Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7180 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. III, 04/03/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 04/03/2022), n.7180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29978/2019 proposto da:

D.G.A., I.A., L.E.,

L.R., L.S., M.G., Mo.An.,

S.D., V.G., elettivamente domiciliati in Eboli, via U.

Nobile n. 14, presso l’avvocato Vitantonio Marchesano, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) Snc e P.G., in persona del

curatore La.Ca.;

– controricorrente –

e contro

T.F.;

– intimato –

nonché da

Fallimento (OMISSIS) Snc e P.G., in persona del

curatore La.Ca., elettivamente domiciliato in Roma Via del

Corso n. 300, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Andreotta, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

D.G.A., I.A., L.E.,

L.R., L.S., M.G., Mo.An.,

S.D., T.F., V.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 794/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 5/6/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2021 dal Cons. Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 5/6/2019 la Corte d’Appello di Salerno ha dichiarato inammissibile il gravame in via principale interposto dai sigg. L.R. ed altri, nonché rigettato quello in via incidentale spiegato dal sig. T.F. e dal Fallimento (OMISSIS) e del sig. P.G., in relazione alla pronunzia – in riuniti giudizi – Trib. Salerno 28/8/2015, di: a) “improcedibilità – a seguito del fallimento della “(OMISSIS) s.n.c. e di P.G. – della domanda di restituzione del prestito di Lire 45.000.000 proposta da T.F. nei confronti dei predetti e di Pi.Ge.”; b) accoglimento dell'”azione revocatoria ordinaria proposta dall’attore e proseguita dalla curatela nei confronti del L.R.” ed altri, i quali “si erano resi acquirenti di immobili dalla società convenuta in bonis”, con declaratoria di inefficacia “nei confronti della curatela” degli “atti di compravendita indicati nella parte motiva”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. L.R. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Fallimento, che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti in via principale denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 138 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia dichiarato inammissibile l’appello sulla base dell’erroneo presupposto della relativa notifica “eseguita oltre il termine di 30 giorni previsto dalla norma di cui all’art. 325 c.p.c.”, laddove l'”atto di appello veniva consegnato all’Ufficiale Giudiziario in data 10.12.2015 e cioè prima che spirasse per alcuni degli appellanti il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.”, e nella “relata di notifica veniva indicato il domicilio eletto dalle controparti all’epoca dell’introduzione del giudizio di primo grado ovvero presso lo studio del procuratore costituito in (OMISSIS), che, nelle more del giudizio, aveva trasferito lo studio in altro domicilio”.

Lamentano che “stranamente, l’Ufficiale Giudiziario addetto alla notifica cui era stata richiesta la notifica a mani del destinatario a mente dell’art. 138 c.p.c., pur indicando nel corpo della relazione di notifica il nuovo indirizzo del procuratore costituito in (OMISSIS), non provvedeva alla rituale notificazione dell’atto”, sicché “la mancata notifica dell’atto di appello all’atto della prima richiesta di notifica” deve nel caso “attribuirsi ad inerzia dell’Ufficiale Giudiziario, che, pur conoscendo il nuovo domicilio del procuratore delle parti appellate ed in dispregio della norma di cui all’art. 138 c.p.c., non provvedeva alla rituale notifica dell’appello a mani di esso”.

Si dolgono non essersi considerato che “ad ogni buon conto… il procedimento notificatorio si perfeziona al momento della consegna dell’atto all’Ufficiale Giudiziario”, sicché “nella specie l’atto di appello è da ritenersi ritualmente proposto entro il termine di cui all’art. 325 c.p.c., a nulla rilevando che il relativo atte pur consegnato agli Ufficiali Giudiziari in data 10.11.2015 (quando il termine citato non era ancora spirato), sia stato notificato in data successiva alla scadenza di detto termine”.

