da un lato, che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiasi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

2.4. In relazione alla invocata protezione umanitaria (alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), inoltre, la censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità non rilevata dal giudice di merito (il quale ha espressamente esaminato la dedotta situazione di salute del ricorrente, affetto dalla Febbre di Lassa, ma ha evidenziato, indicando le fonti del proprio convincimento, che “il sistema sanitario nigeriano si è già efficacemente organizzato per contrastare e limitare i contagi”. Cfr. pag. 8 del decreto impugnato): vulnerabilità che deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti. Il tribunale, inoltre, ha altresì specificato, quanto al dedotto sfruttamento lavorativo al danni del richiedente protezione avvenuto sul territorio nazionale, che “dalle copie dei giornali in atti emergerebbe il coinvolgimento della polizia giudiziaria e, pertanto, l’avvio di indagini che potrebbero giustificare altre forme di permesso, la cui proposta o il cui parere è comunque di competenza dell’Ufficio della Procura della Repubblica. Nel caso in oggetto, siffatta richiesta non è presente al momento, con la conseguenza che non è possibile disporre il rilascio di forme di permesso tipizzate, ciò tuttavia non esclude che possa essere disposto in futuro direttamente dal Questore, al ricorrere delle condizioni previste dalla legge” (cfr. pag. 8 del decreto impugnato).

2.5. In definitiva, quanto oggi esposto da G.M., argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettate come vizio di motivazionale e/o di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, anche in relazione alla invocata diversità della zona di sua provenienza, una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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