Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7189 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/03/2021, (ud. 26/11/2019, dep. 15/03/2021), n.7189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9685-2012 proposto da:

IL TRIANGOLO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO

15, rappresentato e difeso dagli Avvocati GIOVANNI BELLOMO, FABIO

CIANI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI MILANO;

– intimata –

avverso la sentenza o. 30/2011 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 28/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’ADRIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’atto di accertamento emesso dalla Agenzia delle Entrate (OMISSIS) con cui ricostruiva il reddito di impresa del contribuente che aveva omesso di presentare la dichiarazione, determinando l’imposta evasa ai fini ires, iva ed irap oltre sanzioni ed interessi.

La società intimata Il Triangolo srl, non essendosi concretizzata la procedura di accertamento con adesione, proponeva ricorso sostenendo che fossero insussistenti i presupposti di legge per l’applicazione del D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, avendo, peraltro, l’Agenzia individuati i dati in modo inadeguato.

La Commissione Provinciale di Milano, in parziale accoglimento del ricorso, determinava il reddito di impresa in Euro 67.720,00.

Avverso la predetta sentenza, proponeva appello la società chiedendo un riesame completo della vicenda (appello pienamente devolutivo). La commissione regionale della Lombardia respingeva l’appello. Propone ricorso in Cassazione la società Il triangolo affidandosi a tre motivi così sintetizzati dal ricorrente:

1) Vizio motivazionale, motivazione omessa, apparente, contraddittoria, illogica, con richiamo integrale alle determinazioni – con ben note finalità extrafiscali- da ” concordato per adesione, vedi, D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 (non perfezionato). Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2) Violazione e viziata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, statuto del contribuente, art. 7, comma 2, art. 24 e 97 Cost., sull’onere di allegazione delle fonti esterne, denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

3) Violazione e viziata applicazione degli artt. 2673,2697,2727 e 2729 c.c., D.P.R. n. 600 del 1993, art. 39 ss. (carenza probatoria) indimostrato extrareddito, denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si costituisce con controricorso l’Agenzia Delle Entrate chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e/o rigettato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostanzialmente si duole della motivazione adottata dal giudice nel ritenere conforme alla legge il ricarico applicato. Secondo il ricorrente non era sufficiente l’aver richiamato quanto previsto in sede di concordato per adesione, poi non concretizzatosi.

In primo luogo, la doglianza è inammissibile per autosufficienza quanto all’asserita illegittimità della percentuale di ricarico applicata. Il ricorrente non indica ne specifica quale tipo di doglianza abbia proposto sul punto con l’atto di appello in particolare quale era la percentuale in concreto da applicare, e non considerata dal giudice. Occorre precisare che l’Agenzia aveva individuato nell’atto di accertamento una percentuale di ricarico pari al 13o%, poi ridotta dal giudice di primo grado al iio% in considerazione della adesione di entrambe le parti a tale calcolo durante il procedimento del concordato con adesione, peraltro richiesto dal contribuente.I1 giudice ha ritenuto che proprio l’individuazione della percentuale di ricarico come concordata fosse congrua, soprattutto se si consideri che era a favore di esso contribuente. La doglianza è comunque infondata quanto alle conclusioni che il ricorrente trae dalla insufficienza di tale elemento visto che comunque tale adesione costituisce un fatto storico che il giudice nel suo potere discrezionale poteva considerare, non avendo la parte neppure dedotto di essere incorso in errore allorchè ha aderito a tale percentuale di ricarico.

Inoltre, con il motivo in questione neppure si confronta con l’altra ratio decidendi del giudice di gravame che ha fatto anche leva sulla successiva proposta di conciliazione giudiziale del contribuente, basata proprio sulla percentuale di ricarico del 110% (pag. 5 della sentenza gravata) evidentemente ritenuta dallo stesso corretta. Ad abundatiam, il che pare conclusivo, il giudice di appello ha dato atto che l’ufficio impositore abbia individuato la percentuale di ricarico media del settore (Bar, caffè con intrattenimento e spettacolo) sulla base dell’esperienza maturata nel corso di svariate verifiche fiscali e riepilogate nel prospetto allegato alla memoria di costituzione, mai contestato dal contribuente.

Pertanto il motivo va rigettato.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce che non sarebbe stato allegato all’avviso di accertamento il prospetto sulle analisi comparativi su imprese similari per arrivare alla definizione delle medie di settore.

Il rinvio operato dalla Agenzia, nell’avviso di accertamento, ai prospetti sulle analisi circa il ricarico applicato, implicava che era stato comunque indicato il contenuto degli stessi, sicchè non era necessario la sua allegazione, avendo enunciato in sostanza i criteri in base ai quali era operata la rideterminazione del reddito, mettendo il contribuente in condizione di conoscere il criterio di valutazione adottato, e quindi in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale.

Inoltre, come si è detto in precedenza, l’individuazione della percentuale di ricarico è avvenuta sulla base di atti provenienti dalla parte e non solo sui predetti prospetti.

Pertanto anche tale motivo va rigettato.

Con il terzo motivo la parte ricorrente si duole della violazione di legge essendo stata avallata una rettifica induttiva sulla base di medie settoriali. Anche tale motivo va rigettato. Nel caso non vi è stata alcuna violazione di legge da parte del giudice di gravame, avendo applicato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, a cui il collegio intende dare continuità, secondo cui, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente come nel caso in esame, la legge abilita l’ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti (vedi Cass. n. 5228/2012 e Cass. n. 7258/2017). Pertanto, l’ufficio partendo dai dati di bilancio ed in particolare tenendo conto delle fatture di acquisto, e della incongruenza dei corrispettivi dichiarati con iva inferiore a quella ordinaria del 20%, ha ricostruito la pretesa tributaria applicando il ricarico del 130% (ridotto dal giudice di primo grado al no%), applicando legittimamente la prova presuntiva, sicchè incombeva sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa” (cfr., ex plurimis, Cass., sez. trib., 03/10/2007, n. 20708) cosa non avvenuta. Ne consegue che la sentenza impugnata, confermando il quantum specificato dalla sentenza di i grado, sulla base delle presunzioni semplici, che il giudice ha anche preso in considerazione, per ritenerle legittime, sebbene le stesse, proprio per la mancanza della dichiarazione potevano addirittura essere prive del requisito della gravità, precisione e concordanza ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, comma 2, impone di respingere il motivo.

Le spese seguono la soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5200 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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