Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7182 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. III, 04/03/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 04/03/2022), n.7182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23035/2019 proposto da:

L.F., L.G., rappresentati e difesi

dall’avvocato Domenico Calderone, e con il medesimo domiciliati

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, Pec:

domenicocalderone.pec.ordineavvocatitorino.it;

– ricorrenti –

contro

F.W., rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Morino, e

con il medesimo domiciliato presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, Pec: paolomorino.pec.ordineavvocatitorino.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 118/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2021 da Dott. MOSCARINI ANNA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. Con atto di citazione del 3/7/2013 F.W., allegando un credito di Euro 100.800 nei confronti di L.F., convenne in giudizio il medesimo L. ed il figlio G. proponendo azione revocatoria ex art. 2901 c.c., volta alla dichiarazione di inefficacia di un atto di compravendita immobiliare stipulato tra i convenuti in data 25/7/2008.

I convenuti si costituirono in giudizio non nei termini di cui all’art. 167 c.p.c., ma all’udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c., sollevando, in via di eccezione, la sussistenza di un controcredito, vantato da L.F. nei confronti del F. pari ad Euro 117.000 e chiedendo di accertare l’insussistenza dei presupposti dell’actio pauliana.

2. Il Tribunale di Torino, disposta una CTU per valutare il prezzo della compravendita, con sentenza n. 2774 del 16/5/2016, dichiarò inammissibile, in quanto eccezione di merito non rilevabile d’ufficio, tardivamente proposta, quella avente ad oggetto l’accertamento del controcredito prospettato dal L. ed accolse la revocatoria, dichiarando l’inefficacia dell’atto di compravendita e condannando i soccombenti alle spese.

3. La Corte d’Appello di Torino, adita dai L., con sentenza del 18 gennaio 2019, ha rigettato l’appello ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che il Tribunale avesse, correttamente, dichiarato inammissibile l’eccezione relativa al controcredito del L. in quanto, per ammissione dello stesso, egli non aveva mai inteso sollevare un’eccezione di compensazione – in tal caso avrebbe proposto domanda riconvenzionale – sicché, se pur il credito fosse riconosciuto esistente, in nessun caso avrebbe operato la compensazione, non eccepita dal L. e non rilevabile d’ufficio e in nessun caso la ragione di credito posta dal F. a fondamento dell’azione revocatoria avrebbe potuto ritenersi estinta; ha altresì rigettato i motivi di appello afferenti alla insussistenza dell’eventus damni e della scientia damni, confermando la decisione di primo grado e condannando gli appellanti alle spese.

4. Avverso la sentenza, L.F. e L.G. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Ha resistito F.W. con controricorso.

5. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, in vista della quale parte resistente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., comma 2 e art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i ricorrenti svolgono le seguenti censure:

a) L’eccezione del controcredito non era un’eccezione di merito non rilevabile d’ufficio e come tale tardiva, ma un’eccezione riconvenzionale volta a paralizzare, quale mera difesa, la richiesta del F.. Non sussisterebbero limiti all’ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni purché volti a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatta valere dall’attore.

b) L’eccezione riconvenzionale di compensazione non sarebbe stata rilevata quale tardiva dall’attore ma solo d’ufficio dal giudice.

c) La sentenza avrebbe violato l’art. 101 c.p.c., comma 2, perché, rilevando d’ufficio la tardività dell’eccezione, il giudice avrebbe dovuto assegnare alle parti un termine per assicurare il contraddittorio sulla suddetta questione.

1.1 Il motivo, non privo di profili di inammissibilità afferenti all’esposizione del fatto, è infondato.

a) Quanto alla prima censura (eccezione riconvenzionale non soggetta alle preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c.) si deve rilevare, come correttamente statuito dall’impugnata sentenza, che gli attori non hanno mai chiesto, per loro stessa ammissione, di far valere la compensazione (nella sentenza è riportato un passo dell’atto d’appello “Giammai ha chiesto di porre in compensazione il proprio credito con quello richiesto dal F. perché in questo caso avrebbe proposto domanda riconvenzionale”) ma soltanto di dichiarare l’esistenza del proprio controcredito, di guisa che, anche qualora il L. potesse vantare il credito, la ragione di credito posta dal F., a fondamento dell’azione revocatoria, non si sarebbe comunque estinta a causa di una compensazione che il L. non ha inteso far valere.

