Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7188 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. III, 04/03/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 04/03/2022), n.7188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28036/2019 R.G. proposto da:

MG ADVERTISING s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Gregorio VII n. 186,

presso lo studio dell’avvocato Sabrina Mariani, che la rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21, presso la sede

dell’Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa dall’avvocato

Domenico Rossi, come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE, in persona del Presidente

pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

la sede dell’Avvocatura dello Stato, che la rappresenta e difende

per legge.

– intimata –

avverso la sentenza n. 1842/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4.11.2021 dal Consigliere relatore Dott. Salvatore Saija;

viste le conclusioni scritte rassegnate dal Sostituto Procuratore

Generale Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

MG Advertising S.r.l. impugnò due cartelle di pagamento notificatele dall’agente della riscossione Equitalia Gerit S.p.A. e basate sul ruolo formato da Roma Capitale per somme relative ad entrate patrimoniali a titolo di indennità di occupazione di suolo pubblico per l’anno 2004; la società dedusse, tra l’altro, il difetto di esecutorietà degli atti iscritti a ruolo e la nullità del ruolo stesso, in quanto il credito fatto valere atteneva a pretese pecuniarie che, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, non potevano essere qualificate come entrate patrimoniali aventi fonte in atti e provvedimenti accertativi ed impositivi di natura pubblicistica, posto che si trattava di indennità per abusiva collocazione, mediante stabile infissione sulla sede stradale, di impianti pubblicitari in difetto di preventiva concessione, credito avente natura privatistica e risarcitoria. Nel contraddittorio con Roma Capitale e con Equitalia Gerit, il Tribunale di Roma, con sentenza del 16.11.2012, respinse l’opposizione di MG Advertising, che propose gravame. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza del 18.3.2019, dichiarò inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti di AdER (frattanto subentrata ad Equitalia), afferendo essa a motivi di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., e rigettò quella nei confronti di Roma Capitale.

MG Advertising s.r.l. ricorre ora per cassazione in forza di sette motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso Roma Capitale. AdER ha depositato “atto di costituzione”, al solo fine di eventualmente partecipare alla discussione. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione dell’art. 2909 c.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che i primi tre motivi di opposizione consistessero in opposizione agli atti esecutivi (donde l’inammissibilità dell’appello), laddove invece il primo giudice aveva espressamente qualificato l’opposizione come opposizione all’esecuzione, con conseguente formazione del giudicato interno, non considerato dal giudice d’appello; aggiunge che, in ogni caso, la qualificazione della spiegata domanda come opposizione all’esecuzione vale anche per la negata legittimazione passiva dell’Ente in relazione a tutte le doglianze, compreso l’eccepito difetto di motivazione della cartella.

1.2 – Con il secondo motivo, si lamenta difetto e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 124 disp. att. c.p.c.. La società ricorrente rileva che, contrariamente a quanto evidenziato dalla Corte d’appello, le sentenze del Tribunale di Roma nn. 16754/2005 e 8777/2006 erano state depositate regolarmente in atti, come pure certificato dalla cancelleria; ed in ogni caso le produce in questa sede, invocando la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno.

1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta difetto e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 448 del 1998, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che sia il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, sia l’indennità dovuta per l’occupazione, non afferiscono a rapporti di diritto privato; rileva, al contrario, che detta indennità ha natura e funzione di risarcimento del danno, perché prescinde dalla COSAP, essendo una autoliquidazione del danno da occupazione abusiva.

1.4 – Con il quarto motivo, si lamenta difetto di motivazione, nonché violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 448 del 1998 e del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17 e 21, nella parte in cui la Corte d’appello ha travisato l’insegnamento di Cass. n. 1435/2018, così massimata “Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo”. Ciò in quanto l’oggetto del presente giudizio è non già il recupero della Cosap non versata, come ritenuto dal giudice del gravame, bensì la richiesta di indennità di occupazione senza titolo.

1.5 – Con il quinto motivo, si lamenta violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17 e 21 e dell’art. 2909 c.c., nella parte in cui la Corte d’appello non ha tenuto conto di molteplici pronunce, emesse dalla stessa Corte e passate in giudicato, che avevano escluso il potere dell’Ente di iscrivere direttamente a ruolo le somme per l’indennità in discorso, inerendo a rapporti di diritto privato.