Lamentano non essere altresì “condivisibile la tesi sostenuta dalla Corte territoriale nel dichiarare la inammissibilità dell’appello dei richiamati ricorrenti sul presupposto che il nuovo indirizzo del difensore degli appellati risultava indicato nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica, in quanto tutti gli attuali ricorrenti nel procedimento principale promosso dal T.F. e successivamente alla riassunzione del giudizio interrotto… erano rimasti contumaci e negli atti a conoscenza di questi ultimi il domicilio indicato dal procuratore era quello indicato nella richiesta di notificazione dell’appello”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte – anche a Sezioni Unite – ha già avuto modo di affermare, la notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio a quo che abbia avuto esito negativo perché il procuratore si sia successivamente trasferito altrove non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali, come nel caso di timbro apposto su comparsa conclusionale di primo grado) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, in quanto il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, non sussistendo (diversamente dall’ipotesi di domicilio eletto autonomamente) alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo, giacché l’elezione operata dalla parte presso lo studio del procuratore ha solo la funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, costituendo pertanto onere del notificante effettuare apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione, tale attività di ricerca non integrando lesione del canone della ragionevolezza né alcuna limitazione del diritto di difesa, giacché può essere agevolmente posta in essere (v. Cass., 7/6/2002, n. 8287, e conformemente, da ultimo, Cass., 7/6/2017, n. 14083).

Si è al riguardo altresì precisato che allorquando la parte elegge domicilio presso il procuratore costituito o domiciliatario la notifica dell’impugnazione va ivi effettuata ove quest’ultimo eserciti l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, altrimenti, nel suo domicilio effettivo, previo riscontro da parte del notificante delle risultanze dell’albo professionale, dovendosi escludere che tale onere di verifica -attuabile anche per via informatica o telematica-arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di fruire, per l’intero, dei termini di impugnazione (v. Cass., Sez. Un., 18/02/2009, n. 3818, e, conformemente, da ultimo, Cass., 4/1/2022, n. 115).

Ne consegue che qualora come nella specie la notifica presso l’indirizzo dello studio professionale risultante dagli atti del giudizio (nel caso, di primo grado) non sia andata a buon fine per non essere il medesimo più attuale, il relativo mancato perfezionamento non può ritenersi non imputabile alla condotta colposa del notificante che abbia omesso di effettuare le suindicate previe verifiche (cfr. Cass., 4/1/2022, n. 115).

Orbene, di tali principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

In particolare là dove, osservato che “il nuovo indirizzo è indicato anche in comparsa conclusionale e nella memoria di replica in primo grado, poiché è inserito nel timbro apposto su tali atti”, non avendo d’altro canto “gli appellanti principali… contestato la circostanza affermata dalla controparte, secondo cui il trasferimento dello studio professionale dell’avvocato Giuseppe Andreotta era stato regolarmente comunicato al competente Consiglio dell’Ordine”, ha sottolineato come nella specie “il mancato perfezionamento della prima notifica” non possa “essere ricondotto a causa non imputabile al notificante, poiché questi aveva l’onere di verificare quale fosse il domicilio del difensore destinatario della notifica ed aveva la possibilità di farlo mediante la consultazione dell’albo degli Avvocati di Salerno, trattandosi di difensore esercente nella medesima circoscrizione di Tribunale”, non essendo conseguentemente “consentito… conservare gli effetti collegati alla originaria richiesta di notifica”, sicché l’appello proposto da ” V.G., L.R., D.G.A., M.G., L.E. e L.S. è tardivo e dunque inammissibile”.

