Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7187 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2232/2019 r.g. proposto da:

I.H., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Lara Petracci, presso il cui studio elettivamente domicilia in Porto

Sant’Elpidio (FM), alla via Adige n. 113;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA depositato in data

04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. I.H. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso il “decreto” del Tribunale di Ancona del 4 dicembre 2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne scarsamente credibili le sue dichiarazioni e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”, censurandosi la valutazione di inattendibilità espressa dal tribunale a quo in ordine al racconto dell’odierno ricorrente;

II) “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Nullità della sentenza per vizio di motivazione – Motivazione apparente”, ascrivendosi al tribunale dorico di aver adottato una motivazione meramente apparente in ordine alla ivi ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente protezione;

III) “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,14,16 e 17, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per carente valutazione dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria o umanitaria”, criticandosi le affermazioni del medesimo tribunale in ordine all’accertata insussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento, in favore dell’odierno ricorrente, della protezione sussidiaria o di quella umanitaria.

2.1. Le descritte censure, suscettibili di trattazione unitaria in ragione della loro connessione, sono complessivamente immeritevoli di accoglimento.

2.2. Nella specie, invero, il tribunale anconetano, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha considerato “carente di credibilità” la narrazione dell’odierno ricorrente, che aveva sostenuto di aver abbandonato la Nigeria per le minacce ricevute dai seguaci del culto (OMISSIS) per farlo aderire allo stesso, di cui era stato praticante il defunto padre che, proprio per questo culto, aveva sacrificato la vita di due sorelle del ricorrente stesso (ha rilevato quel giudice che, come poteva evincersi dalle risultanze del verbale di sua audizione innanzi alla commissione territoriale, “a domande pertinenti sugli accadimenti, il richiedente non è stato in grado di circostanziare la vicenda (nomi, tempo, luogo), peraltro su fatti essenziali e determinanti l’espatrio. Inoltre, le dichiarazioni sono apparse affette da incoerenza interna e frequenti sono state le contraddizioni su punti principali della storia personale, quali l’affiliazione forzata e le uccisioni rituali…”. Cfr. pag. 4 del decreto impugnato), ed ha motivatamente escluso, menzionando le specifiche fonti internazionali consultate (cfr. amplius, pag. 4-9 del medesimo decreto), che la zona di provenienza (Nigeria, Delta State) di quest’ultimo sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Ha parimenti negato, alla stregua delle medesime fonti, la sussistenza dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

2.3. Orbene, va immediatamente evidenziato, con specifico riferimento al secondo motivo, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 4 dicembre 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

2.3.1 La semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui, con motivazione affatto esaustiva, e comunque rispettosa del minimo costituzionale come sancito da Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha negato l’attendibilità del racconto del richiedente protezione, consente agevolmente di escludere che il Tribunale di Ancona sia incorso nel vizio ascrittogli con la censura in esame, la quale si rivela essenzialmente volta (come si appresso si dirà in relazione alle censure veicolate dal primo e terzo motivo) ad un inammissibile riesame del merito.

2.4. Questa Suprema Corte, poi, ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato), come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019); in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) del medesimo Decreto, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

2.4.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

2.5. Circa, infine, la invocata protezione umanitaria, – e premettendosi che tale doglianza va scrutinata alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019), di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6 – va soltanto rimarcato che il tribunale anconetano ha accertato, anche in ragione della effettiva situazione politico-sociale della già menzionata zona di provenienza del ricorrente, l’insussistenza, in relazione a quest’ultimo, di gravi ragioni di protezione o di situazioni soggettive specifiche, e che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018), da un lato, che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan. zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”; dall’altro, che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano, di per sè, l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (cfr. Cass. n. 780 del 2019; Cass. n. 25075 del 2017). In tale prospettiva, è stato ulteriormente chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabille costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

2.6. In definitiva, quanto oggi esposto da I.H., argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettate come vizio di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, anche in relazione alla invocata diversità della zona di sua provenienza, una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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