1.6 – Con il sesto motivo, si lamenta violazione del giudicato esterno formatosi tra le parti con le sentenze della Corte d’appello di Roma n. 7962/2018 e 121/2018, per non aver la stessa Corte tenuto conto delle dette pronunce, passate in giudicato, che avevano parimenti escluso il potere del Comune di iscrivere direttamente a ruolo le somme per l’indennità in discorso, inerendo a rapporti di diritto privato.

1.7 – Con il settimo motivo, infine, si lamenta erroneità e difetto di motivazione, omessa valutazione degli atti di causa e violazione del giudicato esterno formatosi con la sentenza del Tribunale di Roma n. 11829/2010, per non aver la Corte d’appello tenuto conto di detta pronuncia, stante – a suo dire – la mancanza di prova del suo passaggio in giudicato.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile per deficit espositivo: e,quindi, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Invero, l’affermazione della circostanza per cui il primo giudice avrebbe espressamente accertato che quella spiegata da MG Advertising costituiva opposizione all’esecuzione è estremamente laconica e – per come riportata in ricorso – anche decontestualizzata, sicché non consente di apprezzarne la portata. Ciò rileva anche ai fini dell’applicazione del principio dell’apparenza, tanto più che, secondo la Corte d’appello, le questioni sottese al mezzo in esame erano state espressamente qualificate come opposizione agli atti esecutivi dallo stesso Tribunale.

L’ulteriore profilo della censura, concernente la questione della carenza di legittimazione passiva di Roma Capitale, resta conseguentemente assorbito.

3.1 – Il secondo motivo è inammissibile. Con la doglianza in esame, infatti, si deduce che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione, perché non presenti nel fascicolo, due sentenze del Tribunale di Roma regolarmente versate in atti, che – a dire della ricorrente – costituivano giudicato tra le parti sulla medesima questione.

Ora, a prescindere dall’inammissibile censura sul preteso vizio motivazionale – che, per come proposta (“difetto e contraddittorietà della motivazione”), è da ritenersi sussumibile nell’ambito del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio oggi non più denunciabile se non nei limiti del “minimo costituzionale” (v. ex multis, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), il che non è nella specie – è noto che “L’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di un documento che, invece, risulti esservi incontestabilmente inserito, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e non di ricorso per cassazione” (Cass. n. 19174/2016). Quello denunciato, dunque, è un vizio revocatorio, donde l’inammissibilità del mezzo.

Ne’, del resto, la ricorrente può pretendere di aggirare l’erronea scelta impugnatoria mediante la produzione delle predette sentenze in questa sede di legittimità, pretendendo che questa Corte rilevi officiosamente il presunto giudicato esterno. Infatti, è noto che, affinché la Corte eserciti questo potere, è necessario che il giudicato si sia formato o in pendenza del termine per promuovere il ricorso per cassazione, ovvero successivamente (per tutte, Cass., Sez. Un., n. 13916/2006), il potere di rilievo restando escluso dalla dedotta esistenza del giudicato in epoca antecedente alla decisione impugnata in sede di legittimità, come nella specie è pacifico.

4.1 – I motivi terzo e quarto, da esaminare congiuntamente – e al netto delle censure su pretesi vizi motivazionali, nonché sulla pretesa efficacia del giudicato di Trib. Roma n. 11829/2010, inammissibili la prima per le medesime ragioni di cui al par. precedente, la seconda per non essere stato adeguatamente impugnato il capo della decisione che ha escluso la pretesa natura di giudicato della sentenza suddetta, come meglio si dirà nell’esame del settimo motivo – sono fondati, nei termini che seguono.

La Corte d’appello di Roma ha statuito la legittimità dell’iscrizione a ruolo della COSAP, dovuta anche in assenza di previo atto di concessione e, dunque, di occupazione abusiva, trattandosi di entrata di tipo pubblicistico, in quanto afferente all’occupazione di aree appartenenti al demanio comunale o al patrimonio indisponibile dell’ente.

Per tale ragione, l’iscrizione a ruolo non sarebbe dunque subordinata al combinato disposto del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, comma 2 e art. 21, in base al quale, salvo che sia diversamente previsto da particolari disposizioni di legge, le entrate dei Comuni aventi causa in rapporti di diritto privato sono iscritte a ruolo quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva.

Ora, sulla natura del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, le Sezioni Unite della Corte si sono pronunciate escludendo che alla COSAP possa attribuirsi la natura di tributo e, dunque, che la giurisdizione in materia spetti al giudice tributario (ex multis, Cass., Sez. Un., n. 21950/2015).