Quanto ai profili di tempestività dell’eccezione riconvenzionale, si rileva che l’art. 167 c.p.c., nel testo attualmente vigente ed applicabile ratione temporis, prevede la decadenza, nel caso di mancato rispetto del termine di 20 giorni prima dell’udienza indicata in citazione, oltre che per la proposizione della domanda riconvenzionale, anche per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, tra le quali, come è noto, in base all’art. 1242 c.c., comma 1, vi è l’eccezione di compensazione. Ne consegue che i convenuti sono decaduti dalla possibilità di eccepire in compensazione il controcredito, non potendo essi avvalersi della giurisprudenza citata in ricorso, afferente a fattispecie regolate dal previgente testo dell’art. 167 c.c., che non prevedeva la decadenza per le eccezioni non rilevabili d’ufficio. Ne’ può ritenersi che si sia di fronte ad una compensazione cd. impropria, per la quale, secondo la nostra giurisprudenza, non varrebbero le preclusioni processuali, perché tale è soltanto quella che si verifica tra crediti originanti dallo stesso rapporto e, comunque, aventi entrambi i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., presupposti rimasti indimostrati nel giudizio di merito.

b) Quanto alla seconda questione – mancato rilievo in primo grado da parte dell’attore, della decadenza in cui erano incorsi i convenuti; la stessa è pure infondata in quanto le preclusioni processuali possono essere rilevate d’ufficio dal giudice. La giurisprudenza di questa Corte ha confermato tale tesi, in un recente arresto, con il quale ha previsto che l’inosservanza delle preclusioni va rilevata d’ufficio dal giudice (Cass., 2, n. 17121 del 13/8/2020). Se, infatti, in quella fattispecie la Corte ha ritenuto che, nel periodo compreso tra la L. n. 353 del 1990 e l’entrata in vigore del D.L. n. 35 del 2005, il regime delle “eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio”, fosse fissato al termine perentorio dell’art. 180 c.p.c., comma 2 e la sua inosservanza fosse rilevabile d’ufficio, a fortiori, quando il legislatore ha anticipato al termine di cui all’art. 167 c.p.c., comma 2, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (quale la compensazione), l’inosservanza delle preclusioni deve essere rilevata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte, essendo il regime di preclusioni, ora come allora, inteso a tutelare non solo l’interesse di parte ma anche l’interesse pubblico a scongiurare l’allungamento dei tempi del processo.

c) Neppure è fondata la censura di violazione o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, per la mancata effettuazione, da parte del giudice di primo grado, dell’invito a contraddire, in quanto, trattandosi della decadenza a far valere le eccezioni riconvenzionali e, dunque, trattandosi di questione processuale, in base al consolidato orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, ad essa non si applica l’art. 101 c.p.c., comma 2, in quanto eccezione inidonea a modificare il quadro fattuale e a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti (Cass., 6-5, n. 19372 del 29/9/2015; Cass., 6-5n. 6218 del 4/3/2019).

Da quanto esposto consegue il rigetto del primo motivo del ricorso.

2. Con il secondo motivo – violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti censurano la sentenza per aver rigettato il quarto motivo di appello – relativo alla scientia damni di L.G. – con il quale avevano eccepito l’erronea presunzione della conoscenza, da parte del figlio, del debito del padre, in presenza di una busta, ritirata dal figlio, dalla quale non avrebbe potuto presumersi l’esistenza di un precetto. La Corte d’Appello avrebbe dato una motivazione illogica e dunque apparente perché non avrebbe considerato che L.G. utilizzava i beni immobili oggetto di revocatoria per l’esercizio della propria attività imprenditoriale né che aveva ricevuto la notifica del precetto in plico sigillato senza conoscerne il contenuto, essendo all’epoca del trasferimento un ragazzo di 22 anni. Dunque il giudice avrebbe errato nel dedurre la consapevolezza del pregiudizio in capo al figlio ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, basandosi su elementi insufficienti e tali da dar vita a motivazione apparente.

2.1 Il motivo è da un lato inammissibile, dall’altro infondato. Esso è volto a sollecitare questa Corte ad un inammissibile riesame di una questione di merito, quale è l’accertamento della scientia damni di L.G.. In ogni caso è infondato in quanto non può ritenersi sussistere una motivazione apparente: il giudice del merito ha valorizzato lo stretto rapporto di parentela e la convivenza tra padre e figlio ed ha ritenuto che l’elemento documentale, invocato dai ricorrenti, della busta contenente il precetto, dalla quale il figlio non avrebbe potuto arguire la presenza del precetto, fosse irrilevante ai fini del decidere. Se a ciò si aggiunge che la Corte di merito ha fatto altresì riferimento alla notevole sproporzione tra il prezzo indicato nell’atto ed il valore dei cespiti, che non poteva che ridondare in favore della scientia damni di L.G., persona di 22 anni e dunque in età tale da rendersi perfettamente conto delle proprie scelte negoziali, se ne deduce, anche sotto questo diverso profilo, l’adeguatezza della motivazione dell’impugnata sentenza.

3. Conclusivamente il ricorso è rigettato ed i ricorrenti condannati alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispsitivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8500 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

 

 

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