Orbene, a fronte dei suindicati accertamenti e rilievi dalla corte di merito posti a base della raggiunta conclusione, gli odierni ricorrenti si limitano invero ad apoditticamente riproporre – inammissibilmente in termini di mera contrapposizione – la tesi difensiva già sottoposta all’attenzione del giudice dell’appello e da questo non accolta, senza invero dedurre idonei argomenti a sostegno della mossa doglianza, e senza in particolare censurare l’affermazione secondo cui nella specie il mancato perfezionamento della notifica dell’atto di gravame “non può essere ricondotto a causa non imputabile al notificante”, al riguardo non potendo invero riconoscersi rilievo alcuno al dedotto assunto secondo cui “tutti gli attuali ricorrenti nel procedimento principale promosso dal T.F. e successivamente alla riassunzione del giudizio interrotto… erano rimasti contumaci e negli atti a conoscenza di questi ultimi il domicilio indicato dal procuratore era quello indicato nella richiesta di notificazione dell’appello. Tra l’altro…nel provvedere alla notifica della sentenza di primo grado, alcun timbro era stato apposto dal procuratore richiedente la notifica, in modo da portare a conoscenza delle parti destinatarie il cambio di domicilio dello studio”, oltretutto formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità del ricorso prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Con il 2 motivo denunziano “violazione/falsa applicazione” dell’art. 307 c.p.c. (nella previgente formulazione ratione temporis applicabile), in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamentano che “la notificazione dell’atto di riassunzione del giudizio alla parte personalmente anziché al suo difensore costituito… impedisce la valida instaurazione del rapporto processuale, salvo che il destinatario della notifica si fosse costituito, verificandosi in tal caso la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo… “, sicché erroneamente non è stata nella specie dalla corte di merito dichiarata l’estinzione del giudizio ex art. 307 c.p.c..

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte – anche a Sezioni Unite – ha già avuto modo di affermare, verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della vocatio in ius il termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius (v. Cass., Sez. Un., 28/6/2006, n. 14854, e, conformemente, Cass., 20/3/2008, n. 7611; Cass., 24/9/2013, n. 21869, e, da ultimo, Cass., 11/3/2019, n. 6921).

Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice che rilevi la nullità di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio.

A tale stregua, solo il mancato rispetto di quest’ultimo determina l’eventuale estinzione del giudizio, in forza del combinato disposto di cui all’art. 291 c.p.c., u.c. e art. 307 c.p.c., comma 3 (v. Cass., Sez. Un., 28/6/2006, n. 14854, e, conformemente, Cass., 31/7/2012, n. 13683, Cass., 20/4/2018, n. 9819, e, da ultimo, Cass., 3/2/2021, n. 2526).

Si è al riguardo ulteriormente precisato che l’estinzione del processo per tardiva riassunzione ai sensi dell’art. 307 c.p.c., per poter essere dichiarata dal giudice, deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua istanza e difesa, volta ad ottenere una pronuncia diversa, e, pertanto, ove non sia stata così tempestivamente eccepita, nel medesimo grado in cui si sono verificati i fatti che ad essa possono dar luogo, non può essere dedotta e rilevata in sede d’impugnazione, neppure su istanza della parte rimasta in precedenza contumace (v. Cass., 8/8/1994, n. 7323, e, conformemente, Cass., 7/7/1997, n. 6111; Cass., 1/10/2002, n. 14087, e, da ultimo, Cass., 5/8/2010, n. 18248).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione nell’osservare, da un canto, che nella specie, “depositato tempestivamente il ricorso per la riassunzione del processo interrotto, il processo è stato riassunto nel termine perentorio prescritto dall’art. 305 c.p.c.” e “correttamente poi il Tribunale, preso atto della nullità della notifica, eseguita personalmente ai convenuti che invece erano costituiti a mezzo del difensore, ha disposto a norma dell’art. 291 c.p.c., la stessa ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio”; per altro verso, che, essendo “l’eccezione di estinzione… stata proposta per la prima volta nella presente sede di gravame”, “anche sotto questo profilo il motivo in esame va rigettato”.

A fronte di siffatti rilievi gli odierni ricorrenti in via principale si limitano invero a meramente riproporre, inammissibilmente in termini di mera contrapposizione, la non accolta tesi difensiva, sicché i medesimi risultano non idoneamente censurati, come del pari l’affermazione secondo cui ove la notifica sia viziata o inesistente o comunque non sia stata correttamente compiuta, una volta ordinata (non potendo il giudice dichiarare l’estinzione del processo: v. Cass., 20/3/2018, n. 7611; Cass., 4/2/2016, n. 2174) la rinnovazione della notifica medesima solo il mancato rispetto del nuovo termine (necessariamente perentorio) all’uopo assegnato determina l’eventuale estinzione del giudizio.

