Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7193 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9238/2019 r.g. proposto da:

H.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Paolo Paciaroni, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Macerata, alla Piazza della Vittoria n. 1;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA depositato il 13/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. H.M. ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, avverso il “decreto” del Tribunale di Ancona del 13 febbraio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne non credibili le dichiarazioni del richiedente protezione, e, comunque che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: Violazione e falsa applicazione della legge ed omessa esame circa un fatto decisivo: del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 – Vizio di motivazione”, per avere il Tribunale di Ancona totalmente omesso di pronunciarsi sull’eccezione, proposta in via preliminare dal ricorrente, in ordine al fatto che la commissione territoriale “si era semplicemente limitata a tradurre nelle cd. lingue veicolari solo “il dispositivo” della propria decisione negativa e “le modalità dell’impugnazione”, ma non anche la sottesa motivazione (che avrebbe, invece, consentito all’odierno ricorrente di comprendere in toto i reali motivi del diniego), nella lingua madre del ricorrente o almeno in una lingua a lui conosciuta, quando, invece, in sede di audizione personale innanzi alla predetta commissione, si era reso necessario l’ausilio di un interprete che aveva provveduto a tradurre l’intero contenuto dell’audizione in “(OMISSIS)””. Ciò avrebbe compromesso il suo diritto di difesa così, compromettendo il diritto di difesa del ricorrente;

II) “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: Violazione e falsa applicazione della legge ed omessa esame circa un fatto decisivo: art. 1A della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata con la L. n. 95 del 1970, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e Direttiva 2005/85/CE – Vizio di motivazione”, per avere il menzionato tribunale escluso la sussistenza dei presupposti giustificanti il riconoscimento dello status di rifugiato ed il diritto alla protezione internazionale per difetto delle condizioni previste dall’art. 1A della Convenzione di Ginevra sulla scorta dei fatti allegati dal ricorrente, mentre avrebbe dovuto tener conto, oltre che alla specifica situazione personale di H.M., anche della notoria situazione di instabilità socio-politico-religiosa del paese di provenienza;

III) “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: Violazione e falsa applicazione della legge ed omesso esame circa un fatto decisivo: del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a)-b) – Vizio di motivazione”, per avere quel tribunale negato la sussistenza dei presupposti giustificanti la protezione sussidiaria unicamente sulla base di quanto dichiarato dal cittadino straniero riguardo ai motivi che lo hanno spinto a lasciare il Bangladesh, senza accertare la dedotta sussistenza di una situazione di instabilità socio-politica e di violenza indiscriminata nel Paese;

IV) “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: Violazione e falsa applicazione della legge ed omesso esame circa un fatto decisivo: del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, art. 6, comma 2 e art. 14, lett. c) – Vizio di motivazione”, per avere il giudice di merito ritenuto che il richiedente potesse attingere alla tutela offerta dal suo Paese, senza accertare l’effettività della tutela offerta dalle forze dell’ordine in Bangladesh;

V) “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Violazione e falsa applicazione della legge: del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, c-ter – Regolamento di Attuazione – Vizio di motivazione”, per avere il predetto tribunale escluso la sussistenza dei presupposti giustificanti la protezione gradata per motivi umanitari con decisione contraria al consolidato ed unanime orientamento giurisprudenziale circa la situazione dei diritti in Bangladesh e con particolare riferimento alla compressione di quelli fondamentali”.

2.1. Il primo motivo è insuscettibile di accoglimento per la decisiva considerazione che, come già ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l’eventuale nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale in tema di protezione internazionale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento, poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (cfr. Cass. n. 17318 del 2019; Cass. n. 18632 del 2014; Cass. n. 26480 del 2011).

2.2. Questa Corte, inoltre, ha già avuto occasione di dichiarare “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4 (vigente ratione temporis), D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 e art. 702-bis c.p.c., nonchè della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, in relazione agli artt. 3,24 e 10 Cost. ed all’art. 6 Cedu, per le diverse conseguenze derivanti dalla mancata traduzione del provvedimento della Commissione territoriale rispetto a quelle derivanti dalla mancata traduzione del decreto di espulsione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, poichè, nel primo caso, il disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, D.Lgs. n. 25 del 2008, oggi art. 35-bis – che richiede una statuizione di merito in ordine alla spettanza o meno del diritto alla protezione internazionale, senza prevedere una decisione di mero annullamento del provvedimento negativo della Commissione territoriale – si giustifica poichè la rimozione di tale atto non è idonea ad incidere sulla situazione giuridica sostanziale del richiedente protezione, mentre, nel secondo caso, l’annullamento del provvedimento di espulsione di per sè ripristina il diritto sostanziale dell’espellendo illegittimamente inciso, così realizzando il suo interesse protetto ponendo termine al processo” (cfr. Cass. 30105 del 2018, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 17318 del 2019).

3. Tutti gli altri motivi – pure a volerne sottacere i profili di inammissibilità perchè prospettanti, genericamente e cumulativamente, vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014) sono scrutinabili congiuntamente, perchè evidentemente connessi, e si rivelano complessivamente immeritevoli di accoglimento.

3.1. Giova premettere che il tribunale a quo: i) ha giudicato inattendibile il racconto di H.M. (che aveva riferito di aver abbondonato il Bangladesh per le minacce ricevute dopo aver denunciato l’avvenuta uccisione del suocero, da parte di alcuni vicini, per ragioni legate alla proprietà dei terreni), perchè quest’ultimo “non è stato in grado di circostanziare la vicenda su fatti essenziali e determinanti l’espatrio: l’esistenza della denunda a suo carico, l’appartenenza al partito politico ei presunti aggressori”, mentre i documenti da lui prodotti sono stati ritenuti “non risolutivi, in quanto non attestano la dinamica dell’evento, peraltro oggetto di diverse versioni da parte del migrante” (cfr. pag. 2 del decreto impugnato); ii) ha proceduto all’esame della situazione socio politica del Paese (Bangladesh) di provenienza dell’odierno ricorrente, compiutamente indicando le fonti a tal fine utilizzate (cfr. pag. 3 del medesimo decreto); iii) ha quindi escluso, alla stregua di tale accertata situazione e delle esposte valutazioni sul descritto racconto, la riconoscibilità, in favore di H.M., dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (non venendo in rilievo alcuno dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nè, alla stregua dei compiuti accertamenti fattuali sulla situazione della zona del Bangladesh di provenienza del migrante, quello di cui alla lett. c) della medesima disposizione come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con le sentenze cd. Elgafaji e Diakitè); iv) ha negato, infine, il riconoscimento della protezione cd. umanitaria, non ravvisando, tra l’altro, in capo all’ H., “condizioni individuali di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio” posto che “nel Paese di provenienza non vengono segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani”, altresì evidenziando che “il richiedente non ha dato prova di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione nel tessuto socio economico nazionale” (cfr. pag. 7 del menzionato decreto).

3.2. Questa Suprema Corte, poi, ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi, da un lato, che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità del racconto dell’odierno ricorrente presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; dall’altro, che, quanto alle censure proposte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nemmeno risultano osservati gli specifici oneri di allegazione previsti, in proposito, dall’appena citata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte; ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) del medesimo Decreto, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

3.2.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

3.3. In relazione alla invocata protezione umanitaria (alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), inoltre, la corrispondente censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità non rilevata dal giudice di merito: vulnerabilità che deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

3.4. In definitiva, quanto oggi esposto da H.M., argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettate come vizio di motivazionale e/o di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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