Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7192 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/03/2021, (ud. 26/11/2019, dep. 15/03/2021), n.7192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1209-2014 /Proposto da:

F.B.S.M.G., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato MARIA

BERNETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO ADAMO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI MILANO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 70/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 29/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento, emesso dalla Agenzia delle Entrate, con cui accertava maggiori ricavi, e conseguentemente una maggiore pretesa fiscale, nei confronti della impresa individuale Agharti di F.B. esercente attività di Bar e Caffè per il periodo di imposta 2005.

A seguito di impugnazione del contribuente, la commissione provinciale di Milano in parziale accoglimento del ricorso determinava i ricavi in misura inferiore.

Avverso la predetta sentenza, proponeva appello l’agenzia delle Entrate ribadendo la correttezza dell’accertamento, basato sul D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

La commissione regionale della Lombardia, in accoglimento dell’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate, riteneva corretto l’accertamento analitico induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, emesso in base a vari elementi da ritenere antieconomici ai fini della gestione, in grado di assurgere a presunzioni gravi, precise e concordanti. Propone ricorso in Cassazione il contribuente che si affidava a due motivi così sintetizzabili:

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1; vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma VI e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39;

Non si costituiva l’intimata AGENZIA.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge non sussistendo i presupposti nel caso concreto per l’applicazione dell’accertamento analitico induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, non essendo emerso alcuna irregolarità nella sua contabilità e non potendosi qualificare presunzione lo scostamento dalla media dei ricarichi nel settore in cui opera.

Con il secondo motivo si sostiene che la motivazione circa i criteri applicati per l’individuazione del reddito determinato fossero insufficienti od erronei.

Tale motivi, da esaminare congiuntamente, stante la stretta correlazione logico-giuridica, appaiono infondati.

L’esistenza dei presupposti per procedere all’accertamento analitico induttivo risulta già confermato dalla sentenza di primo grado che, secondo la ricostruzione dei fatti enunciati dallo stesso ricorrente, si era solo limitato a ridurre la percentuale di ricarico, applicata dall’ufficio. Lo stesso ricorrente deduce di non aver proposto appello incidentale, ritenendo evidentemente corretta la decisione di i grado aggiungendo a pag. 2 “riconoscendone se non la corrispondenza a verità quantomeno a vero somiglianza”. Pertanto, ai fini della autosufficenza, avrebbe dovuto specificare in quale punto del ricorso abbia dedotto la violazione di legge per tale tipo di accertamento e in quale punto della comparsa di costituzione abbia richiamato tale doglianza ex art. 346 c.p.c., cosa che anzi sembra escludersi in virtù di quanto sostenuto nel ricorso.

Comunque, la decisone impugnata non è incorsa in alcuna violazione di legge, attenendosi al principio costantemente affermato secondo cui l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, è consentito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass., sez. trib., 05-10-2007, n. 20857). Nel caso, come emerge dalla sentenza, l’atto di rettifica è stato emesso, ai sensi della norma succitata, specificando l’inattendibilità dei dati relativi al ricarico. Nella sentenza si assume che “il reddito dichiarato contrasta radicalmente con i parametri della ragionevolezza nei confronti delle percentuali di ricarico mediamente applicate ai costi dei singoli prodotti venduti, (il ricarico dichiarato era di 78,05 e quello della media di ricarico nel settore era di 365,72 quasi 5 volte in più). Tale dato è sicuramente astrattamente idoneo a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, quindi è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’Amministrazione era tenuta a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte.

Nel caso concreto la CTR, quindi, avendo esposto gli elementi di carattere indiziario e presuntivo, consistenti in via principale nella enorme differenza tra il ricarico medio del settore e quello praticato, ne ha tratto la convinzione che era giustificato il ricorso al metodo induttivo da parte della Agenzia, dovendosi ragionevolmente presumere di trovarsi di fronte ad una contabilità intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente. Una volta considerato legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), incombeva sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni, e nessuna prova risulta indicata nel ricorso data da esso ricorrente.

Va ricordato, il principio che in genere rimane sottinteso, data la sua ovvietà, ma che nel caso non pare essere stato ben ponderato dal ricorrente, che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità del processo logico seguito e siccome il relativo profilo di fatto (l’essere stata applicata un ricarico di gran lunga inferiore alla media del settore) costituisce apprezzamento demandato al giudice di merito e, come tale, di per sè incensurabile in sede di legittimità non risolvendosi nè in una violazione di legge nè in un difetto di motivazione, anche il secondo motivo è infondato.

La Commissione regionale di Milano, attraverso i rilievi indicati in sentenza (settore di attività bar caffè con apertura serale fino a notte inoltrata, tipo di clientela frequentatrice, ubicazione in zona di attrazione notturna, alternanza della clientela), oltre alla abnormità della discordanza tra il ricarico applicato e quello mediamente del settore, ne ha tratto la conclusione circa la legittimità della determinazione induttiva del reddito di impresa operata dall’Ufficio. Emerge dunque evidente come il ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti una rivalutazione del merito della vicenda, comportante accertamenti di fatto preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè la rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Pertanto i motivi vanno rigettati.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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