Allo stesso modo si è pronunciata la Sezione Tributaria della S.C. (Cass. n. 582/2017; Cass. n. 31331/2019), che ha tratto da tale statuizione l’ulteriore conseguenza per cui il pagamento del canone derivante dal rapporto concessorio (effettivo o, in caso di abusiva occupazione, fittizio) non ha la natura pubblicistica di tributo, sia perché il rapporto esplica effetti meramente privatistici, sia perché la natura pubblica del suolo occupato non incide sulla qualificazione del rapporto instaurato. In particolare, sulla mancata incidenza dell’esistenza di un rapporto concessorio (reale o fittizio) sulla questione che occupa, il primo dei citati arresti così argomenta (in motivazione): “nemmeno il carattere pubblicistico del rapporto di concessione determina, sempre ed in ogni caso, la natura pubblicistica delle posizioni soggettive in esso coinvolte e, di conseguenza, la necessaria attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione amministrativa. Costituisce infatti principio assodato (Cass. SSUU 24902/11; 20939/11; 13903/11) che, in materia di concessioni amministrative, va operata la distinzione tra le controversie – su indennità, canoni od altri corrispettivi – aventi contenuto meramente patrimoniale, e senza che assuma in esse rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali (riservate dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 2, alla giurisdizione del giudice ordinario), e le controversie (attratte alla giurisdizione amministrativa) che invece coinvolgano la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l’esercizio di poteri discrezionali – valutativi nella determinazione del canone e nell’esercizio di altre potestà pubbliche”.

Di conseguenza, si è condivisibilmente ritenuto che il diritto dell’amministrazione comunale di procedere alla riscossione coattiva mediante ruolo, previsto in via generale dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, è subordinato – dall’art. 21 del citato D.Lgs., e ai fini dell’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto a titolo di COSAP (anche in caso di abusiva occupazione), stante la sua natura di entrata patrimoniale riconducibile ad una prestazione di tipo privatistico – al conseguimento da parte del Comune, secondo le ordinarie procedure di realizzazione del credito tra privati, di un titolo esecutivo.

Ebbene, se ciò vale per il conseguimento del canone per l’occupazione, ossia per la prestazione principale connessa al mero utilizzo del suolo pubblico, vale a dire la COSAP ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997 e della L. n. 448 del 1998, lo stesso non può non valere anche per una prestazione accessoria alla prima collegata, laddove la pretesa – come nel caso che occupa – consista in realtà nella indennità da abusiva occupazione, prevista dal regolamento comunale (per la stessa Cass. n. 1435/2018, in motivazione, impropriamente richiamata dalla sentenza impugnata, l’indennità in parola costituisce credito diverso dalla mera COSAP). E’ quindi evidente che l’Ente, ai fini del recupero di un siffatto credito mediante riscossione coattiva, deve previamente munirsi di un titolo esecutivo, stante la sua natura privatistica, donde l’erroneità della sentenza impugnata.

5.1 – I motivi quinto, sesto e settimo possono esaminarsi congiuntamente, perché connessi; essi sono inammissibili e comunque infondati.

Anzitutto – a parte, ancora una volta, l’inammissibile censura sul vizio motivazionale di cui al settimo mezzo – tutti i suddetti motivi difettano, esattamente come il primo, sotto il profilo espositivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché le indicazioni circa i pretesi giudicati che la Corte d’appello avrebbe violato sono estremamente laconiche e non consentono di identificare con precisione il contenuto e l’estensione delle pronunce, né sul piano soggettivo, né su quello oggettivo. Si aggiunga che, come in parte s’e’ osservato (v. par. 3.1), la deduzione in sede di legittimità della pretesa violazione di un giudicato esterno è soggetta a particolari limiti. Non basta, dunque, affermare che la Corte d’appello non abbia preso in considerazione la relativa eccezione sollevata in sede di comparsa conclusionale, giacché il principio prima riportato (nello stesso par. 3.1) implica che può legittimamente invocarsi in questa sede solo il preteso giudicato esterno che si sia formato in epoca successiva (quantomeno) all’udienza di precisazione delle conclusioni in appello: sul punto vi è assoluta mancanza di indicazioni da parte della ricorrente.

Infine, anche su un piano più generale, la ricorrente non ha fornito alcuna prova che i pretesi giudicati siano sovrapponibili alle circostanze fattuali di cui al presente giudizio, sicché le doglianze sono pure in ogni caso infondate.

6.1 – In definitiva, il terzo e il quarto motivo sono accolti per quanto di ragione, mentre nel resto il ricorso è rigettato. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo e il quarto motivo per quanto di ragione e rigetta nel resto. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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