Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7190 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/03/2021, (ud. 26/11/2019, dep. 15/03/2021), n.7190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10252-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamen-1.e domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) A RL IN FALLIMENTO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 317/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 06/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento, emesso dalla Agenzia delle Entrate di Modica, con cui accertava un maggiore reddito di impresa, e conseguentemente una maggiore pretesa fiscale ai fini Irpeg, irap, iva, nei confronti della (OMISSIS) a r.l..

Era anche emesso un distinto atto di contestazione per l’applicazione delle sanzioni, connesse alle violazioni accertate.

Entrambi gli atti erano impugnati dalla Cooperativa (OMISSIS), e la Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i ricorsi, li accoglieva. A seguito di appello da parte della Agenzia Delle Entrate, la commissione regionale della Sicilia confermava la sentenza di primo grado, ritenendo illegittimo l’accertamento per la carenza di motivazione.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’avvocatura dello Stato, affidandosi 4 motivi così sintetizzabili: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4);

2) Difetto assoluto di motivazione o motivazione solo apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

3) Violazione e/o falsa applicazione di legge: del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, comma 1; del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, aggiunto dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 2, comma 1; L. n. 212 del 2000, art. 7; L. n. 241 del 1990, art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

4) Violazione e/o falsa applicazione di legge; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, artt. 2697,2727,2728,2729 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Non si costituiva l’intimato contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole che il giudice di primo grado abbia deciso ultra petitum, non avendo il contribuente, mai sollevato la questione del difetto di motivazione dell’accertamento, su cui si fonda il rigetto dell’appello proposto da essa Agenzia delle Entrate. Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato. Ed invero detto motivo che è incentrato sul mancato rilievo da parte del ricorrente circa la carenza di motivazione dell’atto di accertamento, non si sottrae alla regola di autosufficienza del ricorso per cassazione. A questo proposito è sufficiente sottolineare che è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi del ricorso in primo grado da cui possa evincersi la mancata formulazione della eccezione, posta poi a base della sentenza di secondo grado.

L’assunto di parte ricorrente è smentito dalla sentenza di appello che nella parte descrittiva, indica espressamente i motivi del ricorso proposto dal contribuente (pagina i sentenza di appello punto d- tra cui il difetto di motivazione dell’accertamento). Inoltre la sentenza aveva confermato sul punto quanto specificato dal giudice di primo grado, assumendo che l’appellante Agenzia non aveva censurato tale punto della decisione.

Quindi occorreva anche dedurre che in appello era stato già dedotto il vizio di ultra petizione. In altri termini era onere del ricorrente, stante l’ineludibile concatenazione del ricorso in primo grado, sentenza di primo grado, atto di appello, dare conto specificamente del vizio lamentato.

Con il secondo motivo i ricorrenti assumono il difetto assoluto di motivazione o motivazione insufficiente.

Anche tale motivo appare inammissibile in quanto una volta ritenuto, esaminando il primo motivo, che non vi è stata ultra petizione da parte del giudice di appello, deve logicamente escludersi che il giudice abbia omesso la valutazione di un fatto decisivo, visto che l’affermazione della mancanza assoluta di motivazione dell’atto di accertamento, non imponeva ulteriore onere motivazionale anche in considerazione che trattavasi di conferma sul punto della decisione impugnata. Tale mancanza, secondo il giudice del merito, non ha consentito evidentemente di verificare la legittimità della pretesa fiscale.

Ne consegue l’inammissibilità del motivo che denunci la incongrua motivazione da parte del giudice, senza che neppure sia stato indicato che tale doglianza sia stata già sollevata con l’appello, senza che sia neppure prodotto l’atto di accertamento o riprodotto il contenuto dello stesso.

Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente assume violazione di legge sotto il profilo che la motivazione poteva essere integrata dal contenuto del p.v.v. consegnato al contribuente, e nel non aver considerato che i movimenti bancari potessero costituire presunzioni legali, salvo prova contraria.

Anche tali motivi appaiono inammissibili. Quanto al terzo motivo presume che nell’ambito del processo era indiscutibile la consegna del pvv. laddove di ciò non c’è traccia nelle sentenza impugnata nè è indicato quale punto dell’appello è stato specificato che il pvv facesse parte integrante dell’accertamento sia perchè richiamato sia perchè consegnato al contribuente.

Le stesse considerazioni valgono per i movimenti bancari indicati nel ricorso per cassazione, senza che tale questione risulti dalla sentenza, o sollevata con l’appello.

Nulla per le spese non essendosi costituito l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

 

 

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