Con il 3 motivo denunziano “violazione o falsa applicazione” degli artt. 2901,2696 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si dolgono che, stante “il mero subentro del curatore nella posizione processuale dell’originario attore”, questi soggiace “agli stessi obblighi ed oneri, con particolare riferimento in tema di onere della prova”, e nella specie “le controparti non hanno fornito minimamente la prova del credito nei confronti della società in bonis, poi dichiarata fallita”, atteso che “da un esame degli atti la parte istante ha fatto valere una fantomatica scrittura privata ovvero una scrittura di ricognizione di debito sottoscritta da alcuni dei soci, senza altro dimostrare in ordine alla riconducibilità del preteso credito alla società, poi dichiarata fallita”.

Il motivo è sotto plurimi profili inammissibile.

Atteso che là dove viene fatto riferimento all’asserita mancanza di prova del credito originariamente vantato da controparte la doglianza – come dai controricorrenti eccepito – prospetta inammissibili profili di novità, va sottolineato come la declaratoria d’inammissibilità per genericità della censura mossa in sede di gravame in ordine alla dedotta inesistenza dei presupposti dell’azione revocatoria non risulti invero dagli odierni ricorrenti (e allora appellanti) nemmeno (quantomeno idoneamente) censurata.

Senza sottacersi che il motivo risulta formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701) là dove vengono posti a base della mossa doglianza atti e documenti del giudizio di merito (“esame degli atti”) non debitamente indicati e riportati – per la parte strettamente d’interesse – nel ricorso, a tale stregua la censura risultando connotata da apoditticità deponente per la relativa inammissibilità, il vaglio della relativa fondatezza nel merito rimanendo pertanto imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135. E già Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia “violazione o falsa applicazione” della L. Fall., art. 66,D.M. n. 55 del 2014, art. 5,artt. 10,99,324 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “nel caso di una curatela fallimentare che agisce in revocatoria”, la “domanda… non può che essere valutata in misura pari al passivo fallimentare”, in quanto, poiché in base a principio giurisprudenziale “giova alla massa fallimentare l’interruzione della prescrizione prevista dall’art. 2903 c.c.”, non vi è dubbio che nella specie “la domanda fatta propria dalla curatela fallimentare si sia espansa oltre i limiti del valore rinveniente dalla domanda del creditore individuale che aveva agito solo a propria tutela, e dunque, solo nel proprio interesse”.

Con il 2 motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si duole essersi dalla corte di merito operata ai fini delle spese di lite una inammissibile “equiparazione tra il rigetto dell’appello incidentale… ed il rigetto dell’appello, rectius degli appelli… proposti dai sigg.ri V.G., L.R., D.G.A., M.G., L.E. e L.S., I.A., Mo.An. e S.D.”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701) là dove a base delle doglianze risultano posti atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, l'”appello incidentale”, le “tutte le spese borsuali (cfr. comparsa di costituzione e risposta in appello – pag. 23 – del 01.04.2016 – doc. produzione di parte di II grado)”, “il passivo fallimentare accertato nella misura di Euro 1.431,264,00”) senza invero debitamente indicarli e riportarli – per la parte strettamente d’interesse – nel ricorso, a tale stregua la censura risultando apoditticamente prospettata e il vaglio della relativa fondatezza nel merito rimanendo invero imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135. E già Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Quanto alla disposta “integrale compensazione tra le parti delle spese del… giudizio di gravame”, va d’altro canto osservato che nell’esercizio dei propri poteri la corte di merito ha fatto invero corretta applicazione del criterio della soccombenza reciproca ex art. 92 c.p.c., comma 2.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi di entrambi i ricorsi (assorbito il ricorso incidentale condizionato, stante il mancato accoglimento del ricorso principale) consegue il rigetto dei medesimi.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentale, nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, in via principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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